BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 05/12/2005

CAMBIAMENTO, RESISTENZA AL CAMBIAMENTO E GESTIONE DEI PROGETTI DI CONSULENZA (E ANCHE PRESENTAZIONE DEL LIBRO "LA PERSONA FINALMENTE")

di Davide Storni

Vi è mai capitato di vendere un progetto di consulenza? I documenti di offerta sono sempre più strutturati: presentazione della società, obiettivi dell'intervento, metodologia utilizzata, piano di lavoro edeliverables (quello che verrà consegnato alla fine del lavoro).

Mi pare opportuno che le aziende cerchino di capire chi si trovano di fronte e cosa stanno comperando.

Però c'è un problema; quando si comperano progetti che dovrebbero cambiare l'organizzazione questo schema, logico nella sua linearità e consequenzialità, può non funzionare più, anzi non funziona mai. Siamo di fronte al dilemma: se funziona non ho generato vero cambiamento; se per caso si è generato cambiamento è perché non si è seguito il processo lineare descritto.

Oppure: “Vi stiamo proponendo un progetto innovativo”, “Ma in quali ambiti l'avete realizzato?”

Il fatto è che se non è stato realizzato altrove il progetto è poco credibile, ma se è stato realizzato in altre realtà non è più innovativo. E comunque sarebbe un progetto diverso.

Il risultato? Molte volte mi capita di dover cambiare in modo anche significativo il percorso di supporto al cliente per poterlo aiutare effettivamente a cambiare, ed è un adattamento non predicibile e creativo quello che devo mettere in pratica.

Per provare a capire il perché si generi il dilemma illustrato e sul perché i cambiamenti lineari e top down non possano funzionare, ripercorro alcuni brani tratti dal mio libro “La persona finalmente! Le organizzazioni come fonti di opportunità e luoghi di partecipazione.” uscito per Guerinieditore lo scorso ottobre.

“Esiste una vasta bibliografia sulla resistenza al cambiamento e il concetto è tanto diffuso da essere ormai dato per scontato e perciò molto spesso sottovalutato. A mio avviso esiste un travisamento. La resistenza al cambiamento non esiste, voglio dire che non esiste come fenomeno a sé stante, come predisposizione innata. Le persone cambiano in continuazione, tanto che quando si incontra una persona che ha avuto continuità nella sua vita lavorativa e/o famigliare la cosa ci stupisce. Quello che è certo è che le persone di fronte al mutare dell’ambiente circostante hanno delle reazioni, ma non è detto che queste siano negative e che si manifestino in una resistenza tenace, in un tentativo di mantenere le proprie posizioni. Almeno questa è la mia esperienza. Le persone cambiano, cercano nuovi lavori, nuovi/e amanti, nuovi divertimenti, tanto che una dei principali business di ogni tempo consiste nel proporre nuovi modi di strutturazione del tempo (giochi, divertimenti, passatempi).

È però vero che molte volte di fronte ad un cambiamento indotto da forze esterne, rispetto al quale non si possiede una strategia vincente, le persone reagiscono cercando di resistere, per cui se il cercare nuovi/e amanti pare essere passatempo diffusissimo, quando ci troviamo a subire questo comportamento da parte del nostro partner ci troviamo senza dubbio a disagio (per usare una espressione eufemistica). Il cambiamento generato da scelte di altri ci trova spesso spiazzati, incapaci di gestire la situazione, frustrati e senza idee. In questo caso uno dei modi più comuni di reagire è proprio quello di opporre una resistenza più o meno attiva, nel tentativo di posporre e/o minimizzare gli effetti negativi del cambiamento, o più semplicemente per vendicarci in qualche modo di chi ci ha condotti in questa spiacevole situazione.

Mentre attiviamo volentieri dei comportamenti volti a cambiare il nostro modo di vivere, il cambiamento esogeno genera stress perché non siamo preparati ad affrontarlo in quanto ci mancano le informazioni  necessarie per poterlo gestire e vediamo in esso il potenziale rischio di perdere prestigio, danaro, tranquillità, sicurezza.

Non è quindi il cambiamento in sé a generare stress, ma il cambiamento esogeno, che ci frana addosso senza che noi siamo attrezzati per gestirlo. Ma anche in questi casi cerchiamo di attivare strategie volte a massimizzare i profitti ottenibili dai nuovi scenari e/o a minimizzare le perdite. Tendiamo cioè a “gestire” la nuova situazione ricercando attivamente il miglior compromesso fra energia spesa e vantaggi ottenibili. “La vita e bella” di Benigni mostra con estrema efficacia come l'uomo sia in grado di reagire al cambiamento, anche in situazioni estreme come nel caso dei campi di sterminio, cercando di attivare strategie volte a sopravvivere e, in altri contesti, migliorare la propria situazione. Ne deriva che non esiste necessariamente e in modo innato una tendenza a resistere al cambiamento, esiste semmai una innata tendenza a ricercare, nell'ambiente circostante e nelle situazioni in cui ci troviamo coinvolti, risorse e opportunità. Certamente vi sono situazioni dove la strategia più sensata consiste nel minimizzare le perdite, come quando in una mano di poker si ha solamente una coppia e si decide di lasciare. Se per un certo tempo le carte sono sempre negative, un osservatore esterno potrebbe pensare che la persona non voglia giocare, faccia resistenza, ma non si tratta che di un comportamento razionale in funzione delle regole del gioco e delle carte ce la sorte ci assegna. Se infatti arrivano delle carte buone, vedrete immediatamente la persona, prima uggiosa e restia a puntare, lanciarsi con entusiasmo nel gioco. Ho potuto constatare più volte questo fenomeno. Persone che mostravano una accanita resistenza rispetto al cambiamento, di fronte a mutate condizioni non solo accettavano di mettersi in gioco, ma a volte divenivano fautori del cambiamento stesso. Possiamo allora supporre che la resistenza al cambiamento non sia un attributo delle persone, né una costante, ma solo una delle modalità in cui si esplicitano le nostre strategie di azione, una scelta temporanea e funzionale alle regole del gioco in cui siamo coinvolti e alle possibilità di vittoria che le nostre risorse e il caso ci mettono a disposizione.

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Un altro elemento che ho capito strada facendo è che, se la resistenza al cambiamento è prevalentemente legata ai limiti di chi lo gestisce, per migliorare l'efficacia degli interventi di cambiamento è fondamentale cominciare da noi stessi.

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Proviamo invece a pensare che il nostro compito sia quello di assecondare il processo di apprendimento dell'organizzazione (che comunque in qualche modo avviene ugualmente anche senza il nostro intervento), supportare le persone nel loro processo di sviluppo, favorire la trasposizione del saper fare individuale in un saper fare dell'organizzazione, se in altre parole mettiamo al centro le persone con i loro desideri e i loro limiti, le loro aspettative e paure, cambiando in primo luogo il nostro modo di intendere il rapporto con loro,

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Il cambiamento va quindi inteso in senso più ampio come un processo che comprende sia la popolazione oggetto dell'intervento sia gli agenti di cambiamento, intesi come coloro che promuovono e gestiscono il processo stesso.

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Il cambiamento ci cambia, ma possiamo leggere questa relazione anche in altro modo: se noi stessi cambiamo ingeneriamo anche delle modificazione o almeno la possibilità di modificazioni nell'ambiente che ci circonda. Questo passaggio è fondamentale per completare il ragionamento fatto al precedente paragrafo. Infatti la disponibilità a cambiare noi stessi (le nostre idee e modelli mentali, la concezione del nostro ruolo, l'impostazione dei progetti che stiamo conducendo, ecc.) rappresenta un passo determinante e prioritario per innescare un reale processo di cambiamento. Vision, determinazione e coinvolgimento vengono dopo o, forse, possiamo dire che sono credibili e condivisibili solo se mettiamo in gioco noi stessi. 

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Recentemente mi è capitato di trovare un importante contributo rispetto al principio di cambiare se stessi per cambiare la realtà che ci circonda su Reflections, the SOL journal,[1] dove venivano presentati dei contributi di membri di ROCA[2] dal titolo “living the change you seek”[3].

Riporto un passo tratto dal testo in quanto molto esplicativo “we were sure that everyboby could change – except us. ... as we've come to see, we can change only ourselves.” [4]

Questo breve passo illustra molto bene il passaggio fra un atteggiamento di aiuto sviluppato nella logica del “noi – loro” (dove Noi siamo convinti di essere migliori solamente perché da illuminati buoni samaritani aiutiamo il prossimo, mentre Loro sono  “quelli che hanno bisogno di aiuto, in quanto non sono in grado di cavarsela da soli”) ad un atteggiamento di ricerca del rapporto con gli altri perché a noi interessa quel rapporto, convinti che possa arricchirci e cambiarci, e tramite questa nostra trasformazione anche influire sugli altri”.

Se il processo di cambiamento è un percorso di scoperta che mette in gioco sia noi stessi che gli altri, è evidente che

Certo è difficile trovare clienti che ci paghino per intraprendere un cammino non prefigurabile né nel processo, né nel punto di arrivo. Però forse solo per quel cliente saremo in grado di creare reale valore aggiunto.

[1] SOL è la society for organizational learning che vede fra i soci fondatori Peter Senge, autore di La quinta disciplina. Www.solonline.org


[2] ROCA è un'associazione di aiuto multiculturale che opera negli States con lo scopo di favorire l'autonomia e la consapevolezza delle persone; è attiva in diverse città della East Coast e gestisce progetti di supporto per i ragazzi coinvolti in bande giovanili, immigrati, famiglie. Www.rocainc.org


[3] Vivere il cambiamento che cerchi.


[4] Eravamo sicuri che tutti potessero cambiare (eccetto noi) .... poi ci accorgemmo che potevamo cambiare solo noi stessi.


Parleremo di questo, e di temi connessi,giovedì 15 dicembre alle 18 e 30, a Milano, presso Autogrill/Spizzico in piazza Duomo (angolo Galleria, sopra Feltrinelli). Tutti gli amici di Bloom sono invitati all’incontro.

 

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