BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 01/01/1998

PER UN APPROCCIO ETNOGRAFICO
AN ANTHROPOLOGICAL APPROACH

di Davide Storni

Premessa
La complessità delle organizzazioni oggi non permette più una lettura limitata ad un solo paradigma. L'approccio ingegneristico-razionalista mostra evidenti limiti, incapace di uscire dalla limitatezza di un approccio "scientifico" che non considera, se non come "rumori", le dinamiche di potere, la dimensione psicologica individuale e di gruppo, la realtà culturale e la creatività.
Approcci quali la reingegnerizzazione di processo considerano le variabili soft (empowerment, gestione delle persone, ecc.), ma solo come un momento successivo e di contorno rispetto al momento ingegneristico di ristrutturazione dei processi. Peccato che nelle organizzazioni le dinamiche psicologiche, culturali e di gestione del potere siano le reali leve di mantenimento o cambiamento, motori e generatori degli elementi oggettivi (processi, sistemi). La nostra esperienza, relativa all'introduzione in azienda di concetti e approcci tipici dell'empowerment e della struttura snella, ha fatto emergere in tutta la sua importanza la dimensione culturale e di potere, tanto da rendere solo virtuali alcuni cambiamenti da noi introdotti.
L'introduzione di un modello organizzativo basato sui gruppi di lavoro, in particolare, ha permesso di ottenere ottimi risultati in termini di efficienza e raggiungimento degli obiettivi operativi. Per valutare il livello di empowerment delle persone coinvolte nel progetto abbiamo anche utilizzato un questionario, proposto a due popolazioni che hanno adottato la nuova forma organizzativa e a due popolazioni di controllo. Il questionario ha dato indicazioni sostanzialmente positive, malgrado la limitatezza dello strumento. Tuttavia ancora oggi non conosciamo il vero vissuto delle persone che sono state coinvolte nel progetto. Gli obiettivi numerici rappresentavano per noi solo un sub-obiettivo (a breve) dell'intervento che in realtà mirava a generare dei cambiamenti più radicali volti all'ottenimento di una maggior flessibilità, reattività ai cambiamenti e coinvolgimento, mediante un maggior livello di solidarietà all'interno del gruppo e l'assunzione di responsabilità da parte dei membri del gruppo su temi come la auto-formazione, la micro-organizzazione e la risoluzione dei conflitti, tematiche tradizionalmente di competenza del capo (quindi una maggior efficacia ed efficienza anche nel medio lungo periodo). Segnali di insoddisfazione e richieste di "ritornare alla situazione precedente" hanno fatto chiaramente capire a distanza di pochi mesi dall'intervento che la nuova forma organizzativa non é stata interiorizzata dalle persone. Un elemento di criticità, già segnalato da diversi autori, che impatta sui processi di cambiamento organizzativo rientranti nella logica della lean organization é rappresentato dall'aumento di ansia nelle persone, dovuto alle richieste di maggior coinvolgimento e responsabilizzazione.
Nel nostro caso abbiamo ritenuto di non partire con l'analisi di situazioni di malessere psicologico individuali, ma di rivolgere la nostra attenzione a dinamiche di tipo culturale, cioé alla formazione dei modelli di interpretazione del reale e di trasmissione della conoscenza, ponendo come ipotesi di lavoro che queste siano determinanti anche nella predisposizione dell'individuo verso situazioni nuove e più complesse. Abbiamo infatti rilevato come individui inseriti in azienda carichi di entusiasmo e voglia di conoscere e apprendere imbocchino ben presto (3 - 5 anni) la strada dell'adeguamento a modelli di comportamento agiti nell'ambiente. I paradigmi di lettura del rapporto con i capi e con i colleghi ci sono parsi elementi determinanti per conoscere la realtà delle unità tecniche, essendo forte il passaggio da una situazione di rapporto uno a uno fra lavoratore e capo, ad una situazione di (forzata) collaborazione con un gruppo di colleghi su basi di ampia autonomia e responsabilizzazione. Inoltre l'accettazione o meno dei gruppi appare come un fenomeno comune a tutta la popolazione piuttosto che legato ad alcune individualità. La scelta di ricorrere ad un approccio di tipo etnografico-antropologico, volto a studiare la cultura di un certo gruppo e il divenire della stessa a fronte di situazioni di forte mutamento del contesto (interventi organizzativi, cambiamenti negli strumenti informatici ...), rappresenta il tentativo di introdurre un nuovo paradigma conoscitivo e favorire la realizzazione di interventi organizzativi più legati al reale. Non meno importante é la convinzione che la individuazione di nuovi punti di vista, di nuovi paradigmi, possa permettere di avere una visione della realtà meno frammentata e scontata. Le indicazioni di seguito riportate sono sorte nel corso di incontri fra il gruppo di persone che da tempo lavora sui temi dell'empowerment e Franceso Varanini

1. Rapporto soggetto indagante - gruppo indagato e concetti base
Il tradizionale approccio positivista ricerca l'oggettività dei dati rilevati, basandosi essenzialmente su ricerche quantitative. L'antropologia ha da tempo accettato che ogni atto conoscitivo non può prescindere dal soggetto indagante, parallelamente la fisica ha scoperto che il ricercatore non é neutro rispetto all'atto conoscitivo, interferendo sempre con l'oggetto della ricerca. Il ricercatore si "introduce" nella vita del gruppo la cui cultura vuole indagare, portandovi i propri schemi mentali, le proprie azioni e intenzioni, modificando in tal modo il contesto stesso. Il gruppo vede il ricercatore come qualcosa di diverso da sé e ogni risposta é condizionata e plasmata da questo vissuto. Abbandonata l'illusione positivista di una conoscenza oggettiva, dobbiamo riconoscere l'esistenza di questo "disturbo" ed accettarlo. Secondo Varanini il modo migliore di porsi é quindi quello della trasparenza sui fini e sulle modalità della ricerca, accompagnato da una negoziazione fra esigenze del ricercatore e del gruppo indagato. Non dimentichiamo che, a differenza dell'antropologo, l'uomo di organizzazione ha sempre anche una funzione "manipolatrice", in quanto la sua azione non ha finalità solo conoscitive, ma é volta a modificare il contesto nel quale il gruppo agisce. Un altro concetto rilevante sviluppato dall'antropologia é quello dell'astensione dal giudizio. E' interessante ricordare a tal proposito che l'antropologia indaga sulle differenze fra culture e non sui deficit, accettando che ogni cultura rappresenta un punto di equilibrio del gruppo che la esprime rispetto al proprio contesto e relativamente alle dinamiche/esigenze interne. In altre parole, non dobbiamo approcciare una tribù aziendale per studiarne i deficit rispetto a job, compiti o obiettivi aziendali, ma per ricercarne le logiche di funzionamento interno, logiche che sono diverse dalle nostre, ma non per questo meno valide/buone/intelligenti/razionali. Semmai é interessante scoprire "razionali rispetto a che cosa" al fine di riconciliare questo elemento che assorbe energie del gruppo con gli obiettivi aziendali.
Ogni cultura é sempre conservatrice: infatti é l'insieme delle conoscenze sviluppate da un gruppo, delle modalità di azione comune, dei valori etici comuni, dei riti e dei miti che si sono dimostrati funzionali al mantenimento del gruppo stesso nel passato. La cultura tende a perpetuarsi e a soffocare la diversità. In quanto struttura di conoscenza la cultura non può essere definita dinamica: lo sviluppo della conoscenza all'interno di una cultura avviene per approfondimento di un paradigma e tende a vedere come "diverso" chiunque utilizzi parametri differenti. Vedi K.Lorenz, Kuhn et altri. Varanini ha potuto verificare sul campo che l'apprendimento avviene in modo agevole se inserito in "direttrici culturali" della comunità ed nel contesto ambientale nel quale la comunità vive. Se noi agiamo da promotori di cambiamento dobbiamo riconoscere e tenere presente questa tendenza dell'organizzazione a ritornare su schemi/parametri noti che, in quanto tali, riducono l'ansia e la necessità di apprendimento. Quando l'obiettivo dell'intervento organiuzzativo non é meramente conoscitivo, ma si propone di stimolare un cambiamento dovremo andare oltre la conoscenza della cultura di un gruppo o di. Il passo suggerito da Varanini é quello di studiare anche le utopie del gruppo, le opportunità e i desideri, cioé quegli elementi che provocando delle rotture, delle devianze rispetto alla cultura permettono l'accoglimento di novità (nuovi parametri, nuove conoscenze, nuovi modi di interazione sociale...).
Lo studio di culture e utopie é importante sia in fase di progettazione di un intervento socio-tecnico, sia in fase di verifica. L'indagine storica rispetto alla cultura di un gruppo ci permette di conoscere la propensione al cambiamento, il livello di conflittualità ed altri elementi utili per anticipare problemi in fase di intervento e, in un secondo momento, per conoscere la efficacia dell'intervento stesso. In questo senso l'indagine antropologica é anche un modo di autoindagine, in quanto ci fornisce elementi sul nostro modo di agire (rispetto ad un contesto) dato che ogni cambiamento é una interazione fra gruppo e studioso/elemento di cambiamento.

2. Ipotesi di lavoro: il metodo come "percorso attraverso" e come "processo di conoscenza".
In accordo con quanto prima esposto circa la opportunità di considerare l'interazione fra indagante e indagato e di esplicitare le motivazioni del primo, abbozziamo un'ipotesi di processo che includa, in qualche modo, la coscienza dell'impossibilità di conoscere oggettivamente e quindi anche di prevedere e predeterminare. Abbandoniamo quindi l'ipotesi di procedere da un modello definito a priori per procedere poi, attraverso un'azione pianificata, ad indurre delle modifiche nel sistema sociale oggetto del nostro intervento.
Fermi restando degli obiettivi stabiliti (supponiamo in modo esogeno), solitamente numerici, che dobbiamo considerare come vincoli del nostro vivere in azienda, proponiamo di adottare un metodo di processo piuttosto che predittivo, in grado di comprendere un forte livello di indeterminazione, variabilità e possibilità innovativa. Quest'ultimo elemento deve essere considerato come essenziale se accogliamo quanto sopra esposto sulla cultura in quanto ogni cambiamento richiede lo sviluppo di nuove forme di interazione sociale, di nuovi riti e miti comuni.
Lo schema processuale proposto é quindi il seguente: indagine (cultura e utopie) >> azione (interazione) >> comportamenti del gruppo >> indagine >> visione o interpretazione interattiva (multimediale) dove si assume che il modello interpretativo può essere sviluppato solo dopo avere agito e dopo aver studiato i meccanismi sociali che il gruppo utilizza per accettare/rifiutare il cambiamento proposto. Per parafrasare E. Morin potremmo dire che "il modello viene dopo". Sono evidenti le differenze rispetto allo schema classico di intervento (modello + obiettivi >> azione >> attuazione, con eventuale analisi del feedback per correggere eventuali scostamenti rispetto alle previsioni).
Nella fase di indagine si possono coinvolgere anche i membri del gruppo chiedendo loro come vedono l'organizzazione (in termini di cultura, utopie e meccanismi), scostandoci dall'approccio classico che distingue fra indagati e indaganti o fra soggetto e oggetto del processo conoscitivo (approccio positivista). In questo modo i membri del gruppo divengono attori di cambiamento, assumendo un ruolo attivo nel processo. Un altro possibile modo di descrivere il processo proposto é il seguente: cultura e potenzialità (desideri, sogni, utopie) >> sviluppo (possibile) >> nuova cultura >> interpretazione L'ottica degli agenti di cambiamento non é quindi quella di proporre un modello esogeno, ma di costruire sull'esistente (punto di contatto con l'empowerment), negoziando con il gruppo le condizioni di partecipazione all'organizzazione e i limiti entro i quali il potenziale si può sviluppare, in termini di risultati da conseguire. Per realizzare un vero apprendimento dobbiamo scoprire nuovi paradigmi (altrimenti non facciamo che ricercare una conferma dei nostri assunti di base), ricercare la sorpresa, smontare le idee di partenza.
Possiamo chiederci se la nostra proposta consista in un abbandono completo dei modelli. Ritengo che allo stato attuale della nostra riflessione possiamo considerare i modelli come degli strumenti di stimolo o come ipotesi provvisorie di lavoro, e quindi permetterne una trasformazione creativa nel divenire del processo di cambiamento. Da ultimo il processo proposto può essere letto anche come processo continuo di negoziazione dei limiti entro i quali si può sviluppare la potenzialità del gruppo sociale. (In questo senso possiamo parlare di rivoluzione - dal latino volvere, far rotolare, rivoltare - piuttosto che di cambiamento, visto più come passaggio da uno stato ad un altro)

3. Da risorse a persone
Il concetto di risorse umane evoca qualcosa da plasmare, utilizzare, eventualmente curare, ma sempre qualcosa di estraneo dal soggetto, in questo senso un oggetto da conoscere e sul quale agire. Questa visione, centrata su un modello razionalistico-positivista, non permette di adottare quanto prima esposto. Proponiamo di considerare gli individui facenti parte del gruppo, della comunità, semplicemente come persone, differenti da noi, ma sullo stesso piano. Possiamo allora agire con le persone e non su di esse.
Il taylorismo era legato alle immagini uomo=macchina e organizzazione come ingegneria; - la scuola delle human relations considerava gli aspetti psicologici degli individui/gruppi (solitamente in termini di gap) e assumeva le immagini di uomo=psico (teoria dei bisogni...) e organizzazione=ingegneria + psicologia; - l'approccio antropologico assume l'immagine dell'uomo come persona nella sua totalità e specificità, come individuo con il quale l'organizzazione negozia: l'organizzazione é quindi etnografia + negoziazione (in quanto garante della "logica aziendale") + agente di cambiamento (sviluppo delle potenzialità del gruppo). Oggi l'organizzazione diviene sempre più interconnessione, non permanenza, relatività, possiamo vedere l'opera di chi si occupa di sviluppo organizzativo come creazione di relazioni. Se le persone sono sullo stesso piano di chi "rappresenta l'azienda" e se negoziamo con esse le condizioni di partecipazioni ad una certa rete di relazioni, non siamo più solo degli emissari della direzione, ma anche degli immissari in quanto coinvolti in un processo a due vie, portatori di proposte.
In quanto rete di relazioni, l'azienda più che risorse avrà degli utenti di rete, con i quali negoziare possibilità di sviluppo comuni.
Conclusioni
I sistemi complessi richiedono lo sviluppo di un nuovo approccio che consenta una visione consapevolmente parziale, ma non riduzionistica della realtà. L'azienda é un sistema complesso che vede sovrapporsi e intersecarsi piani e dimensioni diverse (elementi numerici, situazioni personali, relazioni sociali, rapporti di potere ....) e l'organizzazione é lo studio di questi sistemi complessi. L'incontro con discipline diverse, quali l'antropologia, si rivela proficuo in quanto ci fornisce nuovi paradigmi, nuovi punti di vista e stimoli, aiutando l'operatore ad evitare almeno alcuni degli errori derivanti dalla frammentarietà dei propri schemi di conoscenza.

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