BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 29/05/2006
LE PAROLE SONO IMPORTANTI. DAL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AL SIGNIFICATO DEL LAVORO

di Francesco Varanini (1)

Due ghiaie che cozzano, una pietra che rotola, un tizzone ardente, una striscia di stoffa, un sacchetto di pelle, un bastone, un gomitolo, il filo che rilega un incartamento, sottilissime lamine di metallo, il maneggio dei cavalli, il gesto del seminatore, il grano che cresce, la pasta che lievita, una panca, un tavolo coperto con un panno grezzo, capanne di frasche, le scarpe comode del viandante, i gesti di chi sorveglia o conta il bestiame, camminare in testa alla fila.

Le originarie idee dello scorrere del tempo, del dare nome a sé e agli altri, del lavorare e dell’oziare.

Le tenebre che precedonola creazione, il gesto divino della creazione, il tributo agli dei, la spartizione del bottino, il dono come fondamento di relazioni sociali.

Una certa piazza di Bruges e una certa piazza di Parigi.

Poesia delle piccole cose, temi di enorme portata nascosti dietro immagini di vita quotidiana, la parola della Bibbia, di Omero, di Cicerone, Dante, Machiavelli, Shakespeare, Keplero.

Espressioni la cui origine resta avvolta nel mistero, parole strane, parole alle quali l’uso troppo frequente ha tolto ogni sapore, parole di cui sappiamo tutto, fino al nome di chi le ha coniate, e anche l’anno, e perfino il giorno e l’ora e il minuto della loro creazione.

Si può guardare al management, al business, alla finanza, all’informatica e alle risorse umane –e più in generale: si può riflettere attorno al proprio lavoro– andando con il pensiero dietro, o di lato, o intorno.

Mi sono venuti presto a noia i manuali di management –non mi interessano prescrizioni, modelli, repertori di casi di successo– e ho trovato invece conforto e stimolo nella poesia e nel romanzo. E anche, come mostro in queste pagine, nel puro viaggio attraverso ‘i modi di dire’. Scavando dentro le parole.

Marketing, business, management, logistica, ma anche ruolo, dirigente, segretaria, professionalità, competenza: parole pronunciate solo ‘per lavoro’, usate senza più pensare,svilite dall'uso o dall'abuso, dall'eccessiva frequentazione quotidiana. Ci appaiono scontate, indiscutibili, autoesplicative.

Pressati dalla fretta, condizionati dalla ripetitività del nostro agire quotidiano, prendiamo tutto per buono, senza riflettere. Ascoltando una parola, o pronunciandola, non ne percepiamo più la forza, lo spessore. Non sentiamo più l’eco che risuona, non percepiamo più le tracce dei luoghi e delle circostanze in cui la parola, cambiando, e restando allo stesso tempo sé stessa, è stata pronunciata, nel corso di secoli o millenni.

Con questo, non perdiamo solo memoria di qualcosa che sta nel passato. Perdiamo di vista la capacità –insita in ogni parola– di illuminare il mondo con una luce nuova. Perdiamo di vista, cioè, nel presente, la possibilità di osservare con reale attenzione, con competenza, creativamente e criticamente, il nostro darci daffare quotidiano, il nostro lavoro.

Noi italiani, oltretutto, siamo anche condizionati dall’eccessiva indulgenza nei confronti di termini inglesi: noi usiamo un software, e non, come i francesi, un logiciel. Noi ci muoviamo nel Web, e non, come i francesi, nella Toile. Per noi hardware è semplicemente una espressione tecnica, collocata nel limitato mondo del lessico informatico. Ci è negato quel ricco retroscena che resta comunque presente nella mente dell’anglofono: l’immagine del manufatto di metallo: chiavi, maniglie, cardini, gabbie per uccelli.

Così –naturalmente, senza scoprire niente di nuovo– ho dedicato tempo a ripercorrere, con l’aiuto di dizionari, glossari, enciclopedie, repertori,la storia di parole che mi incuriosivano, che apparivano troppo ovvie o troppo astruse. Mi piace qui ricordare alcuni dei libri che ho avuto più per le mani, e che meglio mi hanno aiutato in questo viaggio. Il Dizionario etimologico di Cortelazzo e Zolli, un’opera non priva di difetti, ma indispensabile per indicare percorsi. Il precisissimo Avviamento all’etimologia italiana di Giacomo Devoto. L’ormai raro –prezioso, anche se lacunoso e diseguale– Dizionario etimologico italiano di Battisti e Alessio, l’OxfordDictionary of English Etymology, il Corominas. Il Dictionnaire des racines des langues européennes di Grandsaignes d’Hauterive, e l’enorme, in ogni senso Oxford English Dictionary. I Profili di parole di Bruno Migliorini. Potrei continuare elencando, ma non avrebbe senso. Perché le fonti sono infinite: quelle che, per un motivo o per l’altro, mi è capitato di usare, sono solo alcune delle fonti possibili. E anche perché, da quando una decina di anni fa ho iniziato a giocare con le parole del management, le cose sono enormemente cambiate. Allora il vincolo era la scarsità. Oggi è la sovrabbondanza. Allora certi libri si trovavano solo in biblioteche specializzate. Mentre oggi il Web, si sa,mette a disposizione fonti a non finire. Ne cito qui solo una: trovo di ottimo livello l’Online Etymology Dictionary di Douglas Harper.

Essendo sterminato il numero dei dizionari che avrei potuto consultare, ho scelto –per caso, per affetto, o per fiducia– quelli che avrei usato. Ciò che vale per le fonti, vale anche per i contenuti. Non ho neanche provato a fare un elenco delle ‘parole del manager’. La scelta è nata dalla momentanea curiosità, dal caso, non di rado anche dal desiderio, mentre mi occupavo di un tal cosa, di capire meglio cosa stavo facendo.

Resta il fatto che la selezione di parole che presento è del tutto arbitraria. Niente più che modesti coni di luce su un territorio che più si percorre più appare sconosciuto (ma anche meraviglioso).

È anche una fatica di Sisifo: più si amplia in quadro e più il quadro appare lacunoso

Più lavoro attorno a una parola, e più mi accordo che la lettura è incompleta, che sarebbero possibili, o forse necessari, altri giri di senso, altre connessioni.

Più accumulo schede –una tira l'altra, come quando si mangiano le ciliege– e più mi accorgo che forse le parole più importanti sono rimaste fuori. Finché ci si arrende ad una programmatica incompletezza, ci si affeziona al progetto che emerge, si accetta per buono il testo che si costruisce da solo. E a cose fatte ci si accorge che ha un suo senso aprire con Amministratore e chiudere con Vision.

Mi sono lasciato guidare da ciò che volevano dire le parole. Ma risulta anche evidente –a me che ora rileggo, e credo anche al lettore– che alcune voci, molto più di altre –emergenza, distribuzione, bootstrap, conflitto, etica, caos, creatività, informazione/formazione– riflettono un mio punto di vista. Anche l'etimologia può essereun pretesto per parlare di sé

Spero di essere stato sufficientemente rigoroso, ma mi auguro sopratutto di essere stato capace di raccontare storie. Storie stimolanti e curiose, perché mai non si usa lì dove sarebbe bello e giusto il verbo scandire, e perché è fuorviante tradurre trend con tendenza, come il panorama ci parla di presunzione illuministica e l’orizzonte trasmette l’dea di un sano realismo; la cruda evidenza sessuale dell'incubo e del succube; quel generale svizzero che è forse il prototipo del consulente e del teorico del management; parole che vengono a noi da radici indoeuropee, parole che viaggiano dalla Cina al Giappone, e che tornano a noi come manifestazioni esemplari del business americano, nonostante Carducci le avesse usate prima e meglio di Francis Scott Fitzgerald.

Parole oggi ingrigite dall’uso sono state, un tempo, parole nuove, incerte. Oggetti che credevamo già noti nascondono ricchezze sconosciute. Si può rivivere il momento primigenio in cui mancava l’espressione adatta a descrivere quell’evento, quell’atteggiamento. E si può seguire lo sviluppo dell’idea, osservare come via via si è definita,a ha preso nome, e si è evoluta e come ha finito per prevalere la forma che oggi ci è nota.

Perché cosa fa manager, l’imprenditore – e in genere ogni persona al lavoro: guarda dietro all'ovvio, costruisce percorsi di senso, coglie connessioni, scommette su ipotesi interpretative.

Eppure, ascoltiamoci parlare. “Quant’altro”. “Devo dire”. “Poc’anzi”. “Assolutamente sì”. Nelle parole che usiamo, nelle interiezioni, nelle frasi fatte, si nasconde spesso la nostra pigrizia, il distacco da noi stessi. Facciamo risuonare le parole nella nostra mente. Proviamo a sentirle come se fossero nuove, mai usate.

Forse, così facendo, riscopriremo il senso di quello che stiamo facendo.


1 - Questo testo è tratto dall’Introduzione di: Francesco Varanini; Le parole del manager. 108 voci per capire l’impresa, Guerini e Associati, 2006.

2 - Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, 1979-1988; Giacomo Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Le Monnier, 1968; Carlo Battisti e Giovanni Alessio, Dizionario etimologico italiano, Barbera, Firenze, 1950-1957; C.T. Onions (ed.), The Dictionary of English Etymology, Oxford University Press, 1969; Robert Grandsaignes d’Hauterive, Dictionnaire des racines des langues européennes, Larousse, 1948; Joan Corominas, Breve Diccionario Etimológico de la lengua castellana, Gredos, 1973; Oxford English Dictionary, Oxford University Press, 1933 (The Compact Edition, 1971); A Supplement to the Oxford English Dictionary, Oxford University Press, 1987 (The compact Edition); Bruno Migliorini, Profili di parole, Le Monnier, 1968; Douglas Harper, Online Etymology Dictionary, www.etymonline.com.

 

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