BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 04/05/2000

Dalla DPO (Direzione per Obiettivi) alla DPD (Direzione per Desideri)

di Davide Storni

Drucker, ormai un ventennio fa, teorizzava un nuovo modello di gestione manageriale, la direzione per obiettivi (o MBO - Management By Objectives) che rappresentava il vertice del paradigma razionalista applicato al management, paradigma che potremmo riassumere con "pianifico dunque sono".

Da allora tutte o quasi le aziende si sono cimentate con la DPO con risultati raramente soddisfacenti. Eppure sembra così logico, piano triennale, budget, obiettivi, risultati e gap analysis.

Ma non funziona così. Anche nella teoria manageriale si è insinuato il dubbio e si è cominciato a ripensare il business (BPR – Hammer e Champy), a rivalutare il fattore velocità, a costruire su opzioni per il futuro (che altro sono le supervalutazioni in borsa delle aziende della new technology costantemente e cronicamente in perdita?).

Come conciliare questo subbuglio, questa pazzia da tempi pazzi (Tempi pazzi, aziende pazze – Tom Peters) con gli strumenti manageriali esistenti e con la loro apoteosi, la DPO? 

Un imprenditore è un supermanager che pianifica e controlla, dominando gli strumenti e le tecniche manageriali. O è un fissato, uno che sa portare avanti un’idea, spesso contro tutto e tutti?

Già Norman negli ormai lontani anni ’70 propendeva per la seconda ipotesi. Imprenditore è colui che è portatore di una business idea, che anticipa i tempi, che individua una linea logica da nessuno vista (o da nessuno perseguita con tanta fermezza e/o tanta velocità).

Che cosa spinge questo imprenditore? Non certo la necessità o una buona pianificazione, ma il desiderio, la voglia di generare, di dar forma e vita alle proprie idee.

Quando ad un’azienda basta un’idea imprenditoriale per crescere e proliferare per decenni (mercati maturi, monopoli o oligopoli, …) allora la DPO può rappresentare un valido sistema manageriale. Gli scenari sono relativamente stabili o prevedibili, quindi i piani si possono tradurre in obiettivi per coordinare l’agire simultaneo di molte persone.

Ma oggi questi scenari sono sempre più rari e comunque non rappresentativi (a chi interessano più le economie di scala crescenti?).

Le nuove aziende, così come le vecchie che vogliono mantenersi vive, tendono a accelerare i ritmi dell’innovazione, a migliorare i propri livelli di servizio ponendo il cliente al centro, a cambiare velocemente per seguire il mercato (fast followers).

Ma chi innova e anticipa i mercati ha dei vantaggi economici consistenti, premiati dai mercati finanziari prima ancora che dai ritorni economici.

E allora i "manager tecnici che devono essere coordinati e pianificati" lasciano il posto ai "manager imprenditori", lo stress manageriale lascia il posto al divertimento (si proprio al divertimento, una decina di manager riuniti recentemente dall’amico Bruscaglioni l’hanno candidamente confessato), i piani alle idee, gli obiettivi ai desideri, perché sono i desideri che muovono le risorse interne di chi vuole divertirsi ad intrapredere una nuova avventura.

Perché non osare allora, proponendo l’abbandono della DPO e l’adozione di un nuovo meccanismo manageriale, la DPD?

Si proprio la Direzione Per Desideri, stimolando la capacità di produrre idee e la abilità nel tradurle in business, agendo sul lato creativo dei nostri manager, liberando la loro libertà di divertirsi a mettere al mondo cose prima impensate.

Innovazione, imprenditorialità, generatività non come fatti episodici e sporadici in mezzo ad una vita passata nella realizzazione di idee altrui (leggiamo libri americani, facciamo benchmark, il capo ha detto…), ma come sistema di management, come centralità della vita aziendale.

I desideri e le emozioni sono un elemento fondante della vita umana. In realtà non vi è momento razionale che non sia permeato o fondato su emozioni e desideri. Il desiderio è la capacità generante, è alla base di ogni processo innovativo e quindi alla base della capacità imprenditoriale.

Sono uomo e sono manager solamente se non nego queste mie facoltà. Anzi sono un buon manager solamente se do’ valore alla mia capacità desiderante, alle mie facoltà generative.

Il desiderio è quindi motore dell’innovazione e del cambiamento, che a loro volta sono fonte di divertimento e soddisfazione (anche economica), due momenti di feed-back fondamentali per la motivazione e per la crescita consapevole e matura dell’uomo.

Ma il desiderio deve essere tradotto in un oggetto, reale o figurato, in una creazione perché non divenga solamente frustrazione.

Allora stimoliamo il desiderio, ma aiutiamo anche i nostri manager a mettere a punto un metodo e a trovare le risorse necessarie per "dare forma" ai loro desideri.

Naturalmente facendo parte del gioco economico, il manager dovrà dare forma economica al proprio desiderio, ma è questo probabilmente l’unico vero vincolo della DPD.

Come diceva Morin, il metodo viene dopo. Infatti la capacità desiderante è indipendente e antecedente a qualsiasi metodologia, anzi il metodo può essere limitante, in quanto figlio di un paradigma. E la vera innovazione è creazione di nuovi paradigmi.

Ma il metodo è fondamentale per dar forma, per generare, per partorire l’idea imprenditoriale, figlia del desiderio, nata grazie al metodo.

"Ma l’azienda è una realtà organizzata, servono delle regole e non è possibile che ognuno segua i propri desideri!"

Il gioco nel quale i manager sono coinvolti è economico, non bisogna mai scordarlo, ed è organizzato, quindi richiede l’armonizzazione dell’agire di molteplici individui.

Ma l’organizzazione non è l’obiettivo primario dell’impresa, né l’organizzazione rimane sempre uguale a sé stessa.

Riprendendo la definizione di Maturana e Varela "l’organizzazione (di un sistema) è quel particolare insieme di relazioni fra le componenti che costituisce un’unità composita in quanto unità. In altre parole l’organizzazione è data da quelle relazioni fra le sue componenti che devono restare invarianti affinché si mantenga l’identità del sistema stesso". Possiamo dire che organizzazione è la capacità di mantenere quelle specificità che consentono all’organizzazione di percepirsi come ente diverso e distinto da altre organizzazioni/enti.

Quindi ogni organizzazione è diversa da ogni altra.

E pur mantenendo un filo comune (la propria storia, la propria cultura) cambia nel tempo, ripensandosi continuamente, producendo nuovi paradigmi che consentano efficaci letture del mondo esterno e del rapporto dell’organizzazione stessa con il mondo esterno.

Cambiare per rispondere ai desideri di chi partecipa all’organizzazione, quindi per attrarre a sé risorse, idee, capacità e, in questo modo, garantirsi al continuità, l’esistenza nel tempo.

Gestire i desideri è quindi il modo di garantirsi il futuro: dare spazio ai desideri dei singoli per dare continuità alla comunità, all’organizzazione.

E nulla vieta che la peculiarità di una organizzazione sia la capacità generativa, l’investimento in idee, la tolleranza verso i nuovi parametri emergenti.

Se invece parliamo di organizzazione come insieme di strumenti manageriali, questi vanno profondamente, completamente ripensati.

Capacità desiderante, capacità generativa, nuove idee, pilastri fondanti del nuovo modello gestionale che comincia con la DPD.

Premiare i desideri, poi premiare la capacità di realizzare i desideri in idee imprenditoriali mature. Premiare anche la capacità aggregativa, la capacità di fare squadra e di contribuire alla trasformazione di un desiderio in un’idea imprenditoriale.

Premiare chi si diverte sul lavoro, perché riesce ad esprimere l’insieme del suo io, perché riesce a sviluppare una personalità equilibrata che valorizza emozioni e capacità razionale.

Premiare chi non accetta di alienare da sé una parte di sé, ma che partecipa alla vita lavorativa perché parte integrante della propria vita, non altra, non diversa da quella extra-lavorativa (vita e basta, senza aggettivi).

Premiare quindi la capacità di lavorare meglio.

E in questo modo favorire la generazione di idee e lo sviluppo (anche) economico, in altre parole lavorare tutti. 


PS: sono debitore verso Massimo Bruscaglioni di alcune delle idee contenute in queste righe.

Spesso percorriamo vie parallele, lui intento alla lettura della complessità, io alla ricerca di una (nuova) semplicità.

Pagina precedente

Indice dei contributi