Metodi e stili di gestione direzionale

La credenza che "la leadership sia una qualità innata e naturale. Senza speciali caratteristiche umane e di personalità (intelligenza, fascino, caratteristiche umane e di personalità, aspetto fisico, ecc..) si ritiene non si possa essere dei leader" 1, è ampiamente condivisa dalla maggior parte delle donne che ho intervistato, le quali, quindi, concordano sull’impostazione caratteriologica dello studio alla leadership.

Leadership e supremazia

Per allontanarsi da nozioni importate dall’America, vorrei introdurre a questo proposito un concetto recente, quello di supremazia, che meglio si adatta al contesto delle imprese occidentali a proprietà e conduzione familiare, come quello della maggior parte delle imprese che ho analizzato.

Una breve parentesi storica sul termine leadership e sul concetto di supremazia.

Il termine leadership viene usato per la prima volta nella prima metà del diciannovesimo secolo, prima di allora prevaleva il termine supremazia.

La differenza sta nel fatto che "mentre la supremazia è una imposizione ai seguaci di determinate strutture sociali, la leadership emerge in un contesto sociale ed è accordata dai seguaci..". "Il leader deve il proprio ruolo al fatto di essere percepito dai seguaci come persona in possesso di qualità e comportamenti accettabili, credibili e appropriati alle loro necessità e ai relativi compiti e problemi e rimane per sempre soggetto a questa spontanea legittimazione". Invece, "una persona che giunge a essere capo per eredità, per il fatto stesso di occupare quella posizione, vede riconosciuto il diritto legittimo di determinare fini e mezzi del gruppo. La supremazia deriva dal riconoscimento di un diritto, la leadership viene riconosciuta in base ai risultati conseguiti".

"L’autorità di un capo deriva dalla differenza strutturale di potere rispetto al gruppo e non può essere ritirata a piacere dai membri del gruppo".

"In questi contesti il capo dell’impresa assumerà un controllo forte e centralizzato, agendo in maniera paternalistica. E’ molto importante notare che questa supremazia sarà ritenuta del tutto legittima dai componenti dell’organizzazione e che i diritti del capo non saranno messi in discussione né sfidati"2.

L’approccio culturale alla leadership

A questo punto vorrei evidenziare un approccio alla leadership, che a me è sembrato il più idoneo per avvicinare le otto aziende di matrice toscana.

Secondo un approccio culturale alla leadership, la scelta dello stile giusto di leadership non può prescindere dal contesto organizzativo e dalla cultura che lo connota. Ciascuna organizzazione ha un suo modo peculiare di interpretare la realtà e un suo modo specifico di essere.

Per acquisire il know-how necessario alla gestione più idonea di un’azienda, come avviene per ogni evoluzione scientifica, si procede "per tentativi ed errori". Arriva il momento in cui le competenze del mestiere, anche le più sofisticate, non bastano più. Vanno capiti i bisogni dei collaboratori, va trovata una soluzione valida per ognuno e vanno portati tutti a convergere su un’unica cultura aziendale.

Si costruisce così nel corso del tempo, in base ad esperienze, atteggiamenti, soluzioni che sono risultati efficaci, la cosiddetta cultura organizzativa 3". Questa comprende l’insieme dei modelli di comportamento, supportati da credenze, norme e valori, a cui fanno riferimento gli individui che fanno parte dell’organizzazione per le loro interazioni interne ed esterne.

Le tre tipologie di culture organizzative, menzionate da Bruscaglioni4, si possono così riassumere:

autoritaria-burocratica. Il potere è attribuito e gestito in base alla posizione gerarchica;

paternalistica-clientelare. Caratterizzata da un’ampia suddivisione del potere. Questo è suddiviso in base a collegamenti personali con il vertice dell’organizzazione;

professionale. Il potere è attribuito e gestito in base alle funzioni ed ai risultati che le persone devono garantire all’organizzazione.

Volendo considerare la cultura organizzativa come variabile, De Vito Piscicelli e Zanarini5 individuano cinque modelli ideali attraverso i quali può esprimersi l’attività di un leader:

Modello 1: autocrazia. Vengono utilizzati metodi autoritari, quali la forza e la tradizione, per ottenere l’acquiescienza.

Modello 2: burocrazia. Una forma di rapporto razionale e utilitario fra collaboratori e capo.

Modello 3: relazioni umane. Viene sottolineato l’aspetto sociale del rapporto fra capo e dipendenti.

Modello 4: partecipazione. Il rapporto tra capo e collaboratore viene considerato egualitario; i collaboratori vengono incoraggiati a condividere le responsabilità del capo nella soluzione dei problemi.

Modello 5: autonomia. Non viene esercitato sui dipendenti alcun controllo, ma la facoltà di autoorganizzarsi.

De Vito Piscicelli e Zanarini suggeriscono inoltre lo stile che meglio si adatta a contesti come quelli che ho esaminato:

"Le aziende caratterizzate da una situazione padronale, in cui il potere è concentrato al vertice dell’organizzazione, un capo può mettere in atto una modalità di leadership variabile tra il modello delle relazioni umane (che soddisfa le esigenze dei collaboratori) e quello dell’autocrazia, favorendo l’accentramento del potere."

"In contesti aziendali dinamici e competitivi", come quello che caratterizza la Enic Go Round, "gli stili di partecipazione e di autonomia sono quelli che meglio si adattano ad un sistema e ad una cultura che favorisce e supporta i cambiamenti, dove i meccanismi operativi sono numerosi, complessi e non facilmente prevedibili".

"La scelta di una modalità di leadership che idealmente si muove su un asse ai cui estremi si collocano leadership direttiva e leadership permissiva deve necessariamente essere correlata con la cultura organizzativa in cui il potere viene esercitato".

"Un’azione direzionale efficace dipende dalla compresenza di caratteristiche personali e di spiccate capacità: tecniche – umane – concettuali; queste ultime riguardano elementi di percezione organizzativa ed operativa che possono favorire una lettura integrata delle situazioni di lavoro, così da poter operare scelte organizzative in grado di ottimizzare le risorse esistenti".

"Le caratteristiche dei leader culturali sono: la forza delle loro convinzioni, e i loro comportamenti, che creano e comunicano ai collaboratori/seguaci aspettative elevate, senso di fiducia e motivazione, articolando e rendendo operativi e visibili i valori organizzativi".

Il modo di agire del leader varia inoltre a seconda dello stadio in cui si trova l’azienda. Per fare un esempio: "in situazione di crisi, il leader deve mostrare fiducia in sé, avere un atteggiamento dominante, deve essere in grado di creare e comunicare nuovi valori e strategie, mentre in situazione di routine, il leader deve dimostrare fiducia nel gruppo, avere un atteggiamento facilitatore e persuasivo, deve credere fermamente nei valori e nelle strategie che hanno caratterizzato quell’organizzazione".6

Gli stili e i modelli di gestione

I nodi centrali per la diagnosi di problemi organizzativi sono fondamentalmente due:

la natura del sistema e lo stato del sistema. I dati necessari al primo sono informazioni che permettono di costruire un modello concettuale basilare dell’organizzazione7. I dati relativi al secondo sono informazioni sulla situazione corrente di una organizzazione8, quali: il comportamento dei capi, i processi decisori e di comunicazione, i procedimenti di controllo e così via. Questi ultimi possono essere riassunti in quattro categorie:

Autoritario-autocratico. Le decisioni vengono prese al vertice. L’influenza interattiva con i subordinati è molto bassa, il senso di responsabilità dei subordinati è per questo motivo poco sentito.

Autoritario-paternalistico. Le decisioni vengono prese a più livelli: al vertice le decisioni a carattere politico, più in basso nell’organigramma le decisioni di carattere operativo. Il livello di interazione con i subordinati è sufficiente, anche se permangono sentimenti di timore e di cautela da parte dei subordinati, il senso di responsabilità è avvertito principalmente dal personale direttivo.

Partecipativo-consultivo. Le decisioni di ordine generale vengono prese al vertice, le decisioni più specifiche ai livelli inferiori, utilizzando positivamente le cognizioni tecniche e professionali di tutti i membri. Le persone vengono coinvolte, per quello che è il loro ruolo, nei vari step di un lavoro. L’interazione tra i membri è sufficiente, crea confidenza e fiducia, è frequente l’abitudine di lavorare in "equipe".

Partecipativo di gruppo. Le decisioni coinvolgono tutta l’organizzazione e per prenderle vengono utilizzate le conoscenze disponibili ad ogni livello dell’organizzazione.

Sulla base dei dati raccolti durante le interviste, e in particolare concentrandomi sulle risposte date alla domanda in cui chiedevo quali stili fossero risultati più efficaci per raggiungere gli obiettivi aziendali, ho svolto un’analisi interpretativa personale cercando di rintracciare, più o meno facilmente, un’orma, un filo conduttore, che ha accompagnato, nel corso del tempo, l’azione di queste leader.

Passo adesso a schematizzare i concetti finora esposti dando una connotazione generica dello stato di cose nelle otto imprese al momento delle interviste, sulla "memoria del passato" e sulla "previsione del futuro"(fig. 1). Come tutti gli schemi, il risultato può avere un carattere di forzatura e non ha alcuna funzione valutativa di giudizio. Vuole essere una fotografia scattata al momento dell’intervista in base alle risposte date.

FIGURA 1

CULTURA ORGANIZZATIVA

STILI DI GESTIONE

O.M.G. Autoritaria- burocratica

Autoritario-autocratico

W.F. Professionale

Autoritario-paternalistico

M.C.D.V Professionale

Partecipativo-consultivo

P.V.L. Paternalistica-clientelare

Autoritario-autocratico

G.M.B. Professionale

Relazioni umane/autocrazia

R.S. Autoritaria-burocratica

Autoritario-autocratico

T.B. Professionale

Relazioni umane/autocrazia

Le caratteristiche comuni che emergono dalle interviste in modo più eclatante, necessarie per essere buone leader e dirigenti di azienda, sono abbastanza classiche:

tantissima determinazione, energia, controllo, incrollabile volontà di fare e interesse costante per il proprio lavoro.

Queste sono le forze usate da tutte loro per imparare a fronteggiare gli stereotipi e i preconcetti ancora prevalenti, dimostrando che si può essere buone dirigenti e avere un’azienda vincente pur essendo donne, che il genere non conta per ottenere successo; anzi a volte, affermano, essere donne, con tutte le caratteristiche riconosciute alle donne come soggetti sociali, può addirittura rivelarsi un "jolly".

Lo stile direzionale comune che emerge incontra lo stereotipo di manager che Patrizia di Pietro, responsabile delle iniziative per la valorizzazione delle differenze di genere all’interno dell’Istud, l’Istituto Studi Direzionali di Stresa, così descrive:

"una persona molto sicura di sé, molto determinata, che di fronte alle difficoltà oppure alle opportunità ha dovuto (o preferito) sviluppare molte qualità, tra cui la produttività, l’energia, la capacità di affrontare situazioni rischiose".

Tutte le storie testimoniano una buona consapevolezza di queste dimensioni caratteriali oltre che, ovviamente, degli aspetti che riguardano il "business": internazionalizzazione, mobilità sul territorio e quant’altro.


[1] Auteri E. Management delle risorse umane (1998) pp320
[2] Quaglino G.P. Leadership (1999) pp 274-275
[3] De Vito Piscicelli P., Zanarini E. L’arte del comando (1996) pp 103
[4] De Vito Piscicelli P., Zanarini E. L’arte del comando (1996) pp 104
[5] De Vito Piscicelli P., Zanarini E. L’arte del comando (1996) pp 105
[6] De Vito Piscicelli P., Zanarini E. L’arte del comando (1996) pp 106-109
[7] nello schema leggi cultura organizzativa
[8] nello schema  leggi stili di gestione