BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 14/06/2010

 

I PENSIERI INTERROTTI DELLA TECNOLOGIA. O LA RICOGNIZIONE DELLO STATO MENTALE DEL RICERCATORE (1)

di Piero Trupia

Un problema del riduzionismo è la sua indisponibilità a considerare altri paradigmi, rispetto a quello assunto come ‘scientifico’, a mettere in discussione il dogma della natura esclusivamente cerebrale della cognizione e del mentale in genere, quei sentieri interrotti e quei programmi di ricerca ideologicamente orientati.
È una storia che si ripete nella ricerca scientifica e tecnologica moderna, quando si affronta un problema che comporta una ricognizione dello ’stato di natura’, la Tatsache dei neopositivisti. Occorre, in tal caso, un’attenta ricognizione dello stato mentale del ricercatore. Ciò al fine di verificare se una sua radicata convinzione - esonerata dalla critica secondo Gehlen -  possa predeterminare i percorsi della ricerca, inducendo a cassare, nel programma dell’indagine, gli esiti che, in base a quella convinzione, si ritengono scontati in positivo o in negativo. Tra questi, il più insidioso è la superiorità affettivamente, ideologicamente o tradizionalmente attribuita al proprio approccio. Vediamo due casi.
Il primo è quello del jetlag. Si risolve, dormendo durante lo spostamento, se è abbastanza lungo, altrimenti il problema non si pone.
Il Concorde partiva da Parigi alle 15,00 e arrivava a New York dopo tre ore di volo, alle undici del mattino. Bastava accorciare di tre ore la veglia e non c’era nessun effetto del meridiano. Per i viaggi notturni di nove ore nette, dodici effettive, basta dormire durante il viaggio. Si obietta che in aereo qualcuno non riesce a dormire, ma questo non ha nulla a che fare con il jetlag o con i ritmi circadiani spesso tirati in ballo o, ancora con l’alternarsi luce-tenebre. Esistono persone e animali che amano la veglia notturna e il riposo diurno. Se poi si arriva in piena notte, si può andare a dormire appena possibile e svegliarsi più tardi dopo l’intervallo standard personale. Intanto è arrivata l’offensiva farmacologia: la pillola contro il jetlag che promette un discreto business.
Il secondo caso è quello del volo umano.
Anche qui riscontriamo il condizionamento di un ‘saputo’ consolidato sul ‘sapere’ da acquisire.
La ricerca di una soluzione del volo umano dal primo tentativo di Dedalo, databile intorno al XV secolo a.C., è rimasta bloccata dal ‘saputo’: ‘si vola come volano gli uccelli’.
Interessante è anche la spiegazione, post factum, dello scioglimento della cera che teneva insieme le penne delle ali di Icaro per essersi egli incautamente avvicinato al sole. Falsa: ad altezze elevate la temperatura scende, non sale.
Ma non è questo il punto. Leonardo, pur non avendo usato la cera come collante, fallì anch’egli, e spiace dirlo, per aver mantenuto il paradigma aviario. Paradigma naturale, e quindi, plausibile, ma non valido. L’ala battente è certamente un meccanismo libratorio e motorio, non adatto però al  volo umano Solo l’uccello, con le sue ossa cave e uno sterno in grado di vincolare dinamicamente le ali, può sviluppare un rapporto potenza-peso adeguato al volo diretto. Una macchina con ali battenti o remiganti pur volante, non sarebbe efficiente e non avrebbe capacità di carico.
Il paradigma aviario fu abbandonato soltanto alla fine del settecento per un altro ugualmente naturale e fattuale ma altrettanto inadeguato, quello del galleggiamento. C’era la navigazione in acqua e quindi, analogicamente, il paradigma del più leggero dell’aria. Ma vincente, alla fine, si sarebbe dimostrato quello, impensabile non aviario e non di galleggiamento, del più pesante dell’aria, valido per lo stesso relativamente leggero, uccello.
Tuttavia, mongolfiere e dirigibili si reggevano in aria e il dirigibile si muoveva anche autonomamente sia pure con grandi limitazioni di esercizio e di sicurezza.
C’è voluta la genialità di due meccanici modesti riparatori di biciclette, i fratelli Wright, per realizzare, nel 1903, un dispositivo volante più pesante dell’aria, il paradosso inconcepibile da sempre.
Il volo era, utilizzando la parola di Husserl, un plenum, manifestazione di una ‘cosa’ che nasconde gelosamente la sua essenza, che difende strenuamente la sua ricchezza semantica che nessun predicato o gruppo di predicati può descrittivamente esaurire.
C’è una misteriosa corrispondenza tra la contraddittorietà di alcune espressioni linguistiche e una coerenza profonda che soltanto una ricerca senza pregiudizi può attingere. Il ‘più pesante dell’aria’ si libra portato da ali fisse, il cui profilo geometrico, al di sopra di una certa velocità, in relazione al peso dell’intero corpo volante, produce una spinta antigravitazionale.
La ricerca è stata lunga, fra 3500 e 3700 anni, fino al momento in cui il goffo aggeggio dei due riparatori di biciclette decollò e volò per 59 secondi e 266 metri.
I fratelli Wright avevano fatto epoché di tutto il saputo sul volo umano.


1 - Il testo fa parte del testo L'intelligenza umana, destinato ad apparire, sotto forma di serie di diversi articoli, sulla rivista Persone & Conoscenze. (Nota di F.V.)

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