BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 20/11/2006

COSA CI STANNO A FARE GLI EDITORI?

di Francesco Varanini 

Premessa

Mi capita abbastanza spesso di essere chiamato a contribuire a libri collettivi.Quei libri ‘a cura di’, dove gli autori dei capitoli non appaiono in copertina. Libri dei quali resta nella memoria del lettore solo il nome del curatore. O forse no. Si deve avere fiducia in quello che si scrive. Scrivere –scrivere un libro intero, scrivere in libro, o scrivere un testo come questo, messo ‘in Rete’–, credo, è gettare il pane alle onde. Qualcuno raccoglierà, ne trarrà frutto. La ‘letteratura’ è un tessuto di scritture che si rimandano l’un l’altra. L’autore, sempre, compie un lavoro di interpretazione e di rielaborazione di testi (‘tessuti’) preesistenti, orali o già scritti.

Inoltre, si scrive per chiarirsi lei idee: scrivendo imparo, scrivendo scopro cose nuove. E lo scrivere, anche, è un lavoro su di me: scrivendo sedo le mie ansie, approfondisco la conoscenza di me stesso.

Non trascuro neanche il fatto che pubblicando libri si contribuisce ad incrementare la proprianotorietà: si può trovare in questo soddisfazione, e si creano per questa via le basi perché il mercato, in una forma o in altra, paghi di più chi ‘ha scritto un libro’, e forse anche chi ha contribuito ad un libro altrui.

Tutto questo per dire che scrivere e pubblicare vale la pena comunque. E che continuerò a farlo, anche laddove ‘scrivo gratis’.

Aggiungo ancora che si scrive anche per amicizia. Se un amico mi chiede un testo per un libro da lui curato, appena posso dico di sì. Per questo si trovano capitoli firmati da me in libri di editori con i quali non ho nessun rapporto.

 

Una modesta collaborazione, uno strano ‘compenso’

Ho contribuito con piacere al libro di due amici (1). Nei tempi richiesti non ho avuto la possibilità di andare oltre poche pagine. Gli amici hanno considerato ugualmente utile il mio testo. Le poche pagine (che avrebbe dovuto essere l’introduzione di un testo più articolato) apapiono correttamente a mio nome nel Sommario. In nota si legge che il testo è già apparso su Bloom. (C’è un gran disordine qui sulla mia scrivania,www.bloom.it/vara116.htm).Tutto a posto.

Poi in luglio ricevo una mail da una gentile persona che scrive a nome dell’editore.

Vi leggo tra l’altro:

Per ringraziarLa della case history inviata, contribuendo così all’arricchimento del volume, la FrancoAngeli Le offre l’opportunità di acquistare il testo con uno sconto promozionale del 30% per ordini minimi di 30 copie. La richiesta dovrà pervenire entrofine agosto 2006 all’indirizzo indicato.

Il 7 novembre, di nuovo la stessa mail: con il testo lievemente mutato, mi presenta la questione sotto forma di promozione natalizia. Ma l’offertaè la stessa:

Per ringraziarLa della case history inviata, contribuendo così all’arricchimento del volume, la FrancoAngeli Le offre l’opportunità di acquistare il testo con uno sconto promozionale del 30% per ordini minimi di 30 copie. La richiesta dovrà pervenire entroil 30 novembre 2006 all’indirizzo indicato, in modo da poter garantire per tempo la consegna dei volumi.

Ho dato un testo gratis. Padronissimo l’editore di il mio contributo una ‘case history’: non so cosa intenda, chiunque può farsi una opinione leggendo il testo su Bloom. Comunque, di questo testo, secondo quella legge sul diritto d’autore che gli editori amano sbandierare, detengo i diritti. Ho concesso volentieri l’utilizzo del testo a due amici. Non ho chiesto una lira, né ho intenzione di chiederla. Ho scritto gratis, ho detto. E inoltre gli autori mi hanno regalato una copia del libro. Più di questo non chiedo.

Ma non mi si venga a dire ora che mi si fa un favore facendomi uno sconto sull’acquisto di volumi, beninteso solo nel caso di “ordini minimi di 30 copie”.

E perché mai dovrei comprare queste copie?

Un breve commento, ovvero: dove sta il valore aggiunto dalla casa editrice

Questo è un piccolo caso. In questo senso, sì, si può parlare di case history. Un caso piccolo, ma esemplare.

Piantiamola con questa ipocrisia. Si continua ad adorare i feticcio del diritto d’autore. Come se non si sapesse che la stragrande maggioranza degli autori pubblicano, sotto una o un’altra forma, a pagamento. Cioè, caro editore, lei lo sa, pagano per pubblicare. E poi, come questa mail dimostra, ci sono imprese che forse si sentono gratificate per essere state oggetto di case history, e comprano qualche copia.

So che tutto questo è indispensabile per far quadrare i conti. Se così non fosse, il conto economico del singolo titolo non avrebbe nessuna possibilità di coprire i costi. Però, non facciamo finta che la realtà sia diversa da quella che è.

Tutte le case editrici di libri, chi più chi meno, sono in difficoltà. Ma lo sono perché stiamo attraversando un cambiamento epocale. Non si può pensare che sia la stessa cosa fare libri oggi così come era fare i libri cent’anni o anche cinquanta anni fa. Fino a non molti anni fa, il libro –e quel suo derivato che è la rivista– erano gli unici strumenti per divulgare conoscenza. E le tecnologie editoriali erano costose, e detenute da pochi soggetti. Oggi chiunque può fotocopiare, ed è difficile fare sentire in colpa qualcuno perché fotocopia. Oggi stampare un libro comporta un costo alla portata di chiunque. Oggi esiste il Web, tramite il quale ognuno può facilmente diffondere contenuti.

Sarebbe il momento di pensare in modo nuovo. Di pensare al futuro della casa editrice. La casa editrice veicola e diffonde contenuti. Chi ha detto che la casa editrice deve per forza restare legata a produrre sempre e solo oggetti chiamati ‘libri’?

Invece, sembra, più il futuro incombe, più ci si arrocca a difendere un modello, un passato.

Perché dedicare tante energie a difendere un ‘diritto d’autore’ che nella sua attuale formulazione è del tutto superato. Perché non ragionare invece in una esplicita ‘joint venture’ tra autore ed editore.

L’autore mette a disposizione il testo, il prodotto del suo pensiero. E se mette anche in gioco la sua rete di relazioni. Si sa che il libro ‘si muove’ solo se si muove l’autore, se stimola amici conoscenti collaboratori clienti a comprare il libro, se si cerca recensioni, se si organizza presentazioni.

L’editore in cambio cosa mette? Mette il valore del suo brand. Ormai ogni autore sta che potrebbe farsi stampare da solo i suo libri, se va da Franco Angeli è perché pensa che ‘Franco Angeli’ scritto in copertina aggiunga autorevolezza al testo.

L’autore, inoltre, potrebbe aspettarsi dall’editore una cura redazionaledel testo. L’esperienza e le competenze sviluppate nel tempo dovrebbero porre l’editore nelle condizioni di migliorare il testo che pure magari l’autore considera definitivo. Ma in casa editrice il testo viene effettivamente letto?

L’autore, poi, potrebbe aspettarsi che il suo libro stia in buona compagnia. Cioè che l’editore non pubblichi, nella stessa collana in cui appare il mio testo, qualsiasi cosa. L’autore potrebbe aspettarsi che l’editore scelga e selezioni. Così mio libro sarà pubblicato solo se l’editore gli riconoscerà dignità di pubblicazione. Ma se sarà pubblicato, sarà valorizzato dalla buona compagnia, dal valore dei libri che gli stanno accanto, nella stessa collana. Ma l’editore cura veramente questa selezione?

L’editore poi, talvolta ma non sempre, mette in campo la sua capacità distributiva, il suo ufficio stampa, e la macchina organizzativa per presentazioni. Talvolta ma non sempre. Può l’editore effettivamente garantire la presenza del mio libro in un numero congruo di copie, in un numero congruo di librerie? Garantisce l’editore qualche recensione? Organizza qualche presentazione?

All’autore, naturalmente, non interessa quanti titoli dell’editore sono presenti in libreria, quante recensioni sono state ottenute, quante presentazione fatte. Interessa il suo libro.

Allora, appunto, si dovrebbe fare un accordo trasparente. Cosa metto io, cosa metti tu. Quanto vale quello che metto io, autore. Quanto vale ogni attività svolta dall’editore: cura redazionale, sostegno promozionale, organizzazione di presentazioni. L’autore, credo, vorrebbe sapere cosa paga, e perché. E di conseguenza scegliere quali servizi comprare.

Purtroppo il piccolo caso che cito sembra mostrare che non sempre le cose sono così chiare. 


1 - Ferdinado Azzariti e Maurizio Bortali(a cura di), Le imprese che imparano. Teorie, modelli e case study di Knowledge management, Franco Angeli, 2006.

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