BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 24/07/2006

CONTRO BILL GATES BENEFATTORE

di Francesco Varanini

 

Non dimentichiamo chi è Bill

Anche l’Economist, sia pure con qualche distinguo, eleva peana e innalza lodi per il grande gesto. Bill Gates lascia la guida della Microsoft per dedicarsi alla beneficenza. Siccome l’Economist difende il liberismo, crede doveroso difendere la beneficenza liberista. La gestione degli aiuti ai popoli bisognosi (quali popoli? quale aiuto?), sarà, questa è la tesi, più affidabile se posta nelle mani di un vero manager e imprenditore.

Non sottovalutiamo errori e deficienze e derive ‘buoniste’ nella gestione degli ‘aiuti al Terzo Mondo’ da parte di Chiese missionarie, ONG e ONLUS varie. Non sottovalutiamo il peso della macchina burocratica di enti pubblici nazionali ed internazionali, che finisce per consumare la ricchezza prima che arrivi a destinazione.

Ma non per questo, prego, sopravvalutiamo il poco o nulla che può fare Bill; en on facciamolo santo subito.

Ho conosciuto missionari al lavoro nelle periferie del mondo, li ho criticati. Ma so che Bill è peggio di loro.

Non so cosa di buono possiamo aspettarci da un imprenditore che ha fondato il suo successo sull’abuso di posizione dominante e della furbizia commerciale. Bill ha accumulato inverosimili ricchezze alle spalle di competitori e consumatori. Vedo qualcosa di etico nei tentativi legali (ora dell’Unione Europea) di togliere qualcosa dal portafoglio della Microsoft.

Non vedo nulla di etico nella redistribuzione del superfluo a cui ora si dedica l’imprenditore, stanco di fare il solito di lavoro. Una forma di svago, paragonabile a quella scelta da un altro imprenditore stanco, Larry Ellison, CEO e fondatore di Oracle Corporation, ora dedito a veleggiare nell’America’s Cup.

Con ciò, Larry Ellison non fa danni. Mentre Bill rischia di farne di gravissimi.

Bill ora cambia terreno di gioco. Ma niente ci dice che abbia cambiato atteggiamento. Semplicemente, ha saltato il fosso, e visto che tanto può vivere di rendita, destina una parte comunque esigua delle sue enormi risorse finanziarie per portare a termine, nella veste di benefattore, il disegno che non aveva saputo portare a termine nella veste di imprenditore megalomane. Imporre al mondo il proprio punto di vista, le proprie scelte.

Per raccogliere indizi sul carattere di Bill Gates, basta leggere i suoi libri: Business @ the Speed of Thought, mostra appieno la sua visione totalizzante, la Weltanschauung Windows-centrica, che raggiunge il culmine nel capitolo dedicato alla guerra: ogni soldato dovrà essere dotato del suo computer, naturalmente con sistema operativo Windows. Windows è la piattaforma sulla quale si deve reggere il mondo (1)

Ed ora, ecco –nell’esagerata versione di qualche media, attento, si capisce alla potenza della Microsoft in quanto inserzionista pubblicitario– ecco che dovremmo affidare a questo personaggio l’affermazione di un modello di sviluppo sostenibile, e di una più equa distribuzione delle risorse – insomma, la speranza di un mondo più giusto,

Così ora, perché l’‘aiuto’ arrivi a destinazione, dovremo attendere che Bill e sua moglie, bontà loro, si accorgano che per combattere l’Aids è importante la prevenzione, e che la prevenzione si esplica con semplici norme igieniche e magari offrendo opportunità diverse a ragazze che in mancanza di alternative finiscono per fare le prostitute.

E dobbiamo sentir dire che –secondo Bill– per il futuro dell’Africa Internet è poco importante. Questo, naturalmente, dopo aver sentito Bill il progetto One Laptop per Child (OLPC) (http://laptop.org/), che propone il computer portatile da 100 dollari, in grado di funzionare anche a manovella in luoghi dove non ci sia energia elettrica, destinato all’alfabetizzazione e all’avvicinamento alla lettura di chi abita nelle periferie del mondo.

Alla faccia della posizione dominante e del conflitto di interessi, non sarà forse perché il computer in questione ha come sistema operativo Linux e non Windows?

 

Alzi la mano chi crede che è una vera ‘conversione’

La 'conversione' di "uomini che in qualche modo facevano parte delle classi sociali dominanti" alla causa degli "oppressi", ha i suoi ferventi sostenitori e resta uno dei fondamenti dell'ideologia 'terzomondista'. Così si esprime, per esempio, in epoca coeva alla rivoluzione cubana, al Cile di Unidad Popular e al 'boom' della letteratura ispanoamericana, il pedagogista brasiliano Paulo Freire. I prototipi di leader rivoluzionario, capaci di raggiungere "una comunione col popolo", fondata sull'"umiltà" e sulla "capacità di amare", sono, per Freire, Camilo Torres e sopratutto Che Guevara (2). Non si tratta qui tanto di criticare l'atteggiamento individuale: la soggettiva sincerità di Torres o del Che, e nemmeno quella più improbabile di Bill Gates. Si tratta invece di sottolineare la siderale distanza tra loro e "gli oppressi", da loro dovrebbero essere "coscientizzati" e “liberati dall’oppressione”.

Un dubbio irritante ci coglieva leggendo della beneficenza di questi magnati. Qualcosa non quadra nell'altruismo di Gates. Ora ci appare tutto più chiaro: Bill ci dà fastidio perché pretende di educare e di ridurre a ragione (alla sua ragione) coloro che –per cultura, stile di vita e storia– sfuggono tuttora al controllo dell’imperialismo economico, alle logiche di uno sviluppo non sostenibile, ai dettami del management. L’unico luogo di acquisti deve essere Wal-Mart, l’unico sistema operativo deve essere Windows.

La pretesa ci pare ingiusta, eticamente inaccettabile, oltreché vana.

Gates inciampa proprio su questo crinale: lui, come troppi missionari e volontari, non accettano la diversità; il mondo non alfabetizzato è visto fantasmaticamente come la forza bruta di fronte alla quale si teme di soccombere. Quindi deve essere ‘rimosso’ attraverso l’educazione.

Ma con la prepotenza della forza della natura, le culture cosiddette marginali vanificano questi progetti di dominio. La ricchezza interiore, la consapevolezza di sé di chi vive nel caldo mondo di una propria cultura porta a resistere ai tentativi di subordinazione.

Con grande meraviglia di missionari, volontari, Gates e accoliti. Ma come, noi veniamo qui ‘a farvi del bene’ e voi non ci riverite, e non vi adeguate?

 

Sepolcri imbiancati

Il fatto è che c'è sempre dell'ipocrisia in queste conversioni. L'intellettuale, così come l’imprenditore ‘convertito’, scegliendo di stare dalla parte di chi oggi non ha il , difendono la loro appartenenza alla élite. Riaffermano il loro ruolodi leader ed il loro dominio su un altro, più avanzato terreno. Pretendono di trasformarsi da 'vecchio' oppressore in 'nuovo' liberatore. Così, arrogandosi il diritto di parlare in nome degli ultimi, di fatto tolgono loro la parola, facendosi portatori di una nuova, più sottile oppressione.

Sulla tendenza a leggere le sottoculture (i modi di pensare e di vivere diversi dal nostro) come deficit anziché‚ come ricche differenze (3). Sono da guardare con sospetto "tutte le idee che comportano il tentativo di 'far prendere coscienza agli altri' di qualcosa, pretendendo di sapere meglio di loro stessi cosa sia meglio per loro", nota Peter Berger (4).

Il 'vivere per gli altri', inteso come atteggiamento caratterizzato da una pretesa superiorità morale, accomuna figure sociali in apparenza lontanissime –antropologi, missionari, volontari dediti a progetti di sviluppo, leader rivoluzionari. Che ora si aggiungano Gates e Buffet non deve meravigliarci.

L'atteggiamento è ben sintetizzato in queste parole di Géza Róheim: "sono persone animate da ottimi propositi e che, a livello conscio, sono a pro' della fratellanza universale. (...) Io però sono uno psicanalista, né mi sfugge che ogni atteggiamento umano è frutto di un compromesso tra due tendenze opposte, e conosco il significato di una formazione reattiva; la quale equivale a un 'tu sei completamente diverso, ma io ti perdono'" (5).

Particolarmente lucida anche la critica di Ivan Illich : individui che "fanno del bene" nelle periferie del mondo "alleviando il torto fatto con il denaro e con le armi" (6).

 

È sicuro che vinceranno Wal-Mart eWindows?

Non credo. Nessun Bill Gates riuscirà a cambiare fino in fondo gli atteggiamenti di chi vive in una cultura diversa . C'è una sapienza popolare che porta le masse più incolte (incolte secondo i nostri parametri) a usare in modo ‘alternativo’ –per noi imprevedibile e magari anche insensato– i leader e le ideologie e gli aiuti.

L'arte di arrangiarsi si manifesta anche sotto questa forma: nell'usare all'incontrario, nel rendere funzionali a un discorso radicalmente 'altro' le nostre azioni razionali e 'moderne'.

Gli emarginati sono assolutamente disinteressati ai contenuti ideologici sbandierati dai partiti. Fingono un interesse solo per rispondere alle aspettative dei partiti, e scambiano questa formale adesione, e il loro voto, con vantaggi meramente materiali (aiuti economici, facilitazioni burocratiche, ecc.). Ciò spiega la facilità con cui gli emarginati sociali migrano da un partito a un altro di ideologia opposta.

Allo stesso modo permane la capacità di usare gli strumenti tecnologici ben oltre i limiti di obsolescenza e di ‘riparabilità’ fissati da progettisti e da uffici marketing: ho visto con i miei occhi farfalle del carburatore di un motore fuoribordo rifatte con metallo di scarto, e hard disk con solchi danneggiati fatti funzionare facendo ponte tra un solco e l’altro con fil di ferro. (Su questi temi i riferimenti restano Ivan Illich (penso alle sue pagine sui tools ‘conviviali’, e Fritz Schumacher che parlava di ‘tecnologie appropriate’) (7).

Hernando De Soto (8) fornisce questa interpretazione nel quadro di una ricerca sull’economia informale (altrimenti detta mercato nero, o sommerso) in Perù, in particolare nell'area urbana di Lima. In contrasto con interpretazioni consuete, di destra e di sinistra, dimostra che i ceti marginali non sono privi di spirito imprenditoriale, ma che la loro imprenditorialità è costretta dal contesto economico-normativo in un ambito extra legale. L'illegalità dei comportamenti, quindi, non è un rifiuto della legalità, ma la conseguenza dell'impossibilità di rispettare leggi che impongono comportamenti inaccessibili per i ceti marginali (che non dispongono di documenti di identità, che non possono attendere i lunghissimi tempi burocratici necessari per intraprendere legalmente una attività, ecc.). Ciò che manca sono dunque leggi 'buone', regole che sia possibile rispettare.

Non dimentichiamoci che i parametri in base ai quali misuriamo ‘sviluppo’ e ‘arretratezza’ sono parametri che corrispondono al criterio e agli obiettivi di Bill Gates, del mercato finanziario e dei governi dei paesi ‘sviluppati’. Ma non corrispondono certo alla visione del mondo di coloro che vivono nelle baraccopoli e nelle campagne del cosiddetto ‘Terzo Mondo’. Sono parametriadatti a rendere conto dell’economia ‘legale’. Resta fuori, lo sappiamo bene anche qui in Italia, l’economia informale o 'economia non documentata', quell'"insieme di attività che disturbano, deformano o invalidano le statistiche ufficiali" (9).


1- Bill Gates, Business @ the Speed of Thought, 1999; trad. it Business @lla velocità del pensiero, Mondadori, 1999. Vedi su Bloom: http://www.bloom.it/vara10.htm; http://www.bloom.it/vara115.htm

2 - Paulo Freire, Pedagogia do oprimido, manoscritto in portoghese 1968, prima edizione brasiliana, Paz e Terra, Rio de Janeiro, 1970. Prima trad. it trad. it La pedagogia degli oppressi, Milano, Mondadori, 1972. Vedi http://www.paulofreire.org/. Vedi su Bloom: http://www.bloom.it/sch_colorni5.htm

3 - Paolo Fabbri "Le comunicazioni di massa in Italia: sguardo semiotico e malocchio della sociologia", VS, 5, 1973.

4 - J.D Hunter e S.C Ainley (a cura di), Making Sense of Modern Times: Peter Berger and the Vison of Interpretative Sociology, New York, Routledge. 1986, p. 233. Vedi Peter Berger, The Homeless Mind, New York, Random House,1973 ; e Brigitte Berger, Hansfried Kellner, The Heretical Imperative, New York, Doubleday,1979; trad. it. L'imperativo eretico, Torino, Elle Di Ci, 1987.

5 - GézaRóheim, Psychoanalysis and Anthropology. Curture, Personality and the Unconscious, New York, International University Press, 1950; trad .it. Psicanalisi e Antropologia. I rapporti fra cultura, personalità e inconscio, Milano, Rizzoli, 1974, p. 414 della trad. it.

6 - Ivan Illich, Volunteer?, Chicago1970.

7 - Ivan Illich, Tools For Conviviality, New York, Harper & Row, 1973; trad. it. La convivialità, Milano, Mondadori, 1973. Ernst F. Schumacher, Small Is Beautiful, London, Blond & Briggs, 1973; trad. it. Piccolo è bello, Milano, Mondadori, 1973. (In seguito entrambi i libri sono stati riediti da Red Edizioni).

8 - Hernando De Soto (in collaborazione con Enrique Ghersi, Mario Ghibellini e l'Instituto Libertad y Democracia, ILD), El otro sendero. La Revolución Informal, Prefazione di Mario Vargas Llosa, Lima, ILD1986; poi Bogotá, Oveja Negra, 1987. Mario Vargas Llosa, "L'altro sentiero del Sudamerica", "Perù: la silenziosa marcia dei poveri", Corriere della Sera, 23 e 25 gennaio (trad. it. della Prefazione a De Soto 1986).

9 - Ivan Illich, Shadow Work, London e New York, Marion Boyars, 1981; trad. it. (condotta sull'ed. tedesca, Wom Recht auf Gemeinheit, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt, 1982) Lavoro-ombra, Milano, Mondadori, 1985. Ivan Illich, Gender, London, Marion Boyars, 1982; trad it. Il genere e il sesso. Per una critica storica dell'uguaglianza, Milano, Mondadori, 1984.

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