BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 03/11/1998

Il Business Process Reengineering (BPR) nelle Compagnie di assicurazione

Una panoramica su alcune metodologie di cambiamento organizzativo

di Davide Storni

Negli ultimi anni anche nel mondo delle assicurazioni si è fatto un gran parlare di business process reengineering. In questo articolo, senza tornare sulla metodologia, intendo soffermarmi su due aspetti molto spesso trascurati e che possono portare a gravi disillusioni o a significative sottostime riguardo alla complessità degli interventi di BPR.

Un’analisi svolta due anni fa negli Stati Uniti metteva in evidenza come solo il 30% dei progetti di BPR avessero ottenuto i vantaggi previsti, mentre un altro 30% non aveva ottenuto vantaggi per nulla, rappresentando solamente un aggravio di costi e uno spreco di risorse.

Una percentuale di tale tipo non è adducibile a carenze di metodologia nell’analisi e disegno dei processi ovvero alla parte ingegneristica, ma va a mio avviso ricercata in altri fattori.

Una prima causa di delusione può essere dovuta a scarsa chiarezza sulle finalità dell’intervento e/o sulla tipologia di intervento scelta.

Molte volte ho riscontrato una non corretta visione di che cosa sia il BPR. E’ quindi opportuno ridefinire con esattezza il contesto di questa metodologia.

Il BPR non è razionalizzazione dei processi esistenti.

E’ da più di vent’anni che chi opera nel campo dell’organizzazione lavora sui processi, mentre il BPR è stato definito da Hammer e Champy solamente nel 1989 e ha rappresentato una grossa novità.

Non è automazione dei processi.

Collegare on line ispettorati o agenzie e sede non significa fare BPR, anche se il BPR spesso comporta l’automazione di parti di processo.

Non è downsizing.

Razionalizzare i processi per ottenere maggior efficienza in vista di una riduzione degli organici non è ancora BPR, anche se spesso il BPR comporta drastiche riduzioni di organico.

IL BPR è un "big change, fast" un cambiamento radicale e rapido, si potrebbe anche tradurre come cambiamento di paradigma cioè un ripensamento di fondo degli assunti che regolano il sistema organizzativo. Tutto viene rimesso in discussione e ridefinito sulla base di nuovi assunti, di un nuovo paradigma di lettura dell’organizzazione.

Ma soprattutto il BPR parte dal cliente, dalla definizione che la compagnia da di cliente e dagli output che intende offrire, e procede a ritroso nella ridefinizione dei processi che producono valore aggiunto. E’ un processo di business transformation, di ridefinizione del target di mercato nel quale si intende operare e di ricerca di efficacia e non solo di razionalizzazione dell’esistente o di ricerca di efficienza,

Riprendo una obiezione che mi è stata fatta ad un recente convegno per chiarire un punto: porre il cliente al centro del processo non vuol dire adeguarsi alle richieste di un qualsivoglia cliente. Vuol dire invece conoscere in modo approfondito il mercato e selezionare i clienti che si vogliono servire. La definizione attenta del target di clientela è importante per almeno due motivi: innanzitutto oggi è sempre più difficile essere generalisti, servire bene una gamma variegata e differenziata di clienti; inoltre la segmentazione permette di concentrare l’attenzione su una certa tipologia di clienti e quindi di conoscerli e servirli meglio, di realizzare cioè quella customer intimacy indispensabile a progettare servizi, prodotti e processi che siano specifici, particolari e vincenti.

Molte volte in passato sono statai gli agenti a segmentare la clientela, scegliendo il posizionamento fisico dell’agenzia (centro – periferia, città – provincia, …), aggredendo particolari fasce di clienti o semplicemente in base alla propria rete di relazioni. Oggi le Compagnie non posso non più permettersi di lasciare questa scelta agli agenti e devono invece avviare una strategia volta a conoscere il cliente, scegliere il target di riferimento e predisporre dei prodotti che incontrino le sue esigenze. A mio avviso questo può essere più agevolmente ottenuto avviando una stretta collaborazione con i propri partner commerciali, in primo luogo gli agenti, cercando di superare la logica di contrapposizione verso una logica di partnership che sola può permettere una migliore gestione del cliente.

In altri Paesi la segmentazione del mercato è una pratica ben più diffusa da parte delle compagnie. La conoscenza del cliente e il riprogettare i processi partendo da questa permette di gestire in modo profittevole anche settori aborriti quale ad esempio il settore dei plurisinistrati auto.

Quando parlo di segmentazione dei clienti non intendo la solita suddivisione fra aziende e persone, ma un’attenta analisi delle associazioni che facciano comprendere all’azienda le effettive necessità di un determinato gruppo di clienti. Lo studio delle associazioni è fondamentale per una corretta segmentazione del mercato, ma spesso ostacolato da database insufficienti, tuttavia ritengo che si possa avviare un processo di segmentazione coerente anche partendo da database insufficienti avviando lo studio di una serie di casi e utilizzando persone che hanno contatto quotidiano e quindi conoscenza diretta dei clienti.

Chiarire le attese di chi vuole intraprendere un processo di miglioramento (miglioramenti graduali – rapidi, efficienza – efficacia, razionalizzazione – ridisegno) permette di valutare con maggior serenità gli obiettivi e i risultati.

Non sempre alle aziende serve un ridisegno radicale dei progetti, ma allora è importante sapere che i risultati ottenibili da un approccio più tradizionale non saranno gli stessi.

Molto dipende dalla volontà della compagnia rispetto al mercato. Il BPR si sposa con politiche anticipatorie, con la ricerca di nuove opportunità o con la necessità di invertire una situazione fortemente negativa o statica.

Va anche detto che non su tutti i processi aziendali è opportuno e/o necessario applicare il BPR. La costruzione di una matrice di opportunità permette di capire quali processi siano da ripensare in modo globale e quali siano solamente da ottimizzare.

Nel caso non si ritenga necessario avviare un progetto di Business transformation quel è il BPR è comunque importante introdurre in azienda un’ottica di processo per riportare l’attenzione di tutte le funzioni aziendali al rapporto cliente/compagnia, ai risultati complessivi, riducendo la eccessiva attenzione ai rapporti interni tipica di strutture basate sulla logica della ripartizione su base professionale delle attività.

Il secondo elemento che può spiegare un livello di insoddisfazione tanto elevato nella realizzazione di progetti di BPR è il "dopo BPR", cioè l’impatto che la ridefinizione dei processi ha sulle altre variabili organizzative, sulla cultura aziendale e sulle persone.

Storicamente l’organizzazione delle aziende ha teso verso la frammentazione dei processi, alla ricerca di una maggior specializzazione che permettesse economie di scala e elevati livelli di conoscenza specialistica. Fino a quando il mercato è stato essenzialmente vincolato all’offerta, questo tipo di organizzazione ha funzionato molto bene. Si poteva pianificare, produrre sfruttando le economie di scala e di specializzazione e, poi, vendere mirando a conquistare quote sempre più ampie di un mercato in espansione.

Quando però è la domanda a creare il mercato, selezionando i prodotti migliori o i migliori servizi, quando i cambiamenti di scenario sono tanto rapidi da richiedere flessibilità e capacità di cambiamento nell’offerta, allora lo schema specializzazione >> economie di scala >> espansione non funziona più e le aziende sono obbligate a intraprendere altre strade.

Già negli anni sessanta gli studiosi di organizzazione cominciavano a porsi il problema del coordinamento di strutture specialistiche e a valutare il costo del non coordinamento, scontrandosi però con il costo del coordinamento. Infatti le soluzioni individuate, strutture a matrice, di product management, ecc., pur ottenendo lo scopo di coordinare strutture specialistiche, presentavano la criticità di aumentare la complessità organizzativa arrivando a situazioni quasi ingestibili.

Solo negli anni 80 si è tornati a riflettere sui processi, prima con approcci di miglioramento incrementale (Jit, miglioramento continuo, qualità totale) poi, sotto la spinta di mercati sempre più turbolenti, con approcci radicali quali il BPR. Improvvisamente ci si è accorti che sono i processi a generare i risultati aziendali e non le strutture funzionali e che si doveva ripartire dall’analisi dei processi per permettere alle aziende di fare un passo determinante alla ricerca di maggior efficienza ed efficacia, ma soprattutto verso una maggior flessibililtà e capacità di incontrare le effettive esigenze dei clienti.

I processi tagliano trasversalmente le organizzazioni tradizionali tipicamente disegnate partendo da una logica specialistico-funzionale (funzione tecnica, commerciale, …). L’adozione di una logica di processo richiede quindi un significativo sforzo di coordinamento delle attività distribuite fra diversi enti aziendali, ma coordinare strutture progettate per essere divise (divisione di compiti su base professionale e gerarchica) ha un costo notevole in termini di ore uomo dedicate al coordinamento. Penso che non esistano studi specifici che dicano quanto costa il coordinamento, ma ognuno può pensare a dei casi concreti e valutare l’impatto di questa attività sui costi aziendali: quanto tempo passa un capo area in contatti con le funzioni tecniche, le direzioni di staff, il marketing, i sinistri? O un capo ramo in rapporti con i colleghi, con i commerciali, ecc.? Si deve spendere tempo per concordare il budget, per analizzare insieme i risultati, per definire un contratto particolare, per decidere una campagna di vendita o riforma, per decidere come gestire un certo agente, per gestire conflitti di competenza, in altre parole per quasi tutte le attività. E il tempo speso per attività di coordinamento è un costo per la compagnia.

Ma, attenzione, non è un costo obbligatorio in quanto deriva semplicemente dalla scelta organizzativa adottata. Alcune aziende si sono sensibilizzate al problema del costo del coordinamento e hanno scelto di mantenere le proprie unità produttive sotto le duecento persone, dividendo in due qualunque realtà superi tale soglia, riuscendo così a mantenere estremamente bassi i costi di struttura e di coordinamento. Altre hanno deciso di creare strutture con pochi livelli gerarchici per ridurre i tempi di reazione, avvicinare i vertici dell’azienda al livello che interfaccia il cliente e eroga effettivamente il servizio e per ridurre i costi di "gestione" della gerarchia e alcune sue distorsioni (eccessiva attenzione al rapporto capo-subordinato e conseguente poca attenzione al rapporto con il cliente).

Ma il vero passo avanti in termini di riduzione del costo del coordinamento si è avuto, o meglio si può avere, con un ridisegno dell’organizzazione fatta a partire dai nuovi processi.

Ridisegnare i processi in modo corretto può però non essere sufficiente a migliorare in modo significativo i risultati aziendali in quanto i nuovi processi devono essere poi agiti da persone che vengono da decenni di cultura funzional specialistica, mentre l’esperienza delle aziende "ridisegnate" è ancora breve e deve ancora essere diffusa e approfondita.

Per valutare l’impatto del BPR sui meccanismi operativi e sulle persone che operano nelle aziende "ridisegnate" proponiamo le seguenti riflessioni.

Il BPR cambia i ruoli perché tende a ridurre la frammentazione e la specializzazione funzionale in favore di una aggregazione di compiti che consenta di gestire con maggior rapidità e efficacia il rapporto con il cliente. Le persone che vengono a contatto con il cliente devono essere in grado di capire i problemi del cliente, offrire consulenza, fornire soluzioni, cioè offrire valore aggiunto al cliente. In una Compagnia tradizionale, una trattativa mediamente complessa coinvolgeva una molteplicità di strutture (commerciale, rami) e di livelli gerarchici con il risultato che il momento decisionale era fisicamente e idealmente lontano dal cliente e che spesso il processo decisionale era guidato da valori completamente diversi da quelli di una corretta gestione del rapporto con il cliente (equilibrio tecnico, ma anche rapporti fra persone e enti diversi).

Il BPR cambia i sistemi di delega e i rapporti capo subordinato: i punti di interfaccia con il cliente sono il centro dell’organizzazione per processo e l’autonomia decisionale delle persone che operano in queste punti nevralgici è determinante per garantire la necessaria flessibilità e la capacità di offrire servizio personalizzato al cliente.

Il capo diviene in quest’ottica un allenatore, uno sponsor, deve "potenziare", "rendere capaci" i propri collaboratori piuttosto che controllarli e guidarli, e questo è il cambiamento forse più difficile.

Il BPR cambia le strutture, che divengono più piatte perché dopo il ridisegno dei processi serve meno coordinamento e le persone che operano in ottica di processo sono più autonome, responsabilizzate, capaci di auto-controllo.

Le strutture cambiano anche perché è possibile pensare ad un’azienda organizzata per processi invece che per funzioni, su unità definite partendo da un segmento di clienti piuttosto che da una tipologia professionale.

IL BPR cambia le competenze necessarie a tutti i livelli dell’organizzazione. Il problem solving, la capacità di ascolto e di comunicare, la capacità di lavorare in team acquistano molta più importanza che in passato, mentre le specializzazioni tecniche vengono inglobate nel processo o vengono concentrate in poche figure super-specializzate che operano in ruoli di supporto ai processi di business.

Il BPR cambia i meccanismi operativi, perché le modalità di pianificazione e controllo, di valutazione, di diffusione dell’informazione, ecc. devono essere completamente ripensate partendo dal cliente e dai processi.

Se pensiamo all’impatto di questi cambiamenti possiamo ben capire come la maggior difficoltà consista nel dopo BPR, perché tutto questo si scontra con una cultura organizzativa e aziendale vecchia più di un secolo. Ridisegnare nuovi processi senza disporre delle competenze necessarie e della necessaria motivazione non può che portare a risultati parziali. Analogamente ridisegnare processi per poi gestirli con strutture tradizionali può essere eccessivamente costoso in termini di coordinamento e di gestione delle conseguente complessità gestionale.

Per quanto concerne le nuove competenze la tradizionale gap analisys non funziona, perché non di tratta di insegnare poche tecniche elementari o di addestrare il personale alle nuove mansioni colmando il divario fra una situazione esistente e una attesa, se non altro perché nessuno conosce bene la situazione attesa. Il fenomeno che si innesca con il ridisegno dei processi di business è un processo di apprendimento e di cambiamento culturale. Si deve inventare un nuovo modo di lavorare, di valutare, di sviluppare conoscenze, di pensare il rapporto fra capi e collaboratori.

In qualità di responsabile dell’Organizzazione in una Compagnia ho avuto la possibilità di sperimentare alcune forme organizzative che si accompagnano al ridisegno dei processi. L’avvio di gruppi di lavoro autogestiti ha permesso alla Compagnia di risolvere un importante problema e di provare sul campo una nuova forma organizzativa che prevedeva la scomparsa del capo ufficio, la costituzione di team di lavoro responsabilizzati su obiettivi numerici e qualitativi e la trasformazione delle figure dei capi diretti ai quali era richiesto di divenire allenatori e sponsor dei gruppi.

Al di là dei brillanti risultati operativi (i gruppi hanno abbondantemente superato gli obiettivi assegnati per tutti gli anni dell’esperimento) si sono manifestate delle dinamiche interne ai gruppi e ancor più fra capi e gruppi che di fatto hanno reso precaria la continuazione dell’esperimento e che suggerivano un ripensamento di fondo del progetto.

Chi ha passato la vita a "rubare" informazioni al proprio capo è naturalmente portato a tenersi le informazioni nel cassetto e anche se condivide le linee guida del progetto poi agisce diversamente, non per malafede, ma perché ognuno di noi tende a ripercorrere le strade conosciute, a riprodurre modelli che si sono rivelati di successo in passato o semplicemente i modelli culturali appresi dall’ambiente nel quale ha operato. In più esiste una grossa differenza fra capire le cose dette in un’aula e saperle poi tradurre in comportamenti reali.

La resistenza al cambiamento più forte è venuta proprio dai capi che temevano di veder messa in discussione la propria credibilità e il proprio status.

Ma anche all’interno dei gruppi si sono manifestate tendenze alla disgregazione, essenzialmente per tre motivi:

Questo esperimento ci fa capire quali possano essere le difficoltà conseguenti alla realizzazione di un intervento di BPR, che ha un impatto senz’altro più vasto dell’esperimento illustrato, e che sono riassumibili nella necessità di avviare un processo di apprendimento e di invenzione di nuove forme culturali e di nuovi meccanismi operativi. Il vero rischio in un processo di cambiamento come quello avviato da un BPR è rappresentato dal riduzionismo, dal pensare cioè di poter gestire il cambiamento operando su poche variabili o di poter pianificare tutte le fasi del processo e di gestirle in modo accentrato, senza un vasto coinvolgimento.

Concludo queste riflessioni lasciando ad altra occasione l’analisi di come potrebbe essere il dopo BPR.

Ho presentato le difficoltà collegate a questo approccio e non vorrei aver trasmesso l’idea di una eccessiva onerosità. In realtà il BPR è uno strumento potente che permette, a chi lo attua anticipando i concorrenti, forti vantaggi competitivi sia in termini di maggior efficienza che di sostanziale miglioramento del livello di servizio offerto. Il rischio per chi si fa scoraggiare dalla difficoltà del progetto consiste nel trovarsi ad inseguire chi è riuscito a fare il salto di qualità. Certo in quanto intervento radicale, il BPR deve essere progettato con la consapevolezza che si tratta di qualche cosa di diverso dal comprare una nuova tecnologia o di applicare una metodologia, anche se una metodologia di analisi e di progetto è importante e la tecnologia rappresenta un fattore abilitante importantissimo. Con il BPR si introducono in azienda i semi della creatività, della partecipazione e si avvia in processo di cambiamento culturale.

Pagina precedente

Indice dei contributi