BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 20/03/2000

Intervista a Francesco Novara

di Davide Storni

Nota biografica.

Francesco Novara nasce a Torino nel 1923, in Borgo Po, dove cresce a contatto con una cultura pluralista e stimolante. Ancora giovane si innamora dei lavori dell’uomo: “il fabbro, il falegname, il bottaio mi parlavano del loro lavoro ed io giorno dopo giorno comprendevo l’impegno febbrile, quel costruire con le mani gli artefatti partendo dai materiali ….”

Subito dopo la guerra si laurea in medicina e dopo un corso di specializzazione in psicologia all’università di Torino comincia ad operare come psicologo nei centri di medicina del lavoro.

Nel 1955 inizia la sua collaborazione con Olivetti, dove alcuni anni prima Cesare Musatti aveva fondato il centro di psicologia. In Olivetti Novara ha la possibilità  di vivere (preferisco vivere a studiare, perché penso che questo fosse il rapporto di Novara con il proprio lavoro) esperienze di lavoro di produzione e di vendita, sviluppa metodologie di selezione e inserimento di operai e professionisti, conosce le ansie e lo stress dei manager.

Un’esperienza sviluppatasi al fianco di colleghi eccellenti (Musatti fra tutti) continuamente stimolati da quell’uomo e imprenditore unico nel panorama italiano che fu Adriano Olivetti.

La collaborazione con Olivetti continua fino al 1993.

 Nel 1990 ho conosciuto Novara nel suo studio nel centro di psicologia, fra montagne di libri e già cosciente di essere in un’azienda di cui non condivideva né le strategia, né la speranza.

L’impressione che di lui ebbi mi spinse a seguirne e conoscerne l’opera. Dopo nove anni ho potuto ritrovarlo e condividere con lui alcuni momenti di confronto e scambio, dai quali nasce la intervista qui presentata a BLOOM!

 Oggi Novara insegna in diverse università in Italia e all’estero e offre volentieri ospitalità a chi ama parlare di lavoro e di organizzazione, trasmettendo loro la propria passione e la propria esperienza impagabili.

d. Quale impatto ha l’organizzazione del lavoro sulla vita e sull’organizzazione extralavorativa?

 N. È un legame significativo. L’organizzazione del lavoro condiziona la storia personale e professionale del lavoratore, la dignità personale oltre che l’identità professionale, e queste hanno uno stretto legame con la vita esterna.

Una persona umiliata sul lavoro o che non riesce a costituire la propria identità professionale, perché  svolge un lavoro non consistente, un lavoro troppo frammentato che porta ad una perdita di senso dell’agire e della propria partecipazione,  porterà con sé la propria umiliazione anche fuori dal lavoro, sviluppando risentimento verso gli altri e la società. 

Questo porta fra gli altri effetti anche ad un disimpegno etico e sociale e a un sentimento di rivalsa.

Al contrario una persona che costruisce una storia professionale importante, porterà la propria consapevolezza anche al di fuori del lavoro.

L’impatto sulla famiglia è anche molto importante, perché la famiglia diviene il luogo dove sfogare il proprio risentimento, le proprie frustrazioni o semplicemente lo stress accumulato durante il lavoro.

La famiglia assume un ruolo molto importante anche in senso positivo attraverso la comprensione e l’aiuto nell’elaborazione del disagio, agendo sulla capacità di  tenuta allo stress e aiutando nel recupero. I manager che hanno una famiglia che li supporta nella fase di recupero mostrano una maggior resistenza allo stress da lavoro.

Il fallimento lavorativo può essere rafforzato da feed back negativi della famiglia che si esprime in termini negativi nei confronti di chi non riesce ad aver successo, rafforzando il senso di fallimento e di incapacità.

d. Quale ruolo per gli stakeholders , dei portatori di interesse nei confronti della impresa? molto spesso il ruolo degli stakeholders appare poco sviluppato.

 N. È più facile individuare i rapporti fra impresa e società esterna quando un’azienda è situata territorialmente, mentre risulta difficile nelle grandi aziende molto distribuite territorialmente.

Effettivamente l’azienda è corresponsabile sul territorio, pensiamo ad esempio al fenomeno dell’inquinamento.

Alcune aziende come ad esempio l’IBM hanno in passato sviluppato un  forte legame con le comunità locali, legami che hanno risentito del periodo di crisi della azienda e si sono affievoliti dopo la ristrutturazione.

Un altro esempio di impatto sulla comunità, ampiamente commentato e documentato, è la trasformazione del tessuto urbano di Torino dovuta all’immigrazione generata dalla richiesta di manodopera a basso costo da parte della Fiat.

Adriano Olivetti si trovò a costruire asili e a costituire delle linee di bus aziendali per facilitare l’accesso al lavoro dalle zone circostanti Ivrea, al fine di non spingere verso l’abbandono dei paesi e l’inurbamento. 

È importante riaffermare comunque il ruolo dell’azienda, diverso e dialettico rispetto al ruolo delle autorità civili e degli altri soggetti sociali. Infatti si crea comunità più dal confronto che dall’egualitarismo o dal paternalismo, un confronto costruttivo e cosciente che tenga però ben distinti i ruoli istituzionali.

d. vi sono comunque anche degli impatti positivi che vengono altrettanto sottovalutati, penso ad esempio all’effetto Alfa Romeo sulla zona a nord di Milano, effetto consistito nello sviluppare e diffondere professionalità, che poi ha generato centinaia di piccole imprese, e orgoglio del lavoro?

N. vi sono senza dubbio anche effetti positivi. Il turn_over favorisce la nascita della piccola imprenditoria.

Ma pensiamo anche alla miniera. Il team di lavoro dalla miniera si trasferiva in superficie, nella società, traducendosi in orgoglio per un lavoro tramandato di padre in figlio e in un forte senso di identificazione con la località.

Mi ricordo anche di un operaio delle presse Fiat che, pur nella durezza del proprio lavoro, aveva sviluppato un forte senso professionale e di appartenenza e che mi disse “Però, sa come è bello lavorare per una grossa fabbrica”. Questo individuo, ma questo sentimento era diffuso, portava fuori dall’azienda il proprio orgoglio professionale.

All’opposto quando Fiat assunse 12.000 persone dopo molti anni che di assunzioni non se ne facevano attinse fra i figli di quegli immigrati che pur lavorando in Fiat erano sempre rimasti su posizioni marginali. I figli non avevano sviluppato nessun senso del lavoro, anzi detestavano il lavoro, i capi e i sindacati, in quanto il loro unico riferimento era il consumo, non il lavoro.

Noi siamo in una società di organizzazioni, il lavoro veramente autonomo negli §USA è attorno al 8,5%. Le organizzazioni condizionano la vita interna ed esterna. Così come l’ambiente esterno condiziona l’azienda, pensi solo ai rapporti fra le aziende e la comunità in certe aree del meridione.

L’azienda può influire in senso positivo in modo significativo sull’assetto sociale della comunità. Penso ad Adriano Olivetti che faceva verificare le condizioni reali delle famiglie dei propri lavoratori incaricando direttamente gli assistenti sociali per intervenire su situazioni di disagio.

Oppure alla moralizzazione e all’impatto professionale dell’Olivetti di Pozzuoli grazie a scelte rigorose volute da Adriano, che dette indicazioni di non assumere nessuno solo perché  raccomandato, di costruire case e di assegnarle prioritariamente alle famiglie tramite le indicazioni degli assistenti sociali. La stessa Olivetti prese gli ingegneri locali e li inviò a lavorare sulle linee al nord perché uscissero dal loro spirito di classe e capissero la vita del lavoro organizzato, il lavoro operaio.

Negli stabilimenti dell’Olivetti al sud la gente lavorava perché consapevole di non dover niente a nessuno esterno all’azienda, perché i lavoratori erano consci della propria identità professionale.

Ben diversa la situazione all’Alfasud di Pomigliano, tanto per fare un esempio.

d. Vede nel panorama italiano di oggi una nuova Olivetti o meglio un nuovo Adriano Olivetti?

 N. In Italia no, forse in Francia dove sento parlare in modo molto positivo di Riboud  della BSN. Riboud cerca di impostare un modello di impresa con obiettivi realistici e concordati, un’organizzazione che ti aiuta e ti sostiene nel raggiungimento degli obiettivi.

In Italia hanno avuto un impatto molto positivo oltre ad Adriano Olivetti anche personaggi come Pirelli e Marzotto.

d. non pensa professore che la attuale tendenza alle fusioni sia in parte anche un segno di incapacità ad affrontare le vere tematiche del lavorare insieme e della gestione di aziende che sono sempre più complesse, una  sorta di azione volta a  spostare l’attenzione su un piano diverso e posticipare certe decisioni, un po’ come succedeva negli ’80 con la moda delle holding?

I downsizing ottengono solo minimi effetti, sono più strumenti per il top management per far lievitare a breve il valore delle azioni (e il top management è retribuito con stock options) che strumenti di miglioramento dell’organizzazione. Così anche le fusioni sembrano dettate più da politiche a breve che da reali strategie d’impresa. A volte servono solo a mascherare l’incapacità a gestire.

L’economia finanziaria degli anni novanta fa nascere dubbi in più di uno studioso di economia (Fini, Kelly, Lester Thurow, fra gli altri).

d. Homo oeconomicus. Ripensando all’orgoglio dell’operaio delle presse , ha ancora senso parlare di homo oeconomicus?

N. lo stesso Smith diceva che nello scambio si crea anche simpatia umana. Montesquieu affermava che il commercio aveva incivilito dei rapporti prima barbarici. L’aspetto economico e l’aspetto umano del rapporto coesistono, non possono prescindere l’uno dall’altro.

L’homo oeconomicus è stato un’astrazione, troppo linda, … allora l’altro uomo dove sarebbe, l’aspetto economico è parte della nostra identità personale, che però è qualche cosa di più ampio. 

 d. Quale ruolo per l’organizzazione? Ha senso parlare ancora di “strutture e procedure”?

N. un traliccio su cui guidare le azioni è necessario. È necessario un linguaggio condiviso ed è necessaria una certa formalizzazione. L’informale non può essere sostitutivo.

d. ma il cambiamento può essere generato cambiando strutture e procedure?

N. sta aumentando la decentralizzazione, ma deve sempre essere ricondotta ad un centro. L’arcipelago di isole della rete è tale che ogni isola può specializzarsi, ma serve un centro di comando. Gli obiettivi assegnati alle isole devono essere pensati da un potere centrale, potere che a volte è anche più forte che nelle strutture piramidali, in quanto meno visibile e conoscibile.

Il grande rischio dell’informatizzazione è quello di togliere i rapporti. Scompaiono i rapporti faccia a faccia, pensate alle transazioni finanziarie via internet. Ma la comunicazione de visu è molto più ricca di qualsiasi altra comunicazione, è una ricchezza che deve in parte essere tenuta. L’organizzazione mantiene una sua importanza per stabilire i legami, le modalità di interazione ed è un compito più difficile all’interno di queste nuove realtà, molto complesse e poco trasparenti. Nella rete sono i providers che creano strategia grazie alla loro capacità di organizzare la comunicazione e i rapporti.

Modificare la tipologia di rapporti provoca un significativo cambiamento, che è cambiamento organizzativo.

 L’organizzazione poi è al servizio della strategia. Le idee si trasformano in risultati grazie all’organizzazione realizzando l’equilibrio fra possibilità e vincoli.

 d. Da psicologo del lavoro, qual è secondo lei il posto della “mancanza” e qual è il posto del “desiderio” nell’organizzazione?
Il lavoratore lavora per ridurre le proprie mancanze o perché è spinto dal desiderio (di realizzazione o autorealizzazione)?

N. perché tu possa amare il lavoro, questo deve offrirti difficoltà in misura delle tue capacità di risolverle. 

L’appagamento professionale nasce quando si riescono ad ottenere risultati soddisfacenti dal proprio lavoro ed è la ricerca di questo appagamento che spinge le persone ad un ruolo attivo sul lavoro. 

Certo il lavoro può essere visto anche come una semplice ricerca di danaro che consenta di cercare il proprio appagamento al di fuori del lavoro. È la visione dei soldi come risarcimento, che si trasforma in un processo senza fine, di continua insoddisfazione.

Invece la ricerca di appagamento sul lavoro è una forte leva motivazionale, la base di un processo di consapevolezza professionale che poi si riflette positivamente sui risultati lavorativi, ma anche sulla vita extralavorativa, come abbiamo già detto all’inizio dell’intervista.

BREVE BIBLIOGRAFIA
Tra le molte pubblicazioni di Francesco Novara ricordiamo:
C. Musatti, G. Baussano, F. Novara, R. A. Rozzi – Psicologi in fabbrica (la psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti) – Giulio Einaudi Editore, 1980.
F. Novara – Liberare il lavoro – Guerini e Ass., 1997.
F. Novara, G. Sarchielli – fondamenti di psicologia del lavoro – Il Mulino 1996.

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