BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 24/05/1999

GRAGNANO E I MACCHERONI
Passato e presente di un distretto industriale
di Francesco Varanini

Accompagnato dalla Regina e dalla Corte, scortato da quaranta cavalieri, alle nove del mattino il Re di Napoli Ferdinando di Borbone -che per questa visita ha interrotto la villeggiatura al Real sito di Quisisana, a Castellammare di Stabia- percorre corso Sancio, la via principale di Gragnano. E' il 12 luglio 1845. In un clima di festa il corteo si dirige verso la Chiesa del Corpo di Cristo, dove viene officiata una messa solenne.

Poi il Re, guidato dal Sindaco e dai notabili si reca a visitare gli "opifici di paste lunghe", che sono situati lungo quella stessa via principale. Gragnano già allora è un centro industriale pienamente sviluppato, dove la stessa pianificazione urbanistica e territoriale è realizzata in funzione delle esigenze di un ciclo produttivo, quello della pasta alimentare.

Il Re segue con interesse la descrizione delle diverse fasi: impastatura, filatura, essiccazione. I maccaronari fanno dono al Re di cento tomoli di maccaroni, "perché li mangi in buona compagnia". Il Re contraccambia gratificando i maccaronari con il soldo di tre giornate di lavoro.

Il pranzo offerto all'augusto ospite inizia naturalmente con un piatto di maccaroni. Segue arrosto di manzo e cacciagione, innaffiato dal buon vino del luogo, "che pizzica ma non mbriaca". Cibo genuino i maccaroni, come genuini sono gli uomini di Gragnano, commenta alla fine del pasto il Re. Che concede ai fabbricanti gragnanesi "l'alto privilegio di fornir la Corte di tutte le paste lunghe quando si trovi al Real sito di Quisisana". Da allora si producono a Gragnano, con speciale cura, "li maccaroni del Re".

La speciale vocazione produttiva di Gragnano è una storia che merita di essere raccontata. La lavorazione di maccaroni per uso non familiare ha inizio nella seconda metà del 1500, quando la cittadina era famosa come importante centro produttivo in un ben diverso settore: coltivazione del baco da seta e tessitura.

Esisteva dunque ben radicata una capacità imprenditoriale; ed un diffuso orientamento alla creazione di ricchezza tramite il lavoro organizzato.

All'opposto di quanto dovremmo pensare se accettassimo per buono lo stereotipo di un Mezzogiorno italiano disinteressato allo sviluppo, c'erano famiglie aristocratiche che non si limitavano a godere dei frutti della rendita agraria, ma che reinvestivano nella produzione; e c'erano famiglie di lavoratori da generazioni convinte che la loro emancipazione era legata all'impegno quotidiano, ed alla qualità del prodotto.

La lavorazione della pasta, del resto, appare la naturale espansione di una attività economica che, parallelamente all'allevamento del baco da seta, si era affermata nel 1500: la lavorazione del grano duro, proveniente per lo più dalla Puglia. Lungo il fiume Vernotico, sfruttando le acque della sorgente Forma, giunsero ad operare oltre trenta mulini.

Ci si rese presto conto che il prodotto della Valle dei Mulini, la semola, inizialmente destinato al mercato di Napoli, poteva essere convenientemente lavorato in loco. Esistevano infatti condizioni climatiche ed ambientali che si rivelarono ideali: le acque del rio Gragnano rendevano agevole l'impastatura; l'aria leggermente umida era particolarmente propizia per prosciugare in modo lento e graduale i maccheroni; la vicina area metropolitana di Napoli garantiva un vasto mercato.

Sorsero così nel 1600 i primi pastifici a conduzione familiare. Presto i gragnanesi, modificando ed adattando le modalità tradizionali, giunsero a definire un nuovo ciclo di produzione della pasta (l'impasto a caldo, la filatura tramite trafile di rame). Un ciclo di produzione in grado al contempo di garantire alto standard di qualità e grandi volumi di produzione.

Nel 1783 una malattia delle piante provoca una moria di bachi. Il Consiglio della Municipalità ordina allora "la distruzione ed estirpazione dei bruchi". Tanto Gragnano, fino a un secolo prima nota "per i panni chiamati col suo nome che quivi in gran copia si fanno", è ormai diventata per tutti "la città dei maccheroni".

Gli "opifici di paste lunghe" si moltiplicano: sono oltre 80 all'inizio del nostro secolo, quando la fama della pasta di Gragnano ha ormai invaso i mercati di Torino, Firenze e Milano. E si affaccia sui mercati stranieri.

Nel frattempo -caso singolare ed esemplare- lo sviluppo economico, culturale, urbanistico della città si è sempre più strettamente, indissolubilmente legato alle esigenze peculiari di una unica attività produttiva.

Così tra il 1843 e il 1847 la via centrale è ricostruita a partire dalle esigenze della essiccazione della pasta: la larghezza della sede stradale, l'altezza dei fabbricati adiacenti e l'orientamento sull'asse est-ovest sono studiati in modo che in ogni ora del giorno la luce ed il calore possano accarezzare i maccheroni stesi ad asciugare.

E nel 1885 alla presenza del Re Umberto, della Regina Margherita, del Presidente del Consiglio dei Ministri Depretis viene solennemente inaugurata la tratta ferroviaria che collega Gragnano alla linea Napoli-Salerno. Gragnano è così finalmente inserita in modo adeguato nelle linee di traffico, sia per il movimento viaggiatori che per il movimento di merci (grani, semole, farine, prodotti finiti). Ma si badi bene: non si tratta di infrastrutture offerte dallo Stato come stimolo allo sviluppo economico. Si tratta solo del tardivo riconoscimento di un polo di sviluppo cresciuto autonomamente, dove imprenditori e lavoratori locali erano abituati a crearsi da soli le infrastrutture.

L'impiego dell'energia elettrica impose un ripensamento nel modo di produrre. Anche di fronte a questa sfida Gragnano seppe dare una sua originale risposta. Sorgono così i nuovi "Molini e Pastifici", pensati per offrire lo standard di qualità tramite nuove tecnologie. I mulini ad acqua cessano man mano l'attività, perché i pastifici trovano ora vantaggiosa la macinazione diretta del grano. I torchi sono abbandonati per far posto a presse elettriche.

E' questa probabilmente –tra il 1900 e il 1920– la fase di massimo successo del 'modello Gragnano'. Attorno al 1935 si manifestano le prime avvisaglie della crisi. Il Governo fascista, di fronte alle sanzioni comminate dalla Società delle Nazioni, fa ricorso all'autarchia e dà inizio alla 'battaglia del grano'. Ma il grano nazionale non era più sufficiente, per qualità e quantità, per le industrie gragnanesi, che importavano grano duro dalla Russia e dall'America. E la chiusura dei mercati stranieri tarpa le ali alla definitiva espansione commerciale.

Quando nel dopoguerra si può riprendere la corsa la struttura del mercato è mutata. Le grandi dimensioni delle imprese nazionali e multinazionali e la pressione della grande distribuzione schiacciano il ‘modello Gragnano’, tuttora caratterizzato da aziende di dimensioni medio-piccole.

Arriviamo così al giorno d’oggi. Gli imprenditori gragnanesi, ognuno orgoglioso della propria diversità, della propria tradizione, ognuno puntando sulle proprie capacità imprenditoriali, non sono purtroppo riusciti a darsi –nemmeno lì dove sarebbe stato fattibile ed utile– strategie comuni. Nonostante gli sforzi dell’amministrazione locale, non è decollata un politica di distretto. Non si è trovato l’accordo su un marchio che accomuni i produttori e che contraddistingue la qualità; non c’è scambio di informazioni; non esistono iniziative comuni sul fronte dell’immagine, dello sviluppo, dell’internazionalizzazione.

Accade così che una straordinaria cultura produttiva, in grado di realizzare pasta alimentare con un livello qualitativo unico al mondo, riesce con grande difficoltà a raggiungere il proprio mercato elettivo: catene distributive di prodotti alimentari di élite, grandi ristoranti. L’imprenditoria locale si trova così spinta a cercare sbocchi nella produzione a basso costo, per conto terzi. Cosicché a Gragnano si produce oggi poca pasta di Gragnano e molta pasta standard, realizzata con attrezzature e tecnologie standard, per le maggiori marche italiane.

Eppure le industrie gragnanesi, restano in grado di fornire un prodotto difficilmente eguagliabile.

Eppure i ‘maccaronieri’ gragnanesi continuano ad essere i maestri dell’‘arte della pasta’. Eredi di una tradizione che costituisce di per sé una grande ricchezza – e che rischia di essere dispersa.

Una cosa è infatti imparare da zero un mestiere, una cosa è essere figli e nipoti e pronipoti di "lavorieri di paste lunghe". Non a caso nel 1800 i ragazzini tra i 10 e i 12 anni, figli di maccaronari, avevano un loro preciso ruolo in fabbrica. I maccheroni usciti dalla trafila erano stesi su canne (ogni canna era lunga circa un metro e mezzo, e vi si potevano poggiare da cinque a dieci chili di pasta). Gli "aìzacanne", tanto abili da portare tra le dita di una sola mano tre, a volte quattro canne, senza fare attaccare tra di loro i maccheroni ancora freschi, avevano il compito di portare la pasta ad asciugare sulla strada. Lungo questo percorso erano seguiti dai ragazzini muniti di cassette, addetti ad "aunàre" i maccheroni che scivolavano dalle canne. Quasi un gioco; ma allo stesso tempo un modo di apprendere l’arte. E di imparare un’etica del lavoro. Si racconta che ogni tanto gli adulti lasciavano cadere per terra monete. Naturalmente i bambini le raccoglievano subito, dimenticandosi della pasta. Allora, ricevevano un sonoro ceffone. Capivano così che si doveva porre più attenzione ai maccheroni che alle monete. Perché in realtà i maccheroni erano denaro, erano la vera ricchezza.

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