BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 11/04/2011

L'ITALIA E' UN PAESE ESTREMAMENTE MERITOCRATICO

di Guido Tassinari

L’allarme che in Italia, come in altri parti d’Europa si sta diffondendo riguardo l’assottigliamento della classe media e la riduzione della quota di reddito nazionale da lavoro rispetto a quello da rendita o da attività di impresa, si mischia a una meno recente, e più specificamente italiana lamentazione riguardo l’assenza di “meritocrazia”.

Non serve ironizzare sul fatto, per altro incontestabile, che le prefiche più rumorose siano generalmente bene al riparo dai rovesci economici personali o dall’incertezza del futuro proprio e dei propri discendenti e ascendenti; forse è più utile invece ribaltare il punto di vista: l’Italia è un Paese estremamente meritocratico; basta intendersi su che tipo di meriti siano premiati “da noi”. Due su tutti, e non da oggi: la capacità di fare soldi e quella di fare amicizie utili. Ma soldi e amicizie utili sono risorse limitate, per cosi dire, e infatti, e non da oggi, l’Italia è uno dei Paesi economicamente più diseguali del mondo: la meritocrazia funziona, qui.

Quindi,  se si pensa che siano altri i “meriti” da premiare bisognerebbe anzitutto definirli e soprattutto difenderne la scelta: si vuole che a essere socialmente premiati/riconosciuti siano gli studi accademici? La capacità di fare networking all’interno delle università e poi delle aziende? Il quoziente di intelligenza? Il “duro lavoro”? E perché mai dovrebbero essere valori prevalenti sugli altri? Perché, si sottintende ancora, aumenterebbero “la crescita”? O perché invece si sottintende che l’avanzata di una diversa meritocrazia, fondata su una diversa scala di “meriti” porterebbe a una società meno diseguale? Ma bisognerebbe spiegare come e perché, e sarebbe assai difficile: negli Stati uniti [dove con oltre la metà dei lavori non si raggiunge il salario minimo legale] i valori di cui sopra innervano la società, che è comunque fra le più economicamente diseguali del mondo, appena più egualitaria dell’Italia.

Torno rapidamente al principio, quindi: il vero problema attuale, quello che crea allarme nella società italiana [in una parte, un’altra parte non è mai uscita da una situazione individuale e di classe allarmante] è la riduzione della quota di reddito nazionale da lavoro “intellettuale” [non da lavoro tout-court! Che a chi importa di pagare la propria bambinaia cinque euro all’ora?] rispetto a quello da rendita o da attività di impresa, il che viene percepita dalla classe media come una chiusura di opportunità di avanzamento/consolidamento sociale.

Laureati che fanno gli spazzini! Dottorandi al call-centre! Non possiamo permetter[ce]lo! E perché? Possiamo permetter[ci] che il mestiere di spazzino/bambinaia/servo preveda un salario da fame, e che sia appannaggio perpetuo delle stesse classi? O caste, “importando” lavoratori poco qualificati [o ancor più, dequalificati per il mero fatto di essere “importati”]?

Ma questo ha a poco a che fare con la “meritocrazia”, che, insisto in Italia è ben realizzata: sono i suoi valori e “meriti” che sono quelli che sono -quanto piuttosto con il cambiamento [globale] del sistema di produzione di beni e merci: la società industriale implicava una tendenza ugualitaria, in quella post-moderna [o liquido-moderna] nessuno pare ancora avere idea di come rimettersi su quel cammino [o tendenza]. Al contrario, il lavoro industriale, anche operaio,  qui come negli Stati uniti come altrove, che era vera la porta verso la mobilità sociale, è nuovamente vittima di dequalificazione e de pauperizzazione.

L’industriale o il finanziere o il ministro, allora, che aumenta gli stipendi e frappone ostacoli alla rendita per il mero fatto di conoscere le condizioni di vita dei suoi subordinati non compirà un’opera “meritocratica” ma contribuirà in maniera assai più decisiva alla diminuzione delle disuguaglianze e, in ultima analisi, a fare valere i “meriti” di ciascun lavoratore-individuo. Se è questo che si vuole, certo.

Pagina precedente

Indice dei contributi