BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 01/11/2004

PRIVATIZZAZIONE DELLA GUERRA E MILITARIZZAZIONE DEGLI AFFARI: LE PRIVATISED MILITARY FIRMS COME MODELLO D’IMPRESA GLOBALE.

di Guido Tassinari

La primavera scorsa, durante la suspence del dramma degli ostaggi, per un breve momento, l’attenzione del pubblico italiano s’è rivolta per la prima volta al personaggio del nuovo mercenario. Nel turbinìo con cui sono allestite le storie della più recente globalizzazione (i tre lustri aperti dalla caduta del Muro – di Berlino – e completati dalla caduta delle Mura – di Baghdad), l’importanza di questo protagonista-chiave è sfuggita però all’occhio dei più. Il confronto fra due scene-madre può allora palesarne il ruolo e, quindi, illuminare l’intera rappresentazione. All’ouverture della nuova era, nel 1990-91, l’invincibile Armada planetaria allestita dagli Stati Uniti per cooptare l’Urss e sbaragliare l’invasore iracheno in Kuwait impiegò il 99% delle risorse per sé stessa; al suo epilogo, nel 2003-04, un terzo dei costi della macchina da guerra - Atto II, è devoluto ad appaltatori privati (i cosiddetti mercenari, in realtà addetti delle privatised military and security firms, PMFs). Inoltre, gli autori dello script dell’Atto I stabilirono che i costi dell’invasione di Kuwait e Kurdistan iracheno dovessero essere ripagati da sconfitti (Iraq), liberati (Kuwait), e co-protagonisti (Ue e Giappone); l’Atto II prevedeva invece che l’invasione pagasse sé stessa. Ossia, che gli affari messi in moto dal cambio di regime in Iraq assicurassero ai partecipanti privati un buon ritorno sull’investimento nell’invasione. Cosa era successo dopo la prima scena che giustificasse una tale progressione strategica (e drammaturgica)? Che questa globalizzazione, avviatasi proprio con il riassorbimento dell’ex nemico sovietico nell’Occidente, aveva svezzato un nuovo attore – le PMFs – e che questi era ormai considerato in grado di sostenere il ruolo di privatizzatore della guerra nel dramma della privatizzazione del mondo.

Uscendo dalla metafora, dopo la I guerra del Golfo, l’espansione planetaria delle opportunità d’affari per grandi compagnie e finanzieri transnazionali (il cosiddetto mercato globale) ha messo in ombra la crescita di tre mercati a essa complementari: quello del riaggiustamento strutturale delle economie in transizione, quello degli affari umanitari verso le economie collassate, e quello delle compagnie che vendono servizi militari e più in generale di sicurezza (le PMFs, appunto) sugli altri tre. In particolare, l’emersione delle PMFs segnala l’innovazione più drastica nel modo in cui le guerre, e anche gli affari, vengono portati avanti. Pochi dati sono sufficienti a tratteggiarne la statura. Nell’ultimo decennio, il solo governo USA ha stipulato oltre 3000 contratti con PMFs americane per un valore complessivo di oltre 300 miliardi di dollari. Dei circa cento miliardi annui che la pace in Iraq costa ai contribuenti americani, oltre trenta sono pagati a privati, tanto che The Economist l’ha soprannominata la prima guerra privatizzata (nel 1991 il rapporto fra truppe regolari e appaltatori era di 100 a 1, oggi è di 10 a 1). Nell’Iraq liberato, le PMFs sono impiegate in tutta la filiera, dalle mense alle pulizie nelle caserme; dal trasporto vettovaglie alla manutenzione dei cacciabombardieri; dalla raccolta di informazioni alla consulenza negli interrogatori dei detenuti; dall’addestramento delle forze armate irachene alla protezione delle stesse truppe di occupazione (forse il primo caso nella storia in cui una forza di protezione ne assolda un’altra per proteggersi dalla popolazione che dovrebbe proteggere). Parallelamente, il governo ha subappaltato intere altre operazioni in cui preferisce agire defilato; per esempio, pagando $1,2 mld a PMFs per condurre la guerra alla droga in Colombia e Perù. Solo negli USA sono impiegati nel settore tra 125.000 e 600.000 lavoratori; nel mondo forse oltre un milione (torneremo più avanti sulla vaghezza di questi dati). Gran parte degli addetti provengono dal downsizing degli eserciti seguito alla caduta del Muro (l’esercito USA è al 60% di quel ch’era nel 1991, gli eserciti sovietici, tedesco-orientale e sudafricano si sono dissolti e i loro impiegati messi sul mercato internazionale). Il fatturato annuale globale del settore supera oggi i $100 miliardi (era di $55.6 mld nel 1990; si stima in $210 mld per il 2010, verso l’1% del prodotto mondiale).

Nel generale ritrarsi della sfera pubblica – la privatizzazione del mondo evocata da Jean Ziegler –, il ritorno delle armate particulier, graduale ma quasi invisibile, è stato da una parte favorito dall’indebolimento degli Stati e dalla crescita quantitativa e qualitativa delle organizzazioni internazionali; dall’altra dalla mancanza di fiducia degli operatori economici verso la capacità statale di garantire protezione; dall’altra ancora dall’esistenza di dislivelli normativi fra Stati e dalle smagliature del diritto internazionale (non c’è, né a livello nazionale né internazionale, vera overview sui contratti e sulla loro applicazione; non ci sono leggi che regolino il settore – malgrado timidi tentativi in USA, Gran Bretagna, Sud Africa; le convenzioni internazionali sui mercenari sono antiquate e inadeguate).

Il risultato è che tutti i soggetti transnazionali - Stati, eserciti nazionali e multinazionali, organizzazioni intergovernative (IGOs) e non-governative (NGOs), e soprattutto imprese (Transnational Corporations, TNCs) - impiegano i servizi delle PMFs nel corso delle loro attività ordinarie, non solo in quelle straordinarie in zona di guerra, ma non hanno una sostanziale possibilità (o volontà) di limitarne il ruolo (e dunque gli abusi). Se infatti tutti le usano nell’attuale vaghezza del lor status legale, chi ha interesse a regolamentarle? Riferendoci ai quattro mercati succitati, non interessa, apparentemente, al mercato del riaggiustamento, che assegna a privati il ruolo di ristrutturatori di stati; non a quello degli affari umanitari i cui agenti – IGOs e NGOs - hanno preso l’abitudine d’agire solo sotto scorta armata; men che meno le PMFs stesse, che se da un lato affermano di voler legittimarsi attraverso un riconoscimento chiaro del proprio status, dall’altra sono ben coscienti di prosperare nello status quo. E le TNCs (operanti in questi e altri mercati)? Le più visionarie in parte hanno preso le PMFs a modello, e in parte si sono fatte (o hanno acquisito) le proprie, sicché si può cominciare a paventare una difficilmente reversibile militarizzazione negli affari di questa globalizzazione.

Per comprendere questi timori bisogna proprio guardare all’espansione del mercato della sicurezza. Silenziosamente, il suo successo ha convertito le PMFs a modello d’impresa globale, proprio per i suoi loro fondamentali, quelli che hanno permesso che l’industria crescesse nell’ombra e che la rendono oggi irregolamentabile. Riassumendoli: il mercato nel quale agiscono non è certo né democratico (2700 su 3000 dei contratti del governo USA sono stati concessi a due sole firms: Booz, Allen&Hamilton, e Kellog, Brown&Root - KGB, parte di Halliburton, ex compagnia del vicepresidente Cheney), né a capitale diffuso (sebbene in parte ad azionariato popolare: molti risparmiatori ne finanziano inconsapevolmente le attività), né trasparente, tant’è che dimensioni e frontiere delle PMFs sono in,afferabili giacché la loro proprietà è semi segreta; i lavoratori sono semi segreti; i termini degli stessi contratti sono segreti (KBG ha avuto $1,7 mld di contratti in Iraq per la ricostruzione in un’assegnazione a porte chiuse). Su tutto, vi è l’indefinibilità delle PMFs che viene dalla loro extraterritorialità, dall’agilità delle strutture, dall’essere service-oriented businesses con un’ineguagliabile facilità di rispondere on call, apparire e sparire sul mercato e cambiare nome o proprietà; dal prosperare nella zona d’ombra fra legalità e illegalità. Ne risulta un miscuglio di deterritorialità e radicamento; di sostituzione, complementareità, concorrenzialità con il pubblico nell’offerta di servizi fondamentali; di capacità di attrazione di cervelli sul mercato globale (scienziati, ufficiali e soldati) e d’impiego di skills pagate dal pubblico (per esempio MPRI con 700 addetti, afferma di avere more generals per square foot than the Pentagon).

Per il prossimo futuro si prospetta un ulteriore salto di qualità con la diffusione dell’integrazione orizzontale fra PMFs e TNCs (di cui Halliburton è il campione); per cui se il più recente modello di impresa globale come rete ha privatizzato la guerra trasformandola in network enterprise, la pari dignità fra condotta e sicurezza negli affari potrebbe facilmente comportare la loro definitiva militarizzazione (in quello che Luigi Cavallaro chiama modello mafioso di globalizzazione: il pagamento della protezione in cambio dell’inclusione nel sistema di scambi). Sancita l’impotenza del diritto, i progetti esistenti di regolamentazione, e freno, di questi sviluppi vedono nel rinnovamento etico il vento per un’inversione di rotta. Il nodo è però quel che si suol dire complesso, e per essere sciolto si deve riuscire a combinare l’etica dell’impresa planetarizzata (e militarizzata); l’etica delle PMFs (che, tra l’altro, già oggi si sono dotate di codici); l’etica degli Stati; e, soprattutto, l’etica degli employers (principalmente le TNCs, dunque). Ma di questo si occupa il prossimo articolo…

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