BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 04/12/2006

FILANTROPIA ED ECONOMIA: A MODEST PROPOSAL A IMPRENDITORI MILANESI ILLUMINATI

di Guido Tassinari

Jonathan Swift, nel 1729 -all’inizio dello splendore industriale della Gran Bretagna, e delle sue, poi molto imitate in tutto il mondo, Poor Laws- di fronte allo stucchevole dibattito pubblico sulla carità statale, diede alle stampe la sua celeberrima Modest Proposal for Preventing the Children of Poor People from Being a Burden to their Parents, or the Country, and Make them Beneficial to the Public, nella quale per risolvere il problema della fame consigliava di vendere i bambini come cibo.

Scherzosamente, ma non troppo, direi che ora -all’inizio dello splendore postindustriale?- abbiamo un medesimo bisogno di rivedere radicalmente i principi-guida dell’impegno dei privati nel fronteggiamento dei mali sociali –la beneficenza, insomma, o cosiddetta responsabilità sociale delle imprese, almeno per come purtroppo quest’ultima viene comunemente intesa. Ché, in questo campo, the worst is yet to come (and won’t be fun).

In tre articoli dei mesi scorsi ho infatti cominciato allertando contro l’invasione della filantropia dei grandi capitalisti à la Bill Gates, individuandone i pericoli che ne derivano per tutti noi, e valutandone gli effetti su: libertà individuale dei beneficiati, raccolta delle tasse, condivisione sociale di finalità pubbliche.

Per continuare l’analisi con una Modest Proposal -prima di diventare noioso!-vorrei ora iniziare spostare il fuoco su un principio che accomuna le tante, e solo apparentemente diverse, filantropie degli ultraricchi (che possono essere generalizzate ché pressoché tutte condividono almeno tale tratto fondamentale). Per, quindi, in controluce individuarne uno diverso, uno che sia in grado di guidare programmi alternativi ai loro. Nella storia si trovano infatti molti esempi di questi, dato che parecchi ultraricchi a un punto della loro traiettoria si sono dedicati alla filantropia. I loro lasciti, letteralmente, ci circondano: dai musei ai teatri d’opera agli istituti di cultura fondati dai Rockefellers, Fords, Carnegies negli Usa del secolo scorso; dai restauri di monumenti ai centri studi ai servizi sociali finanziati da tante fondazioni bancarie italiane nel recente passato; dalle agenzie Onu ai programmi umanitari o sanitari globali sponsorizzati oggidì dai Turners, Buffets e Gates.

La cosa che accomuna tutte queste intraprese è che i loro artefici quasi invariabilmente vi hanno avviato attività completamente diverse da quelle i cui benefattori dovevano l’accumulazione dei propri grandi patrimoni. Come a sottolineare che la responsabilità sociale dei capitalisti consista nel mitigare con la beneficenza gli effetti sociali delle proprie attività economiche o nel restituire alla società almeno parte di quanto (indebitamente?) accumulato, perciò implicitamente concorrendo a separare le due sfere: quella spietata dell’economia, da quella umana della filantropia.

Per ricomporre questa venefica dicotomia, un’impresa -com’anche un individuo, se molto facoltoso- che voglia essere genuinamente responsabile, può invece partire dal credere fino in fondo –cioè al di là delle enunciazioni- al proprio ruolo sociale in quanto ente economico, non in quanto ente economico che però fa anche del bene fuori dall’orario di lavoro.

In altre, poche, parole: la chiave di un’etica economica che coincida -o almeno non confligga- con un’etica socialmente responsabile, non è fare cose diverse da quelle che puntano all’accumulazione di ricchezza, bensì fare le stesse cose ma in maniera diversa.  

Che è poi anche l’opposto dell’operato dell’ultraricco à la Bill Gates, che quando lascia l’economia e si butta in filantropia facose diverse nello stesso modo di sempre (ossia da monopolista illiberale).

Semplificando, la traduzione pratica di tale principio è questa: il ruolo sociale di un’impresa non è quello di dare soldi a un’associazione non profit affinché avvii attività significative per i disoccupati, bensì quello di assumere dei disoccupati. Non quello di finanziare le missioni religiose in Africa, bensì quello di investire in Africa. Non di pagare i corsi per stranieri organizzati dagli enti locali, bensì di avviare al lavoro immigrati nelle loro vere professioni (che un ingegnere singalese faccia l’ingegnere e non le pulizie dell’ufficio solo perché singalese). Non di aprire rifugi antifreddo per i senzatetto, bensì di costruire case dignitose a prezzi calmierati. Non di inviare derrate alimentari alle mense popolari, bensì di produrre cibo buono ed economico. Non di pagare i mediatori linguistici della scuola pubblica, bensì di guardare ai tanti stranieri qualificati come possibili mediatori culturali del proprio riposizionamento nell’economia globalizzata. Non di redistribuire in beneficenza parte dei profitti, bensì di mantenere il rapporto fra profitti e salari a livelli di equità.

Sembra facile? Lo sarebbe, se solo s’avesse fiducia nella continuazione della lunga tradizione italiana d’una simile visione civica dell’economia. Ricordando anche solo che agli albori della nostra industrializzazione, il Settentrione, e in specie a Milano, s’è riempito di case popolari, società di mutuo soccorso, cooperative di lavoro, proto-scuole di formazione, su iniziativa sì -per una parte importante- dei movimenti operai e contadini autorganizzati, ma per altra parte -forse altrettanto importante- per iniziativa dei tanti filantropi, che altro non erano che imprenditori illuminati.

Segni dei quali, ne sono esempi illustri la Società Umanitaria e i lasciti di Levi a Milano. E anche le citatissime innovazioni dell’Olivetti al tempo di Adriano, dopotutto, erano quasi tutte interne all’impresa, o meglio alla civiltà d’impresa.

E nel suo periodo d’oro (all’incirca i cinquant’anni centrali del XX secolo) il Nord Italia ha fatto sorgere società dalla prosperità e dall’egualitarismo con pochi pari al mondo, proprio per questa cultura del fare bene, fare tutti, fare per tutti.


1 - L'INVASIONE DEGLI ULTRARICCHI: BILL GATES IL FILANTROPO (1) (2) e (3) rispettivamente del 15/05/2006,31/7/2006 e 23/10/2006.

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