BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 17/03/2008

LA PERSONA E IL CONTESTO: VERSO UNA VISIONE DEL CAMBIAMENTO COME EVOLUZIONE

di Davide Storni


Uno dei principali limiti che intravedo nelle aziende che visito in qualità di consulente è la eccessiva frammentazione specialistica di chi si occupa, o almeno dovrebbe occuparsi, di cambiamento.
Mi riferisco in particolare a chi si occupa di persone, di organizzazione e di informatica.
È chiaro come una visione sistemica del cambiamento non possa che prendere in considerazioni tutte queste variabili, quindi il modello che una azienda si da per realizzare la propria vision e mission, gli strumenti che ha a disposizione per capire dove sta andando e come (ovvero le informazioni), e le persone che vi operano.

Spesso lo sbaglio consiste nel definire nuovi modelli organizzativi a seguito di interventi top down quali fusioni, downsizing, eccetera e aspettarsi che le persone automaticamente (o dopo un breve corso di formazione) si adeguino al nuovo modello dimenticando che:

  1. Alcune situazioni portano oggettivamente uno svantaggio alle persone che non sono in grado di gestire adeguatamente la nuova situazione (ad es per mancanza di adeguate competenze);
  2. Il nuovo assetto organizzativo porta ad una modificazione del modello di relazioni di potere con conseguente spiazzamento delle persone che devono trovare un nuovo assetto relazionale;
  3. Nuovo è anche il modello culturale necessario, soprattutto quando questo modello si prefigge di mettere insieme culture diverse o va ad incidere su alcuni presupposti radicati nella cultura professionale delle persone (permanenza del rapporto di lavoro, sentieri di carriera, ....).

Risulta quindi opportuno attivare un percorso di accompagnamento delle persone che possa traghettarle verso al nuova situazione, al nuovo sistema di relazioni, competenze, sistemi gestionali. Fioriscono così società che si occupano di change management e che aiutano a far conoscere i motivi e le logiche del cambiamento, favorendone l’adozione da parte delle persone.
Questa modalità top down comporta però una scarsa partecipazione delle persone che non possono che valutare la nuova situazione in termini di vantaggi o svantaggi personali, attivando un comportamento di sottomissione/accettazione (commitment) e/o di abbandono/resistenza, più raramente di entusiasmo nel percepire nuove opportunità nel nuovo assetto organizzativo proposto.
Il cambiamento partecipato richiederebbe invece l’attivazione di canali di autentico ascolto che nella maggior parte dei casi non esistono o sono solo virtuali/manipolatori; un ascolto vero potrebbe infatti portare ad un ripensamento del cambiamento e quindi ad una messa in discussione delle premesse sulle quali lo stesso è fondato e raramente ciò succede per essenzialmente due motivi:

  1. Si ritiene che la competenza sia accentrata solo o prevalentemente nel gruppo professionale proponente il nuovo assetto (consulenti, gruppo di vertice); lasciando pure perdere le situazioni basate su una pura logica di potere, questo comportamento è solitamente indotto da una erronea ed elitaria concezione della propria professione;
  2. La competenza di ascolto è cosa assai rara nelle organizzazioni, e ancor più fra il top management; solitamente si tende a leggere i momenti di ascolto come chiacchiera inutile e perdita di tempo, favorendo in questo modo “l’avverarsi della profezia” (non mettendosi in condizione di ascolto reale si vanifica ogni forma di dialogo e confronto, rendendo inutili e perdite di tempo le comunicazioni non ufficiali/strutturate).

La logica sottesa alla comunicazione nelle organizzazioni complesse è quella del broadcast, ovvero della diffusione da un punto centrale di trasmissione delle informazioni e solo di quelle che si ritiene di comunicare. Solo recentemente alcune organizzazioni hanno cominciato ad attivare una logica blog, al fine di aprire canali di ascolto verso i clienti, tuttavia siamo ancora di fronte ad una logica prevalentemente broadcast con alcune graziose varianti.

Il secondo importante filone di intervento volto a favorire il cambiamento nelle organizzazione è l’intervento sulla persona, anzi sulla risorsa umana. Chi ha letto “La persona finalmente” sa della differenzia sostanziale fra la concezione di risorsa e il riconoscimento della persona. Per chi non ha letto questo libro fondamentale per lo sviluppo della cultura umana, voglio qui ricordare che risorsa è un termine generico (un termine collettivo volto a rappresentare una classe omogenea) e elitario (tu sei la mia risorsa, qualche cosa che uso a mia discrezione e per i miei scopi), mentre il termine persona rappresenta una unicità con proprie specifiche caratteristiche (sogni, capacità, desideri, storia, eccetera).
Gli interventi sulla risorsa umana sono generalmente svolti con il fine di aiutare la persona ad aumentare la propria capacità di relazionamento e/o a sviluppare alcune caratteristiche a volte di interesse più dell’organizzazione che della persona; da qui sviluppo del potenziale, formazione, coaching, precedute da adeguati assessment e gap analysis.
Per quanto ben condotti, e sono ormai molti i professionisti bravi in questo campo, siamo di fronte ad interventi parziali che partono dall’assunto che intervenendo sulle persone avrò poi un ritorno sull’organizzazione in termini di migliori risultati e/o di minori resistenze. Tuttavia questa è una visione alquanto parziale e “speranzosa”; per quanto creare cultura e aiutare il singolo sia comunque una attività lodevole, non possiamo aspettarci immediati ritorni in termini organizzativi. La sindrome del lunedì mattina è in agguato (1). In generale possiamo aspettarci che una persona che pure abbia accettato di mettersi in gioco e di migliorare se stessa trovi poi grande resistenza da parte di un ambiente professionale e culturale che presenta un fortissimo tasso di resilienza e tende a riprodurre se stesso. Ogni cultura è una forma di conservazione di un sapere passato, dimostratosi funzionale in determinati contesti ma che non da alcuna garanzia di adeguatezza in un nuovo contesto ambientale. È ormai noto ai più come gli esseri viventi meglio adattati ad un ambiente sono solitamente i più soggetti a crisi ed estinzioni al minimo cambiamento ambientale, mentre gli esseri che sopravvivono sono quelli meno adattati e più adattabili. Come dire che chi accetta e si adatta alle regole del gioco, ovvero ad una certa cultura, trae immediati vantaggi in termini di migliore accettazione, ma corre il rischio reale di divenire una sorta di dinosauro, pronto a trasformarsi in fossile (anche se ancora vivente)  al minimo cambiamento ambientale.
Dobbiamo considerare che 1. la maggior parte degli interventi sulla persona tendono ad aumentare il suo adattamento ad un certo contesto culturale (quindi a ridurne in prospettiva la flessibilità e la capacità di sopravvivenza; vedi ad esempio le specializzazioni estreme tipiche del mondo industriale, ma anche del mondo informatico) e che 2. Anche gli interventi che tendono ad aprire verso nuove possibilità (tipico per esempio degli interventi di empowerment) rischiano di ottenere un effetto frustrazione nell’individuo che si vede “ricondotto” alla realtà non appena ritornato nel proprio ambiente.

Negli ormai molti anni di frequentazione di organizzazioni complesse, che con tutte le loro incoerenze e incongruità continuano ad essere luogo di opportunità, ho potuto verificare come sia gli interventi top down di tipo organizzativo, sia gli interventi sulla persone portano a vantaggi risibili se non a volte addirittura a distruggere valore, inteso come capitale intellettuale, culturale e informativo di un gruppo umano.

Ma qual è la possibile alternativa?
Qui vorrei lasciare spazio agli amici di Bloom!
Qualche giorno per riflettere e magari intervenire sull’argomento. Sarebbe bello che si riuscisse a costruire insieme un nuovo approccio al cambiamento. Molti articoli sono già stati scritti in tal senso e forse potremmo provarci a “vedere insieme” come suggerisce Otto Scharmer nel suo bellissimo Theory U.
Comunque sia le mie idee le riceverete, che vi piaccia o no, in una dei prossimi aggiornamenti di Bloom!


1 - Il lunedì mattina, quando la persona rientra in ufficio dopo un affascinante e coinvolgente team building e comincia a chiedersi, “si, va bene, ma come posso io, nella mia realtà attuale, applicare quelle bellissime cose che ho appreso?”

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