BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 21/03/2005
I SOTTERRANEI DELL'ORGANIZZAZIONE

di Francesco Varanini

 

Aproccio antropologico, o etnografico, ovvero Come il fattorino costruisce conoscenza

Lavorando come consulente, ho avuto sotto gli occhi nei mesi scorsi la sede di una azienda di servizi in grande, vorticosa crescita. Crescita trainata dal mercato. Ora il vertice aziendale si è reso conto che è importante mettere mano a un lavoro rivolto all’interno. Alle risorse umane, all’organizzazione. Sento dire esplicitamente: le nostra fondamenta sono solide, eppure ora l’edificio è traballante.

La metafora dell’edificio non è casuale. La situazione organizzativa è perfettamente riflessa dal lay out, nella gestione degli spazi fisici nell’edificio che ospita il quartier generale. È un cantiere.

Si sale con un ascensore e ci si trovasu un piano desolatamente vuoto, si sale allo stesso piano con un altro ascensore e ci si trovain un’area sovraffollata. Si scende con una scala e ci si trova nel nulla. Muri e tramezzi sono alzati ed abbattuti di giorno in giorno. Nessuno sa con certezza dove oggi stia l’ufficio, comunque provvisorio, di un altro.

L’addetto alla vigilanza in servizio all’ingresso racconta che lui stesso si perde, perché fa il turno di notte una volta alla settimana, e quando fa il suo giro si trova invariabilmente di fronte a un muro dove prima c’era un corridoio. E aggiunge che esiste solo una famiglia professionale in grado saper in tempo reale come stanno le cose: quella dei fattorini. Girano in continuo, random, l’edificio, scambiano informazioni tra di loro – la loro conoscenza non è perfetta, è per definizione sub-ottimale, ma cresce e si evolve con il contesto.

Ecco, questo mi pare un buon esempio di approccio antropologico, o etnografico (la differenza tra i due concetti esiste, ma è sottile e alla fine non fondamentale – introdurla qui significherebbe solo perdersi in cavilli).

Guardare oltre le procedure formalizzate, guardare alla cultura e alle sue manifestazioni. Guardare ai comportamenti delle persone. In questa impresa, c’è clima di incertezza, mancanza di riferimenti solidi, identità indebolita. Si traduce nei fatti in una nuova solidarietà: chiunque giri per i corridoi è immediatamente soccorso da qualcuno che indica una strada.

Il Padrone di Parise e Maigret, ovvero Come i romanzieri narrano le organizzazioni

La situazione dell’organizzazione emerge dai racconti. “Un solo gabinetto maschile per settanta persone, e poi si lamentano perché lo lasciamo sporco”. Quando si arriva a questi discorsi, vuol dire che l’intervista serve a qualcosa, mi stanno dicendo veramente qualcosa di quello che succede.

E mi viene in mente un romanzo nel quale il lay out gioca un ruolo centrale. Siamo negli anni sessanta, gli anni del boom. Il protagonista è un giovane neoassunto, di fatto assistente del padrone giovane –il figlio del fondatore che lotta, anche con se stesso, per prendere il comando. La sede dell’azienda è doppia: una parte in un vecchio palazzo patrizio del centro di Milano, e l’altra collegata alla prima da “una grande cupola di vetro spesso e opaco”, un cubo di cemento, acciaio e cristallo a tutta parete, però sigillato e condizionato. L’ufficio del giovane padrone è nel vecchio edificio. Lì non si possono spostare muri. E così l’idea –“la vorrei vicino, in modo da stare continuamente in contatto”– si traduce in reinvenzione dello spazio. “Infatti il mio ufficio è proprio di fronte al suo, separato soltanto dal corridoio. È una stanzetta minuscola, ricavatadal gabinetto privato del dottor Max: la tazza e il lavabo sono stati tolti e ora ci sono io, una sedia, un tavolo, un portacenere e un attaccapanni accanto alla finestra”.

Di romanzo in romanzo: Maigret, come ogni investigatore, lo sa bene: dell'area abbracciata dallo sguardo, quella marginale è, in linea di principio, la più ricca di informazioni. Seguiamo quindi i commissario che, per capire cosa accade nelle lussuose camere dell’Hôtel Majestic, non parla con gli ospiti, ma si immerge nei sotterranei, discorre con cuochi e camerieri, gira per le cucine, per gli spogliatoi – guarda dietro le quinte. La conoscenza più ricca sta nei “vasti sotterranei dagli intricati corridoi, dalle molteplici porte, dai muri tinteggiati di grigio come cunicoli di un cargo”.

Se riteniamo utile guardare all’organizzazione latente, se riteniamo importante portare alla luce le conoscenze nascoste, le capacità non valorizzate, allora dobbiamo usare immagini adeguate.

Non serve pensare all’ufficio con la scrivania dirigenziale, non conta la hall con il vigilante in livrea e le poltrone e magari la musica di sottofondo. Contano le scale di servizio, i servizi igienici con i loro graffiti. Contano le chiacchiere alla macchinetta del caffè e in mensa. Contano i discorsi fatti da manutentori e guardiani, nel turno di notte.

Ciò che dicono e fanno i manager è l’espressione della strategia aziendale. Ciò che è contenuto nelle disposizioni organizzative e nelle procedure informatizzate è certo necessario al funzionamento organizzativo. Ma essendo tutto questo già noto e valorizzato, possiamo darlo per scontato.

Per andare oltre, per capire di più, dovremo imparare da fattorini, archivisti, portatori di punti di vista differenti. Imparare da anonimi impiegati che tengono chiusi nei loro cassetti e nel loro disco fisso potenziali tesori.


Goffredo Parise, Il padrone, esce in prima edizione nel marzo del 1965 nella collana “I Narratori” di Feltrinelli. La seconda edizione appare del 1971 nella collana “Gli Struzzi” di Einaudi.

Georges Simenon, Les caves du Majestic, 1942. In italiano I sotterranei del Majestic, Adelphi.

 

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