BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 04/07/2005
IL SOFTWARE, COME POSSIAMO PENSARE A BREVETTARLO SE NON SAPPIAMO COSA E'?

di Francesco Varanini 

Dico subito che sono contro la proposta di legge europea sulla brevettabilità del software.

Ma più che entrare in una polemica tra addetti ai lavori, credo sia utile allargare lo sguardo.

La prima considerazione è sulla democraticità delle scelte. Non siamo qui in una situazione molto diversa da quella recente, quando l’opinione pubblica è stata chiamata a schierarsi in merito a questioni di genetica, cellule staminali di un tipo o di un altro. Anzi, qui, parlando di software, la situazione è più pericolosa, perché il senso comune ci fa comunque intendere che la genetica, pur essendoci difficilmente comprensibile, riguarda ogni persona. Mentre è più difficile comprendere perché e percome ci riguarda il software. Se poi si guarda all’aspetto etico: bè, anche dietro i ragionamenti relativi al software aleggiano profonde riflessioni etiche: qui non è in gioco il nostro corpo, ma qualcosa di altrettanto importante: la nostra conoscenza.

E badate: la gravità della situazione sta soprattutto nel fatto che il tema risulta ostico non solo al cittadino, ma alla stragrande maggioranza di opinion leader, politici, giornalisti, intellettuali. Pochissimi sanno di cosa si tratta.

La seconda considerazione riguarda la sfuggente natura del software. Claudio Gerino, di Repubblica, ha raccolto l’opinione di Orazio Viele, Direttore ricerca e innovazione del gruppo Engineering. Parlando di cosa si vuole rendere brevettabile, Viele distingue“due possibili interpretazioni”. “La prima è che si tratti dell'insieme di software e dispositivo che lo supporta” –ad esempio. il softare che permetteal cellulare di funzionare–. Ma c’è una seconda interpretazione: “il software ‘indipendente’ dal dispositivo che lo utlizza”. Leggendo queste righe, mi ritorna prepontentemente in mente la storia della parola ‘software’. Si era affermata attorno al 1960, proprio nel momento in cui il software diventava ‘portabile’ da una macchina all’altra. Si presentava quindi l’esigenza di trovare un nome per questa cosa strana, che non era solo un programma per far funzionare una macchina, ma era conoscenza codificata e riutilizzabile.

Così si dovette trovare un nome per questa cosa strana, e si usò ‘software’. Ma per dieci anni si continuò a scrivere ‘software’ tra virgolette. Perché il software, in fondo, non può definirsi che per differenza “as opposed to the physicalcomponents of the system”. E ciò che non è hardware, ciò che va al di là della parte fisica della macchina

Oggi, come negli anni ’60 e ’70, la natura del software appare vaga dagli stessi specialisti. È un asset dotato di un valore, certo, ma è immateriale, intangibile.

Gli asset intangibili hanno una natura diversa dai beni materiali, fatti di atomi. Possono essere usati contemporaneamente da più persone. Le conoscenze possono essere implementate, condivise, incrociate, in modo molto diverso da come si fa con i beni materiali. Una idea –quella del brevetto– nata in un contesto tecnologico dominato dall’industria dei beni materiali, difficilmente potrà adattarsi a regolare un contesto tecnologico del tutto diverso

Ecco dunque una terza considerazione. Tendiamo dunque a guardare le cose non come stanno, ma come vorremmo fossero. Riduciamo la realtà a ciò che è regolabile con sistemi normativi adatti a realtà superate. Per lunghi anni la navigazione aerea fu regolata dalle norme create per lanavigazione sull’acqua. E’ vero che la teoria generale del diritto ci insegna che non ci può essere vuoto normativo. Ma questo non è un buon motivo per forzare l’applicazione del brevetto e del diritto d’autore oltre ragionevoli confini. Perché il software è incontestabilmente qualcosa di ben diverso sia dalla invenzione industriale – che trova protezione nel brevetto–, sia dall’opera d’ingegno scientifica e artistica –che trova protezione nel diritto d’autore. Di fronte a una realtà nuova, servono istituiti giuridici nuovi.

Quarta considerazione. Si dice che solo con il brevetto, o in subordine con il diritto d’autore,

potrà essere difeso il risultato della Ricerca & Sviluppo, e quindi saranno stimolati gli investimenti tesi all’innovazione.

Questo, almeno in un caso sotto gli occhi di tutti, non è vero. Il software Open Source continua ad essere sviluppato, in assenza di brevettabilità. Gli sviluppatori Open Source trovano, nelle regole che si sono dati, motivo sufficiente per continuare a sviluppare, a produrre conoscenza. Nessuno nega che Linux, e in genere l’enorme massa di codice prodotto in regime Open Source, abbiano un valore.

La licenza licenza GNU/GPL, il sistema normativo che –per dirla in breve– regola questo mondo, avrà pure, come ogni sistema normativo, i suoi limiti. Ma funziona. Protegge e stimola l’innovazione. Credo che dovremmo, senza pregiudizi, osservare meglio questo modello.

Non è detto che la parità di condizioni e la protezione contro l’appropriazione indebita e lo stimolo all’innovazione debbano essere garantite da una istituti giuridici quali la legge, il brevetto, il diritto d’autore. Qualcuno, attraverso questi istituti, tende a promuovere i propri interessi di lobby. E questo è, naturalmente, perfettamente legittimo.

Ma non dimentichiamo che –forse– ci accaniamo ad usare brevetto e diritto d’autore solo perché è più facile replicare il passato che inventare. E perché è ci risulta difficile capire cosa è il software. E perché la politica è interessata ad assoggettare al suo controllo qualcosa che ora almeno in parte le sfugge.

Pagina precedente

Indice dei contributi