BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/10/2006

LA CONSULENZA COME GNOSI

di Francesco Varanini

Avvicinamento

Cosa fa un consulente quando si avvicina per la prima volta a una organizzazione, a una impresa. Deve forse applicare un modello che gli è noto, che lo rassicura, un modello che ha già venduto ed applicato altrove?

Al contrario, secondo me, deve accettare la novità del mondo che ora ha sotto gli occhi. E deve lasciare che da questa stessa novità, da questa diversità, emerga un metodo di lettura.

Non mi nascondo la forte analogia di questo approccio con l’approccio che considero adeguato quando mi occupo di critica letteraria – un romanzo, una poesia, sono un mondo da scoprire, così come lo è una organizzazione.

Credo sia importante raccontare il proprio punto di vista. E’ questo l’unico vero contributo che posso dare. Non colorare il discorso, per quanto possibile, con pre-giudizi, schemi interpretativi già formulati e consolidati. Pensare che sia possibile osservare con lo sguardo di chi viene da un altro mondo.

Questo è lo sguardo etnografico.

Conta non l’oggetto osservato in sé, conta la nostra interazione con quell’oggettto, che è appunto un mondo, un sistema vivente. Sono importanti le sensazioni, i ‘segnali deboli’. Arrivo lì in treno,prendo un tassì. Al tassista do l’indirizzo. Cosa sa il tassista di quella impresa. Doveè ubicata la sede, in quale zona della città. Quale è la sua architettura. L’organizzazione si rispecchia negli artefatti.

Salgo in ascensore. Penso che ci sarà molto da scavare, e che non si finisce mai di imparare – ogni organizzazione è complessa, articolata, poco chiara.Ma bastano già questi brevi momenti, le parole che si colgono al volo e le sigle che si leggono ad ogni piano, per cogliere la peculiarità dell’ambiente. Per entrare nel mondo, con l’occhio dell’etnografo che visita un modo straniero, del quale non conosce la storia, la lingua, la cultura.

 

La lettura risentita

La lettura critica di un libro e la lettura critica di una organizzazione presentano evidenti paralleli. In entrambi i casi si tratta di ‘testi’, cioè di tessuti, insiemi complessi (complesso sta in orignine per ‘intrecciato’). Ma c’è modo e modo di leggere.

Di ciò che scrive Harold Bloom, grande critico letterario, non condivido molte cose. Ma mi pare del tutto condivisibile il suo atteggiamento quando ci mette in guardia contro i ‘critici risentiti’. (1)

Lettori professionisti sulla difensiva, che non sanno accettare la novità e la stranezza, l’originalità in quello che leggono, non riescono ad accettare la possibilità che quel testo contenga qualche verità nascosta, e si accaniscono a leggere in base a schemi precostituiti, riduttivi, ideologici.

Critici che si distinguono per “intolerance”, “self-congratulation”, “smugness”, “sanctimoniousnes”. Spocchiosi laudatori di sé stessi, che ammantano banalità dietro paroloni, che vendono fumo e badano in realtà solo a costruire il proprio mercato e il proprio misero potere. Attenti ad occupare spazi quanto a toglierli agli altri, la loro produzione è niente più che “astonishing garbage”.

Bloom parla di una vera e propria cultura, ‘Culture of Resentment’, appunto. Una cultura coltivata con lo scopo di farsi belli, di sottolineare la propria differenza, con l’obiettivo di costruire una scuola. “Are transparently at work propagating themselves”.

La consulenza preda del risentimento

Penso risulti evidente a chi mi legge come questa atteggiamento sia presente, ancora più che nei critici letterari e nei teorici e nei filosofi deprecati da Bloom, in consulenti e teorici del management e formatori. Anche loro ci appaiono poco interessati a guardare l’altro, e attenti invece a organizzarsi e presentarsi come “school of resentment”, pronti ad autoincensarsi, a chiudersi in piccole chiese, a imporre il proprio metodo. Per loro, in fondo, ciò che di originale ha una organizzazione, una impresa –e ogni impresa, ogni organizzazione, ha qualche aspetto di originalità– è fonte di dispetto. È una devianza che andrà sottaciuta, e in ogni caso subordinata e ricondotta ad un modello scolastico, che poi, guardacaso, è proprio il modello che quella società di consulenza vende.

Per questo, per questo acido risentimento nei confronti del mondo –che è in fondo una forma dihybris, di arroganza–molto di ciò che siamo in grado di ‘vedere’ non vogliamo vederlo, deve essere negato, non portato alla luce, ma sminuito. È così che –qualunque libro recensiscano–i critici del risentimento dicono le stesse cose, confrontando qul libro con il loro ideale di libro perfetto. Ed è così, allo stesso modo, che i ‘consulenti risentiti’– inaspriti, arroganti, difesi, prescrittivi– qualsiasi organizzazione abbiano di fronte, tornano a proporre lo stesso metodo e la stessa soluzione. (2)

Da dove viene il risentimento

Il risentimento nasce dalla carenza di autostima. Questo vale per il consulente, ma anche per ogni persona che lavora. Non riusciamo a vedere la ricchezza, la bellezza, il potenziale che c’è nell’organizzazione in cui lavoriamo. Non vogliamo vedere la ricchezza, i valori, di cui sono portatori le persone che lavorano nelle organizzazioni che siamo chiamati a studiare, e magari a cambiare. Eppure c’è qualcosa di bello e ricco in ogni organizzazione.

Non riusciamo a vederlo perché siamo risentiti, perché ci consideriamo in credito con il destino. L’organizzazione ha le sue colpe e i suoi difetti, certo, ma non possiamo incolpare l’organizzazione per ciò che noi non siamo riusciti a fare per noi stessi.

Non riusciamo a guardare perché abbiamo timore che vengano alla luce nostra incapacità, nostre carenze. Non ci fidiamo di noi stessi, quindi ci nascondiamo dietro il metodo, la scuola, l’appartenenza a un qualche giro.

La gnosi

Harold Bloom sostiene che l’opposto della lettura risentita, difensiva, è la lettura ‘gnostica’, la disponibilità aentrare in contatto con un segreto, con un mondo di conoscenze del tutto estranee e nuove.

La gnosi si fonda su un percorso di crescita personale teso a valorizzare lapersonale diversità e a costruire autostima: sono capace di discernere: separare il grano dalla zizzania. In questo non mi vergogno di avvicinarmi al massimo modello, Dio. Entro in contatto con il divino a partire da un intimo, fisico, completo, personale avvicinamento.

Ciòc he nel misero linguaggio dello sviluppo delle risorse umane e del management si chiama ‘empowerment’ è in fondo ‘gnosi’.

Gnosis, in greco ‘conoscenza segreta’: cercare di penetrare un segreto, ciò che non è palese, ciò che è interno. La segreta natura del mondo –del mondo chiuso in un libro, o il mondo organizzazione aziendale– mi appare visibile perché ho appreso a vedere l’invisibile, ciò che è tacito e latente.

Siamo un passo oltre lo ‘sguardo etnografico’.

Lo sguardo etnografico è l’ultima frontiera dello sguardo scientifico ‘obiettivo’. Presuppone l’aver posto la massima attenzione nello spogliarsi dei propri panni, e nel rendersi, nella misura del possibile, invisibile.

Lo sguardo etnografico, inoltre, rischia di condurci nel vicolo cieco del relativismo. Se ogni punto di vista è valido, il mio come quello degli abitatori del mondo, ho tolto dal mio approccio all’altro ogni incrostazione di dominio, ma ho alla fin fine vanificato il mio stesso contributo alla lettura di quel mondo. Per mettermi alla pari dell’altro, per non prevaricare, ho rinunciato alla mia scienza, e cioè alla mia ricchezza, alle reali potenzialità del mio sguardo indagatore.

Non si conosce veramente un mondo se ci si limita a fare da tappezzeria.Non si costruisce conoscenza se si considera per principio ogni metodo buono come ogni altro, e ogni sguardo capace come ogni altro.

La gnosi è un passo oltre. Metto in gioco nella situazione tutto me stesso. Potremmo dire, il mio corpo e la mia anima. Non nascondo la mia soggettività, anzi porto al centro della scena il mio libero arbitrio. Il mio giudizio è criticabile. Ma prendendo opinione evito le secche del relativismo.

Quando leggiamo con libertà, prescindendo da ciò che ci dicono i critici e i professori, non proviamo forse emozioni di fronte a certe pagine, e solo a quelle?

Harold Bloom sconfessa Harold Bloom

Ma resta, questo lavoro su di sé, il passare dal risentimento alla neutralità, e dalla neutralità alla gnosi, difficile e faticoso. E dobbiamo guardarci dall’illusione di essere riusciti a fare molti passi avanti. Lo dimostra paradossalmente la traiettoria dello stesso Harold Bloom, palesata nel Western Canon.

Bloom critica giustamente il fanatismo e il fondamentalismo critico: dobbiamo ribellarci a chi ci dice che quel libro va bene perché è minimalista, o femminista, o terzomondista. Lui però reagisce con risentimento, è il primo ad essere risentito.

Così finisce per fare qualcosa di peggio della giustamente criticata critica femminista, omosessuale o decostruzionista. E si avvicina in qualche modo all’atteggiamento della Santa Congregazione dell’Inquisizione Romana, che alla fien del 1500 istituisce l’Index librorum prohibitorum. Lì si diceva quali libri non leggere. Bloom, nonostante la buona causa, finisce per fare di peggio. Dice quali sono gli unici libri che si dovrebbero leggere. Gli unici degni di appartenere al Canone Occidentale.

Questo atteggiamento non ha niente a che fare con lo gnosticismo, se per tale si intende la profonda ricerca personale. Oppure, potremmo dire, questo atteggiamento porta nel vicolo cieco nel quale non a caso sono finiti i movimenti gnostici che la storia ricorda. L’atteggiamento gnostico inteso come ricerca personale, come allontanamento dalla lettura ufficiale imposta da una Chiesa, si trasforma in settarismo. Si sostituisce una chiesa un’altra chiesa, più dogmatica, più chiusa, più fanatica.

Il fatto è che Bloom è amareggiato, risentito. Combatte il risentimento con il risentimento. E perciò ci appare alla fin fine poco credibile.

Provate a leggere il Canone Occidentale: fin quando parla di Shakespeare, non abbiamo nulla da obiettare. Non è difficile condividere l’opinione che vuole Shakespeare uno dei vertici della letteratura universale. Dico uno dei vertici, e non il vertice assoluto, come sostiene Bloom. Una semplice argomentazione relativistica mi soccorre: se per caso Bloom fosse italiano, e non anglosassone, magari vedrebbe il vertice non in Shakespare ma in Dante. (Bloom considera sì Dante un grande, ma lo colloca un pelo al di sotto di Shakespeare).

Ma l’asino casca quando l’elencazione dei geni si allontana dal centro della curva a campana –facile collocare lì Shakespeare e Dante– e si avvicina alle code. Perché è genio esemplare di un epoca Wordsworth e non Leopardi? Non ditemi che scrivo questo perché sono italiano. Dove l’asino di Bloom casca veramente è quando parla di letteratura ispanoamericana. È evidente che non ne sa quasi nulla. Eppure non riesce a frenarsi, e si sente in dovere di dire quali sono i canonici e i canonizzabili.

Proprio come quei consulenti che non sanno trattenersi, e meno sanno di un argomento –per non lasciare trasparire che non sanno– più si ammantano della loro autorità di tuttologi e sparano sentenze, e pontificano.


1- Harold Bloom, The Western Canon. The Books of the Ages, 1994; trad. it. Il canone occidentale. I Libri e le Scuole delle Età, Bompiani, 1996.

2 -Un ancora approssimativo parallelo tra la ‘critica letteraria risentita’ e la ‘consulenza risentita’, sta in Francesco Varanini, “La CNA e il suo filo rosso”, sta in Giorgio Allari, Nuovi modi di rappresentare. La CNA Emilia Romagna alla ricerca di una nuova identità, Guerini e Associati, 2006.

 

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