BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 15/03/2010

QUALITA' DEL SERVIZIO AL CLIENTE: UNA QUESTIONE DI ASCOLTO E DI CULTURA

(Riflessioni su un'esperienza vissuta in sanità)

di Davide Storni

In questi ultimi giorni ho avuto modo di frequentare lo IEO (Istituto Europeo di Oncologia) di Milano. Vi ho trovato professionisti eccellenti, sia fra i medici, sia fra gli infermieri. Questi ultimi in particolare mi hanno sorpreso per cortesia e attenzione verso i pazienti, veramente bravi. La sensazione che si respira all’interno della struttura non ha nulla a che fare con certi ospedali che in passato ho avuto modo di visitare: pulizia, funzionalità delle strutture, una generale sensazione di efficienza e professionalità. Certo spero di non doverci ritornare da paziente, né di doverci portare qualche persona cara, ma se proprio mi dovessi trovare nella condizione di dover utilizzare una struttura sanitaria, penso che tornerei allo IEO.

Oltre che un utilizzatore di servizi sono anche un professionista che si occupa da sempre di organizzazione e di qualità del servizio. Così non ho potuto fare a meno di notare che ovunque campeggiano grandi tabelloni che raccontano dell’attenzione alla qualità (certificazione Joint Commission) e al cliente.
Curioso cerco di stare attento e capire. Ed ecco che qualche pecca emerge.

  1. accettazione: arriviamo in ospedale e ci rechiamo all’accettazione dove spiccano due grandi touch screen che gettano immediatamente nello sconforto le persone più anziane o meno abituate ai computer. Una volta superato il disorientamento iniziale, le persone davanti a noi riescono ad ottenere l’anelato biglietto con il numero di chiamata. Per noi l’utilizzo del touch screen risulta facile e immediato; sul biglietto troviamo anche l’indicazione con le persone in fila prima di noi, solo una, siamo fortunati. Sui grandi display posti in posizione elevata in ogni angolo della sala di attesa si susseguono le indicazioni, molto chiare, e solo dopo pochi secondi appare il nostro numero. Allo sportello porgiamo la documentazione e “mi dispiace, ma a me risulta che il suo ricovero decorra da domani”, al che ribatto “guardi che mi avete chiamato al telefono per dirmi di anticipare di un giorno, quindi per cortesia si informi con chi di dovere”. Un po’ seccata la receptionist fa una telefonata al reparto solo per poi ribadire che l’errore era mio e che avrei dovuto rivolgermi alla segreteria del reparto. Dove si troverà, la segreteria? terzo piano, pare. Parto alla ricerca e dopo qualche minuto trovo la segreteria, entro, mi informo e mi confermano di essere stati loro a chiamarmi e ad anticipare l’entrata; non riesco invece a capire perché sotto all’accettazione non sia arrivata l’informazione corretta, ma tant’è, vengo pregato di tornare al pian terreno, dove devo ritornare ai touch screen e riprendere un numero. Per fortuna la (seconda) fila è breve e trovo un’altra receptionist a cui ricomincio a spiegare la mia situazione. Questa seconda è più efficiente e riesce a recuperare l’informazione giusta e a completare l’accettazione.
  2. dopo l’intervento: non si può né mangiare, né bere per tutto il giorno; mi pare di capire le motivazioni tuttavia due anni fa non esisteva questo divieto e qualche paziente assetato chiede spiegazioni. Le infermiere interpellate danno spiegazioni diverse: a) bere o mangiare può indurre vomito, b) nel caso di nuovo intervento la persona deve essere già pronta, quindi a digiuno, c) è un ordine dei medici. Come mai 3 spiegazioni diverse? Forse la prima è la più convincente, ma non si spiega il perché della differenza con due anni fa. Ne arriva un’altra d) è cambiato li protocollo. Beh, certo, ma perchè?
  3. dimissioni: la dimettiamo sabato, il medico che ha effettuato l’operazione è stato chiaro. Ma poi il giorno dopo c’è un altro medico e le dimissioni slittano al giorno dopo. Ma a che ora? se dovessi prendere un aereo come succede ad altri pazienti che vengono da tutte le parti d’Italia come potrei fare? Risposta, “si saprà dopo il giro medico di domattina”, si certo ma a che ora? Per chi ha la fortuna di abitare a Milano e di avere qualcuno che viene a prenderlo il disagio è limitato, basta dire a questa persona di tenersi libera la mattina e anche il pomeriggio, non si sa mai. Per chi viene da un po’ più lontano o deve arrangiarsi da solo ….

Qualità, centralità del cliente ed altri slogan.

Ormai la centralità del cliente è diventata uno slogan diffuso; tuttavia c’è una differenza profonda fra uno slogan e la realtà, soprattutto quando si tratta di servizio al cliente.
Quanto alla qualità, molte volte questa si trasforma in una serie di attività burocratiche, di formulari da riempire o di check list da spuntare, ma questo non ha nulla a che fare con la qualità percepita dal cliente (in questo caso parlo partendo da altre esperienze, non conoscendo abbastanza le realtà dello IEO).
Nei tre casi illustrati possiamo individuare alcune delle cause che vanificano anche i più ambizioni piani di qualità.

  1. Drucker nel suo libro “20 tesi sul servizio” diceva che “il servizio è prima di tutto un uomo con un cartello in mano”. Questa era la ventesima tesi, ma anche la più importante. Malgrado tutte le procedure e tutti i manuali della qualità, alla fine il risultato dipende dal fatto che una persona provveda a condividere l’informazione con chi deve utilizzarla (chi ha chiamato al telefono non ha poi avvisato l’accettazione) o che un’altra persona si impegni a risolvere il problema del cliente (la receptionist avrebbe potuto telefonare alla segreteria e risolvere il mio problema senza farmi gironzolare per l’ospedale e risparmiandomi la seconda fila e la seconda spiegazione). Errori umani, impossibilità di inculcare la qualità nella testa delle persone? Troppo facile come scusa: la verità è che spesso prevalgono formulari, manuali e presentazioni e non si lavora sulla cultura delle persone. Per ottenere un cambiamento culturale servono altri elementi: innanzitutto l’esempio, poi la credibilità e la coerenza dei proponenti, ovvero dei vertici aziendali. La qualità è soprattutto un modo di vivere il rapporto con il cliente e questo è difficile da ottenere con la burocrazia. A sua volta il modo di vivere il rapporto con il cliente dipende dal modo di vivere l’azienda, in altre parole se i vertici sanno ascoltare le persone di prima linea, questi sanno ascoltare i clienti, altrimenti sono solo slogan.
  2. certo i protocolli sono importanti. Ed è anche ammissibile, anzi auspicabile, che con il tempo evolvano. Però i protocolli possono anche essere spiegati a chi li deve mettere in pratica; se vengono spiegati e non semplicemente comunicati le persone possono capirne il senso e riuscire a trasmetterlo anche ai pazienti che pongono delle domande. Se invece sono semplicemente regole, vengono rispettati, ma non capiti né tanto meno possono essere spiegati. In questo secondo caso le persone addette al servizio, le infermiere, hanno dato prova di grande sensibilità verso il cliente, ascoltando, cercando di fornire spiegazioni e di dare conforto ai pazienti, ma evidentemente dietro di loro non vi era un sistema orientato a fornire una informazione corretta al cliente. Probabilmente nessuno aveva spiegato a loro il motivo del cambiamento di protocollo, dando per scontato che loro dovessero solo applicarlo, non capirlo. O forse la spiegazione è stata data, ma senza verificarne il livello di comprensione e di condivisione. Ma l’aspetto meno positivo è la mancanza di una modalità di raccolta del disorientamento del cliente (nessuno si è preoccupato di trasmettere le domande dei pazienti a chi poteva/doveva fornire risposte reali); tutte le volte che si crea un disservizio o un disagio al cliente o anche solo emerge un dubbio, sarebbe opportuno raccogliere questo indizio in quanto  rappresenta una fonte di informazione fondamentale per migliorare il servizio. Se ciò non viene fatto significa che esiste una pecca importante nel sistema.
  3. quando il cliente viene dimesso, beh non è più un cliente, quindi perché preoccuparsi di come lui possa uscire dall’ospedale e raggiungere la propria abitazione? Forse perché anche se in fase di dimissione il paziente è ancora debole, in via di guarigione, anzi forse più esposto a agenti atmosferici, sforzi, tensioni. La guarigione non si manifesta in modo istantaneo, non esiste un momento in cui si passa dall’essere malati all’essere guariti. Sempre più spesso il passaggio dal reparto alla propria abitazione o ad altra struttura di cura avviene quando il percorso verso una piena guarigione è ancora in corso e quindi il paziente è ancora debole e bisognoso di attenzione. Una semplice comunicazione di tempi e modalità potrebbe essere di grande aiuto per la pianificazione di un viaggio o per favorire la persona che si presta al trasporto, la quale non sempre può avere intere giornate libere a disposizione. Ma se è così semplice, perché non accade?

Uno dei limiti storici del movimento della qualità è stato il processo di burocratizzazione;  la necessità di standardizzare e di poter controllare hanno portato a dare particolare enfasi a procedure e manuali, certamente indispensabili, ma anche pericolosi per gli stessi motivi (incapacità di cogliere quello che non è standard, spersonalizzazione del servizio). Se non si opera anche sulla cultura di un’azienda e delle persone, la qualità resta un onere da rispettare, ma non riesce ad essere un modo di vivere l’organizzazione e il rapporto con il cliente, tanto meno un percorso di apprendimento.
Chi si occupa di Lean o, come preferisco chiamarla io, di eccellenza operativa sa che non ci si può fermare ai processi di certificazione, ma che è necessario lavorare in profondità sul sistema culturale dell’azienda curando elementi quali l’esempio, la coerenza dei comportamenti del vertice, l’ascolto, la fiducia, l’accettazione dell’errore, l’apertura al nuovo e al diverso.
Certo è più facile adeguarsi a delle check list e fare corsi di formazione standard, ma se non si lavora sulla cultura non si otterrà mai un’organizzazione realmente orientata al cliente, malgrado la buona volontà dei singoli operatori che, come abbiamo visto, non mancava nel caso dello IEO.
Un elemento importante è anche la gestione del disservizio: le persone che sono in contatto con il cliente possono raccogliere informazioni fondamentali per capire il suo “vissuto” e per capire cosa sia per lui un servizio di qualità (per una specifica persona e in un determinato momento, non in generale). Lavorare sulla qualità percepita richiede una costante attenzione e un reale coinvolgimento delle persone in prima linea. Ascolto del cliente e ascolto delle persone che sono a contatto con il cliente sono i primi passi: poi l’analisi del feed-back può trasformare l’ascolto in indicazioni per il miglioramento della qualità del servizio. E’ importante che l’ascolto sia immediato, quando un disservizio si manifesta, e che anche l’analisi dell’informazione raccolta sia veloce. Infatti la percezione del cliente tende a dileguarsi velocemente, mischiandosi con altre sensazioni e diluendosi in una percezione globale che, pur importante, è poco utile per capire cosa migliorare.
Da queste considerazioni emerge l’importanza del coinvolgimento delle persone a contatto con il cliente, infermieri, receptionist, addetti alle pulizie. E non sto parlando di coinvolgimento nell’esecuzione di norme e standard, pure importanti, ma di coinvolgimento nel processo di ascolto, apprendimento e progettazione del servizio.
Se ci si limita a partire dai manuali della qualità e dalle supposizioni su cosa voglia il cliente, non avremo mai un sistema veramente orientato all’ascolto e all’apprendimento, ovvero un sistema di qualità che sa evolvere con l’evolvere dei bisogni e dei desideri del cliente.

Ribadisco che il servizio complessivo avuto dallo IEO è stato più che soddisfacente e che il livello di professionalità percepito di medici e infermieri è stato notevole. E che lo IEO è la scelta che rifarei nel caso di bisogno. Ma proprio per questo ho ritenuto di scrivere queste note di commento per mostrare come anche in un ambiente già eccellente vi siano ancora delle aree di miglioramento nell’attenzione al cliente. La qualità non è infatti un dato acquisito, come dimostra l’esperienza Toyota di questi ultimi mesi, ma piuttosto qualcosa a cui tendere.
E’ anche doveroso ricordare che queste mie note sono scritte senza conoscere come funzioni il sistema di qualità dello IEO, per altro precursore nell’applicazione di sistemi di qualità in Italia. La mia unica fonte di informazione è la percezione individuale, mia e di altre persone clienti dell’Istituto … beh certo, solo la percezione del cliente.

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