BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 05/10/2009

RUGBY E MANAGEMENT

di Davide Storni

Questa relazione è stata preparata per un incontro organizzato dal comune di Cesano Boscone e l’associazione rugby Cesano Boscone.
Davide Storni
04 ottobre 2009


Premessa 
“Il Rugby è uno sport per gentlemen. Prima di passare la palla a lui, devi controllare che lui stia bene, che sia aperto, disponibile, ottimista, e che insieme al tuo pallone non gli arrivino addosso due o tre assassini che gli facciano del male a lui. Ma mentre fai questo bel ragionamento etico ce ne sono altri 29 che ti guardano, 14 tuoi ma 15 no; e tre ti stanno correndo addosso, due grossi e uno piccolo, ma cattivo. In quel momento lì, è difficile pensare se lui sta bene, se vuole il tè o la camomilla. La prima intenzione è di dare il pallone a lui e sperare che quelli che arrivano capiscano che non vale più la pena di fare del male a te perché ormai il pallone ce l'ha lui.” (Marco Paolini, attore e scrittore)

le cose che mi piacciono del rugby

1. il rugby è organizzazione
Il rugby è lavoro costante, strategia, organizzazione del gioco, rispetto dei ruoli, imparare a muoversi insieme (tenere la linea, attenzione al fuorigioco, …): da questo punto di vista le similitudini con le organizzazioni sono molte.
La specializzazione dei ruoli è molto forte, la sincronia del gioco va studiata attentamente in quanto ogni piccola crepa significa una bella meta per gli avversari, però ….

2. gioco di team
Tutti parlano di lavoro di team, nelle aziende si spendono un sacco di soldi per organizzare corsi sul team building, ma poche volte si vede un reale lavoro di team: nel rugby si, perchè?
Tutti partecipano e tutti vincono allo stesso modo, non esiste il protagonismo, non esistono le prime donne, Dan Carter (apertura degli All Blacks) placca, offre sostegno, lotta con tutti gli altri. Sa che da solo non può fare nulla.
Ho visto Mario Corso vincere un campionato da solo; ho visto Michael Jordan vincere dei titoli NBA quasi da solo, ma nel rugby questo non è proprio possibile. E’ la squadra che vince, tutti vincono insieme o perdono insieme.
Non solo, se il team non funziona non solo perdi, ma ne prendi tante!
In realtà il 15 di rugby non è solo una squadra, è un organismo che opera all’unisono, sia pure con compiti diversi, per il raggiungimento di uno scopo

3. le regole che ne fanno uno sport “diverso”: sostegno, disciplina, confronto
Vi sono regole nel rugby che “obbligano il team a funzionare come team e il singolo a cooperare, alcune sono scritte altre no, ma altrettanto importanti.
Il sostegno è l’anima del rugby: senza sostegno non si fa nulla infatti ad un certo punto devo passarla indietro! il che mi rimanda alla seconda regola
Passare indietro la palla; questa semplice regola obbliga il gruppo a muoversi all’unisono, nessuna fuga in avanti, nessuna azione in solitaria. Certo a volte succede che il singolo riesca a rompere il placcaggio e volare fino in meta, ma i più esperti sanno che anche le azioni che sembrano più individualiste sono in realtà frutto di un lavoro di gruppo nel preparare il gioco, logorare l’avversario, attivare la strategia opportuna affinchè poi il singolo possa portare in meta l’ovale.
Poi dopo una bella corsa, una volta placcato devo mettere a disposizione la palla, non posso tenermela, non posso difenderla, devo permettere agli altri di giocarla.
Un altro aspetto importante, in parte dovuto alle regole precedenti, in parte al fatto che il giudizio dell’arbitro in campo è insindacabile, è quello della disciplina, che significa rispetto delle regole. Le squadre poco disciplinate concedono calci di punizione agli avversari che il più delle volte si traducono in 3 punti fatti senza troppa fatica (e difficili da recuperare).  La disciplina quindi non è solo una regola di gruppo, legata al rispetto dei ruoli che comunque è importante, ma ha un impatto diretto e visibile sul risultato dell’incontro.
Il rispetto delle regole è importante, ma nel rugby c’è qualche cosa di più, l’interiorizzazione delle regole del gioco che porta ognuno a sapersi fare carico anche dei compiti di gioco dei compagni e la rielaborazione creativa delle stesse. Infatti vi è una una “super” regola che impone di raccogliere la palla ovunque tu ti trovi e di saperla rimettere in gioco in modo proficuo per il gruppo. Mi spiego: durante una partita fra Auckland e un’altra squadra del campionato neozelandese il gioco si apre verso le ali, l’apertura passa al primo centro che passa al secondo centro, che passa … ops al pilone. Al pilone? cosa ci fa un pilone all’ala? definizione di ala: persona agile e veloce che copre la fascia esterna del campo. Definizione di pilone: persona forte e massiccia che gioca in prima linea nella mischia (e solitamente non corre veloce). Ho pensato subito, ecco che qualche cosa non ha funzionato, un errore di disciplina. Però il pilone in questione afferra la palla e si mette a correre lungo la linea laterale, quasi fosse una gazzella. Di fronte si trova un’ala che pesa circa 30 kg meno di lui e quindi riesce a rompere il placcaggio e fare oltre 30 metri prima che 3 giocatori avversari riescano a fermarlo.
Il concetto è che devi “saper raccogliere la palla e sapere cosa farne”, in qualunque situazione di gioco ti trovi, anche se non sei nel tuo ruolo. Quindi specializzazione, ma anche flessibilità e conoscenza del lavoro degli altri.
Un altra cosa che ho trovato frequentando i campi di rugby è  feed-back e confronto leale, a volte anche duro, ma leale. Accettare il confronto serve a migliorare e serve a farsi accettare dagli altri ed è l’unico modo per fare gruppo veramente.
Bene tutto questo potrebbe essere adatto anche alle aziende, che infatti spendono un sacco di soldi in formazione per spiegare questi concetti alle persone, ma ….

perché in azienda non funziona allo stesso modo?
Proviamo a dare una risposta analizzando alcune peculiarità dell’azienda:

  1. gerarchia: pur essendo un elemento indispensabile per ogni organizzazione, la gerarchia diviene spesso fine e non mezzo, impegnando gran parte delle risorse manageriali (in una stima effettuata in una azienda in cui ho lavorato, la quota di attività distolte dal business è risultata pari al 65/70%).

La gerarchia genera distorsioni rispetto alla logica di cooperazione tipica dei team che funzionano. L’esempio tipico è questo: gruppo di neoassunti inseriti in un team e adeguatamente formati per cooperare come una vera squadra. Alla fine dell’ano 1 di loro sarebbe stato promosso. La domanda fatidica fu: “ma perchè devo collaborare con persone che sono mie rivali in logica di promozione?” Nelle strutture gerarchiche, gli elementi di tipo cooperativo sono più che compensati da elementi di tipo competitivo, con un effetto che può prendere due direzioni

    1. deterioramento della collaborazione fino ad arrivare a situazioni di conflitto
    2. cooperazione “virtuale”, approccio del “politically correct”.
  1. Il feed-back in azienda? strumentale, quando esiste. L’eccesso di comportamenti “politically correct” ingessa e impedisce un feed-back reale e a due vie. Prevale la ricerca del colpevole da parte della gerarchia, l’offesa da parte del singolo che si sente messo in discussione se non attaccato. E naturalmente lo scaricabarile, la colpa è sempre di qualcun altro.
  2. specializzazione
    1. l’eccessiva specializzazione porta ad una frammentazione delle attività per cui raramente le persone hanno una chiara idea di qual sia il proprio contributo al successo dell’azienda
    2. inoltre nascono culture e obiettivi diversi e contrastanti fra di loro, lingue diverse che portano ad una scarsa conoscenza e quindi rispetto di quello che fanno gli altri
  3. leadership e dipendenza
    1. il comando nelle aziende è dato dall’alto ed è legato alla posizione ricoperta, non all’effettiva leadership. Più avanti proverò a riprendere il concetto di leadership e darne una definizione.
    2. resistenza al cambiamento: in azienda molto spesso ci troviamo di fronte ad una accentuata dipendenza, in parte indotta, in parte frutto di strategie “difensive” da parte dei singoli che si sentono sopraffatti dal sistema in cui sono introdotti (dei numeri, che possono essere scaricati da un momento all’altro, magari dopo 20 anni di lavoro e di impegno perchè considerati “costo”). La dipendenza è l’opposto dell’autonomia e della propositività, elementi indispensabili per fornire un apporto contributivo al gruppo. Figli della dipendenza sono la passività o, all’estremo, la controdipendenza che può generare conflittualità esplicita o tacita.

Ad oggi, almeno per quello che posso vedere dal mio punto di osservazione, pochi knowledge workers sanno raggiungere l’indipendenza, il che comporta lavorare per accrescere il proprio know-how professionale in modo da rendersi appetibili sul mercato del lavoro.

cosa imparare veramente dal rugby?
1. il team che opera come organismo vivente supera la logica di dipendenza e di indipendenza e si muove verso il concetto di interdipendenza, cioè la capacità di integrarsi per costruire insieme qualche cosa che da soli non può essere fatto. In fondo è un concetto antico: quello che ha permesso ad un animale privo di zanne, artigli, pelo, velocità, ovvero di tutti gli elementi che permettono ad un animale di essere competitivo nella lotta per la vita, di sopravvivere ed anzi di diventare padrone della terra è stata proprio la capacità di comunicare e collaborare. Un piccolo gruppo di scimmie armate di sassi e bastoni era in grado di uccidere il grande mammut e tutti gli altri animali della cosiddetta megafauna proprio grazie alla capacità di suddividersi i compiti e lavorare all’unisono. Se uno di loro sbagliava, questo poteva portare alla morte di diversi membri del gruppo e probabilmente anche di tutto il gruppo, una volta indebolito a causa della perdita dei cacciatori più bravi.
Nel rugby il concetto di interdipendenza è semplicemente il modo di intendere il gioco di squadra, il modo di essere ….. ho bisogno degli altri …. devo dare sostegno. Semplice ed efficace, con un feedback immediato che permette di capire se la cooperazione funziona o no.
Nelle aziende questo non avviene, per i motivi sopra esposti e anche perchè il feed-back ha solitamente tempi più lunghi,  tranne che in pochi, pochissimi casi, tanto rari da essere celebrati in libri e riviste. Tra i pochi esempi cito quello della Southwest Airlines (v. James F. Parker, Do the right thing, Wharton School Publishing).

  1. Quali elementi contraddistinguono le aziende che si avvicinano al modello dei team di rugby? ci sono molti elementi da considerare, però possiamo concentrare l’attenzione su quella che però è la principale caratteristica abilitante, la leadership, o almeno un certo tipo di leadership che può essere così delineata:
    1. leadership è dare l’esempio: la partecipazione delle persone  (sostegno, impegno totale, spirito di squadra, obiettivo comune) si attiva quando l’esempio dall’alto fa capire alle persone che i principi non sono solo enunciati, ma vissuti, quando è chiaro che la vittoria è di tutti, quando il contributo di ognuno è riconosciuto. Dopo l’11 settembre mentre tutte le linee aeree tagliavano costi (posti di lavoro) e riducevano lo stipendio delle persone, in Southwest si riducevano solo gli stipendi dei vertici. Il risultato sarebbe considerato limitato se visto da un punto di vista numerico, ovvero di risparmi ottenibili tagliando i compensi di poche persone, anche se alti. Invece il risultato vero fu che Southwest fu l’unica azienda del settore in grado di chiudere in positivo i conti di quell’anno. L’esempio fu contagioso e tutti risposero positivamente, incrementando impegno e livello del servizio al cliente, già elevato, o impegno a ridurre i costi razionalizzando i processi.
    2. leadership è mettersi al servizio degli altri: se il vertice da senso alla collaborazione mostrando chiaramente e senza equivoci di operare per il bene comune e non per il proprio esclusivo interesse, questo messaggio, anche se non sbandierato, è immediatamente percepito dai più, favorendo collaborazione e contributo da parte di tutti.
    3. leadership è riconoscimento da parte degli altri; troppo spesso in azienda la gerarchia viene invece fatta scegliendo chi è più “ubbidiente”, o più competente (tecnico), non chi è riconosciuto dai propri colleghi e dai clienti come leader.

Parker fra i principi della Southwest Airlines cita “finding great leaders at every level of the organization”, dove finding significa che non puoi crearli o nominarli o formarli, devi scovare la leadership riconosciuta là dove nasce spontaneamente e su di essa investire.
Solitamente le persone partono con la voglia di esprimersi, essere leader o dare il proprio contributo. Poi vengono “formattati”, viene loro semplicemente chiesto di obbedire alle regole, stare al proprio posto, non creare “onde”, conformarsi con la realtà nella quale vivono.

essere protagonista, senza protagonismo
A mio figlio dico spesso che sul campo deve dare tutto, imparare ad essere protagonista, però senza protagonismo, anzi mettendosi al servizio della squadra.
E’ un difficile equilibrio perché siamo abituati a pensare che vi siano due possibilità, il protagonismo o la passività. Invece nel rugby si impara ad essere protagonisti, dando sempre il proprio contributo di creatività, senza però diventare delle prime donne, anzi integrandosi nel gruppo e mettendosi al suo servizio.
E per finire ...
“vincere con modestia e perdere con leggerezza, questo è il marchio di un grande sportivo” (Gareth Edwards, nazionale gallese)

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