BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 29/09/2008

RACCONTARE (E ASCOLTARE) STORIE

di Davide Storni

La scorsa estate ero in crisi di lettura, nulla mi pareva andar bene, dopo poche pagine mi annoiavo, oppure rimanevo a contemplare la copertina incapace di andare oltre.
Mi capita, come mi capita di girare per librerie senza uno scopo preciso e di scegliere un libro a caso, per poi scoprire che il caso permette di fare connessioni insperate.
Così mi sono messo a leggere storie di viaggio, Paolo Rumiz alle prese con Russia e Ucraina. Leggere di viaggi, io che di viaggi non ne faccio mai, è sempre stato per me un modo per incontrare prospettive nuove e scoprire aspetti di me troppo spesso dati per scontati o dimenticati nella frenesia della mia vita fatta di aerei, file in autostrada, spostamenti continui di agenda, insomma vita da consulente. Il viaggio è incontro e scoperta, lo spostarsi per lavoro fra un “non luogo” e un altro non è viaggiare. A volte mi è capitato di pensare che forse avrei potuto salutare le persone che si incontrano in aeroporto o di fianco a noi sull’aereo per Roma, e parlare con loro facendosi raccontare delle storie, così, per dare un senso allo spostamento. Poi queste fantasie si scontrano con l’impersonalità dei non luoghi e così decido di starmene nel mio silenzio, consolandomi con un po’ di musica. E leggo di viaggi, di chi ancora può permettersi di viaggiare davvero, magari a piedi o con la lentezza necessaria a soffermarsi e cogliere frammenti di vita.

Poi ho acquistato La leggenda dei monti naviganti, di Rumiz (1), addentrandomi nelle sue storie di montagna, storie vicine, non esotiche, che resistono ancora a pochi chilometri da casa mia, ma che paiono ormai così lontane. Storie di persone che vivono la montagna, guardando alla vita frenetica della valle come ad un non senso. Storie di persone che hanno scelto di farsi eremiti, ma anche di persone che trovano ancora nella natura sensazioni speciali, come il violoncellista che suona nelle foreste delle dolomiti, quelle stesse foreste da cui proviene il legno del suo liuto.
Mi scopro a ripensare alla mia infanzia, seduto sul letto del nonno, mentre mi raccontava storie di guerra e di povertà. Quei momenti di serenità mi sono rimasti dentro, dandomi un aggancio alla vita reale che è sopravvissuto alle preoccupazioni per l’andamento delle borse e alle battaglie per la scalata delle gerarchie aziendali.
Storie di persone, autentiche, reali, belle e sorprendenti; ripenso alla mia vita di azienda, e dopo tanto cambiare, dopo tanto cercare, mi accorgo che quello che mi rimane sono le immagini di persone che hanno incrociato la mia strada dandomi il dono delle loro storie, che raccontavano un’azienda diversa da quella ufficiale fatta di numeri e di riunioni di vertice.

Storie a volte illuminanti come quella del boscaiolo incontrato sulle pendici del Gran Paradiso da Rumiz, che racconta di come la vita delle montagne si sia incrociata con la storia dell’industria italiana e dell’organizzazione. “tutto è finito quando le donne hanno deciso di sposare solo uomini di pianura…. é successo negli anni sessanta … la Fiat aveva fame di operai. Li voleva in città, zitti e obbedienti, ma i montanari non sono zitti e obbedienti. ...L’automobile avrà anche dato lavoro, ma ci ha mangiato l’anima e le donne si sono schierate tutte con l’automobile. C’è stata la grande fuga. Solo quelli di Ivrea si sono organizzati per far restare la gente al paese.” “L’Olivetti?” “si, … andavano a prendere gli operai ogni mattina con l’autobus… davano i permessi per la potatura delle viti e per il maiale da ammazzare. Ma poi sono arrivati i manager e hanno mandato tutto a puttane. E anche l’Olivetti è finita”.
Sorprendente analisi della storia industriale italiana e ancor più sorprendente rappresentazione di due modelli organizzativi opposti, uno umano, l’altro puramente economico.
Il ricordo va subito ad altre storie, a serate passate con il professor Novara a Torino, davanti a piatti di riso selvaggio e bicchieri di dolcetto, ad ascoltare le storie dell’economia italiana, del perché il modello di Olivetti fosse grande e funzionale, invidiato e studiato da tutto il mondo, e del perché fosse sparito. “Professore esistono uomini che potrebbero dare un seguito alle idee di Olivetti?” “No, Solo Giovannino avrebbe potuto andare in una certa direzione, riprendere l’idea di una organizzazione del lavoro centrata sulle persone, ma purtroppo il destino ha deciso diversamente. No, non c’è nessun altro.”
Storie lontane che si incrociano, il boscaiolo e l’esperto di psicologia del lavoro che esprimono concetti convergenti, il rispetto per un modello di organizzazione del lavoro che pur dimostrandosi di successo, fu spazzato via dall’ondata del pensiero prevalente, semplificatore, scontato, omogeneizzante, delle grandi business school.

Ripartire dalle storie è possibile?
Le storie delle persone sono rappresentazioni dell’organizzazione che pur soggettive e non standardizzabili, o forse proprio per quello, consentono di avere una visione “altra” dell’organizzazione e aiutano a capirla. In un’epoca in cui prevale la complessità non possiamo fare a meno delle storie, se vogliamo veramente capire e smetterla di correre tutti nella stessa direzione come lemming (serve una prova della nostra tendenza a muoverci come lemming verso l’autodistruzione? basta leggere dei recenti fallimenti dovuti all’ennesima crisi finanziaria, crisi dovuta al sommarsi di tanti comportamenti in sè non pericolosi, ma che quando si muovono tutti nella stessa direzione entrano in “risonanza” facendo crollare il castello di carte su cui ci siamo arrampicati).

Torniamo all’elfo dei boschi del canavese: “dico che nei paesi c’erano teste finissime. Le migliori invenzioni Ivrea le ha avute dai montanari… Sa quante cose geniali vengono in mente a uno che sa stare in silenzio e ha tempo per pensare? Ma un giorno qualcuno ha deciso che il tempo era un lusso e hanno sostituito gli inventori con i tecnici. E così l’industria ha smesso di avere idee.”
Beh, trovatemi un’analisi più profonda e più sintetica della nostra crisi industriale e organizzativa. Se qualcuno in più leggesse storie come questa, forse l’affannarsi dietro a numeri e slides ci sembrerebbe un po’ meno sensato e potemmo finalmente fermarci a pensare.


1 - Paolo Rumiz, La leggenda dei monti naviganti, Feltrinelli, 2007.

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