BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 13/02/2006

LO SPECIAL MASTER E IL PREZZO DELLA VITA

di Guido Tassinari

Per oltre quattro anni, ormai, sono scorsi tumultuosi e inarrestabili i proverbiali fiumi di inchiostro sul letto scavato dagli attentati terroristici a New York e Washington e sul nuovo corso mondiale che essi avrebbero inaugurato; ma mentre procede la ri-costruzione del mondo post-9/11, una delle sue opere-cardine (e potenzialmente fra le più gravide di conseguenze, durature e globali) è rimasta poco discussa, come fosse stata sommersa dal cedimento di tali dighe dialettiche.

All’indomani della tragedia (e non è un modismo: letteralmente all’indomani), gli Stati Uniti tutti – istituzioni, imprese, cittadini - iniziarono a interrogarsi su come risarcire le vittime degli attacchi; poche settimane fa, questa lunga seduta di autocoscienza è arrivata alla sua conclusione (che, come in tutti i drammi americani, è avvenuta in Tribunale): per la prima volta nella storia, un’intera società si è fatta carico di stabilire - in maniera scientifica – quanto valga una vita. E non una società qualsiasi, bensì la medesima che, autoassegnatasi una giurisdizione universale, ogni giorno decide il valore della vita nelle altre società; globalmente, appunto.

Il processo, lungo e doloroso, era iniziato appena crollate le torri gemelle, quando scattò in tutto il Paese una regata di solidarietà fra cittadini e istituzioni per riempire fondi speciali di assistenza a chiunque avvesse sofferto per gli attacchi. In teoria, a parte la istintiva generosità che sempre si risveglia con simili avvenimenti (e a parte l’oggettiva difficoltà di definire con certezza quel chiunque), non ce ne sarebbe stato bisogno: le assicurazioni - da quelle dei pompieri a quelle delle aereolinee - avrebbero dovuto coprire automaticamente tutte le richieste di risarcimento. Fu però subito chiaro che né gli argini delle compagnie assicurative, né quelli dei suoi principali assicurati (in primis proprio le aereolinee) avrebbero potuto reggerne l’urto da sole, e che vari settori industriali sarebbero annegati sotto la marea di cause attese. Il parlamento varò quindi d’urgenza lo Air Transportation Safety and System Stabilization Act, con tre scopi: assistere i settori aereo e assicurativo; centralizzare tutti gli aiuti (pubblici e privati) in un unico fondo; evitare che ci fosse una piena di cause di risarcimento nei tribunali. A questi fini, a capo del Victims Compensation Fund veniva nominato uno Special Master che avrebbe avuto voce definitiva e innappellabile sulla distribuzione dei risarcimenti (e chi avesse deciso di sfidare la ventura nella navigazione fra corti di tribunale, l’avrebbe potuto fare solo rinunciando preventivamente al riparo del fondo).

Lo Special Master, schivando ogni genere di periglio, è infine giunto a una decisione, ed è una di assoluta rilevanza – oltre che per i diretti interessati – per quel che rivela del nostro mondo: a ogni vittima viene riconosciuto un uguale ammontare ($250.000) per dolore e sofferenza, più una somma differenziata in proporzione al tenore di vita anteriore intaccato dagli attentati (che calcolata e ricalcolata – e per questo c’è voluto tanto per raggiungere un verdetto definitivo – varia da $350.000 a $4,5 milioni). Ossia che l’intera società – non una compagnia assicurativa, non una corte – ha deciso, in definitiva, del valore di ogni vita, e che questo valore sia proporzionale alla ricchezza accumulata, che quindi la vita di un americano ricco valga fino a tredici volte di più di quella di un povero. E, come dicevo all’inizio, questo principio possa divenire timone e faro globale e universale; sicché un afgano o pakistano collateralmente danneggiato da un missile mal mirato si possa risarcire con un centinaio di dollari, e non in quanto non americano, come si sente dire di solito, ma in quanto povero.

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