di Carlotta Spirito
Il tempo nelle organizzazioni
può avere due accezioni diametralmente opposte:
- può tendere ad infinito (ho a disposizione tutto il tempo che voglio)
- può tendere a zero (ho a disposizione un tempo definito quantitativamente
e che tende progressivamente a ridursi).
Nelle organizzazioni che concepiscono
il tempo come tendente ad infinito, il tempo diviene una risorsa illimitata,
sempre a disposizione e con la quale non bisogna mai confrontarsi. Quello che
non si fa oggi, lo si potrà comunque fare domani o dopodomani.
Questo vale, ovviamente, anche per qualsiasi tipo di cambiamento, che può
essere continuamente procrastinato. I progetti iniziano, ma non hanno mai fine,
non producono mai un risultato, si perdono nei meandri stessi dell'organizzazione
proprio a causa del dilatarsi del tempo.
Addirittura il tempo viene strumentalmente utilizzato come arma per annullare
ogni possibile cambiamento, per annegare in un limbo maree di buoni propositi
che vengono continuamente rimandati reiterando dinamiche comportamentali alla
Zeno Cosini.
Si prendono decisioni, ma non si trova mai il momento giusto per metterle in
pratica, per dargli una realizzazione concreta nel tempo.
Ci si nasconde dietro a frasi quali:
- non è il momento adatto,
- aspettiamo che i tempi siano maturi,
- lasciamo passare ancora un po' di tempo,
e intanto le persone invecchiano, i contesti cambiano ed i fautori dello status
quo gongolano convinti che se le cose andranno avanti motu proprio, tutto tornerà
a loro vantaggio, potranno rimanere tenacemente arroccati alle loro posizioni,
immutabili ed inossidabili, mantenere e consolidare le loro piccole nicchie
di potere, dalle quali è continuamente bandita anche la sola idea di
confronto.
Quando le organizzazioni si relazionano
con la concezione di tempo come di una grandezza limitata che, anzi, tenda progressivamente
a ridursi fino a tendere a zero, devono mettersi costantemente in una dimensione
di autocritica, di autoripensamento continuo, perché non solo bisogna
dare risposte in fretta, ma bisogna incessantemente rivederle alla luce dei
vari contesti possibili.
Questo vuol dire confrontarsi con un mondo reale di continuo ed ininterrotto
cambiamento nel quale le risposte hanno un peso non solo per il loro contenuto,
ma anche per il tempo in cui vengono date ed in funzione di queste due variabili
generano profitti o perdite.
In una logica di questo tipo cambia anche l'atteggiamento dell'organizzazione
nei confronti della conoscenza, sono organizzazioni che si mettono in un'ottica
di apprendimento continuo, dove diventa fondamentale poter accedere a tutte
le informazioni, che non hanno alcun valore in quanto tali, ma solo in virtù
delle infinite possibilità di aggregazione che generano.
L'informazione non è potere, ma è possibilità di costruire
una pluralità di risposte, tra le quali le persone scelgono e ne mettono
in pratica una, sapendo che la soluzione scelta non è mai definitiva
e che non può essere reiterata sempre uguale nel tempo.
Affermazioni del tipo:
- abbiamo sempre fatto così,
- questa azienda è sempre andata avanti facendo in questo modo,
diventano inaccettabili, improponibili in quanto castranti nei confronti di
qualsiasi possibile evoluzione.
Fondamentale diventa la gestione della conoscenza, che diventa un patrimonio
aziendale a tutti gli effetti perché continua possibilità di generare
valore per l'impresa.
Oggi si parla molto di Knowledge management, ma a fronte di ogni possibile tecnicismo
sull'argomento diventa fondamentale nelle organizzazioni che apprendono indurre
dei comportamenti che si trasformino nel tempo in prassi consolidate, ma solo
perché accettate e condivise dalle persone che fanno parte dell'organizzazione.
Anche qui gli atteggiamenti cambiano
a seconda di come si pensa al tempo:
- in una organizzazione che pensa al tempo come risorsa illimitata è
facile vedere come le persone detengano i loro "saperi" difendendoli
strenuamente da qualsiasi possibile contaminazione con i "saperi"
altrui,
- in una dove il tempo non solo è limitato, ma tende a zero, è
fondamentale poter condividere tutte le informazioni in tempo reale, capitalizzando
di volta in volta le possibili aggregazioni perché possibili nuovi spunti,
punti di partenza. In questo contesto le informazioni non possono essere "conservate"
nella testa delle persone, ma devono essere disponibili a prescindere da esse.