di Carlotta Spirito
“Mi piace l’idea
di raccontarmi, non me lo aveva mai chiesto nessuno”.
Sic incipit historia.
“Mi sono laureato in Diritto canonico a 21 anni perché mi volevo
sposare, con la donna della mia vita che avevo conosciuto in IV ginnasio. Mia
madre mi utilizzava, ero il primo della classe, per riscattarsi socialmente
nei confronti della droghiera che era ricca e aveva tanti gioielli.
Ho iniziato a lavorare in CGE, il mio capo era Pasquale Gagliardi.
Erano gli anni ’60, gli anni in cui i comunisti non venivano assunti,
gli anni dei primi grandi scioperi, gli anni in cui si iniziava a parlare di
equità, di meritocrazia, gli anni della riflessione personale, gli anni
in cui mi sono convinto che ero per la difesa dei principi e non per lo schieramento
di parte. Non sono ideologico.
Erano gli anni in cui esisteva la fabbrica del potere, dello schiavismo, di
destra, reazionaria tanto che ad un certo punto non ritenni più etico
stare e diedi le dimissioni.
Nel 1962 entrai in Unilever dove rimasi dieci anni. Unilever è stata
la scoperta della civiltà, vi regnava la cultura del metodo, della conoscenza,
era la learning organization.
L’obiettivo era apprendere. L’etica era importante.
Quando iniziai a lavorare il mio capo mi disse: sei pagato per confrontarti
prima ed obbedire dopo.
Erano gli anni del management development , il focus era sul rapporto tra fattori
hard, l’organizzazione e fattori soft, i comportamenti.
Una delle policy per quanto riguardava le persone era : ogni persona ha il diritto
di conoscere tutto ciò che lo riguarda. La trasparenza massima, e siamo
negli anni ’60 – ’70!
Sono stati dieci anni in cui sono stato immerso nella cultura delle risorse
umane più avanzata e illuminata, ma nonostante questo ad un certo punto
mi sentivo inquieto, avevo l’ansia, la voglia di essere utilizzato al
meglio.
Cercavo la sfida venendo da una bella azienda. Faticavo a trovare.
Entrai in contatto con Fiat, che nel 1972 era un incrocio fra il regno sabaudo
ed una caserma.
Sono arrivato a Torino come consulente e ho iniziato a lavorare sul cambiamento.
Mi offrirono a più riprese di diventare il direttore del personale, capii
che ero più adatto a dare consigli che a gestire il potere, ma avrei
rischiato di diventare una brutta copia di Mazarino.
Entrai, attraverso Hay, a contatto con la cultura americana: per noi l’azienda
è un organismo, per loro uno strumento, noi cerchiamo i managers, loro
cercano il management.
Ero ancora inquieto. E finalmente la grande avventura, nasce TESI.
TESI nasce come progetto sociale. Non ha mai avuto una struttura, un’organizzazione
formale, non esistevano junior, senior, meritocraticamente si diventava partners.
Molto forte era l’idea dell’integrazione dei modelli, quello sistemico
e le fasi del business, change management e i trasversali. Modellizzazione e
valori. Abbiamo lavorato tanto e bene.
A metà degli anni ’90 qualche cosa si è rotto, il conflitto
con la seconda linea è diventato insanabile, la proposta di costituire
una cooperativa non è andata a buon fine, un nucleo importante ha costituito
una nuova società, lasciando TESI.
E’ stato difficile, ho sofferto molto, avevo sempre pensato a TESI come
ad un progetto sociale, non ho mai pensato di poter far nulla da solo.
A sessant’anni ho deciso che si apriva un’altra stagione in cui
avrei fatto counselling al top management, volontariato, dei viaggi, avrei scritto
sulla gestione delle differenze, ma soprattutto mi sarei preparato alla fine
della vita.
Di che cosa non vi ho parlato, forse dell’etica della professione, dell’importanza
della qualità delle cose che fai, di crescere dentro. Non c’è
distinzione tra il professionista e l’uomo.
La formazione da leader è una formazione che ha una visione, che mobilita,
che fa crescere.
Quello che bisogna temere oggi è l’imbarbarimento.
La formazione non genera cambiamento, ma senza formazione il cambiamento è
più difficile.
Bisogna educare ed educarsi alla valorizzazione delle persone, alla centralità
della persona.
Che consigli vi posso dare, di fidarvi della vostra testa, di cercare sempre
tutte le possibili connessioni, di continuare ad imparare, di utilizzare la
manipolazione, di integrarvi con il diverso.”
Ulderico Capucci si è raccontato
a Milano in un incontro organizzato dalla Scuola di empowerment di Massimo Bruscaglioni
– Risfor, il 28 maggio 2002.