BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 02/08/1999

Honoré de Balzac, ovvero: Come narrare le organizzazioni

di Francesco Varanini

Premessa

Quasi tutto è già stato pensato e detto.

Cerchiamo modelli nella fisica, nella teoria generale dei sistemi, nella cibernetica, nella sociologia, nella epistemologia.

Ma trascuriamo la letteratura: possiamo trovarvi non solo scenari e sfondi, ma anche sistemi interpretativi, studi di casi e modelli belli e fatti, pronti per l'uso.

Maestro in quest’arte (a detta di molti, tra cui Karl Marx) è certamente Balzac.

(Sullo stesso tema si vedano altri contributi di Francesco Varanini: Offerte di lavoro (reperite viaggiando tra romanzi e racconti degli ultimi centocinquant'anni), e Il knowledge questo sconosciuto, paragrafo Secondo avvicinamento: la narrazione. Si veda anche Scrittura teatrale e aziende, di Enrico Pieruccini. Esempio di ‘scrittura narrativa’, lontana dalla norma del linguaggio sociologico e ‘scientifico’ è Analisi del modello organizzativo della Pubblica Amministrazioni Italiana di Ofelio Liberati).

Honoré de Balzac.

Per i raffinati era un pauvre scribouiller, un povero scribacchino megalomane e superficiale, bersaglio ideale di lazzi e di caricature. Uno speculatore, un ladro di idee, un ridicolo vanitoso, uno che blandiva le donne lusingandone le debolezze. Una vita che si dipana tra carrozze a cavalli, domestici in livrea, palchi all'Opera, appartamenti sontuosamente ammobiliati. Una vita segnata da tempestosi rapporti con creditori sempre meno disponibili.

Era basso, corpulento, collo taurino e faccia paffuta, abbigliamento liso e sciatto oppure sfarzoso a seconda della sempre oscillante situazione economica.

Scriveva di notte, avvolto in una tunica bianca di cachemire, la caffettiera di porcellana sempre a portata di mano. Creava a getto continuo, ogni volta rifacendo completamente in bozze i romanzi già composti. Procedimento stravagante e costosissimo che non gli impedì di scrivere in vent'anni ottantacinque romanzi, e di rimaneggiarli a più riprese per trasformarli in elementi di quel complesso sistema di romanzi apparentati, diviso in tre gruppi e cinque categorie minori che sarà la Commedia umana.

Nel 1841 -Balzac ha 42 anni- il piano dell'opera è pronto. Quattro editori si associano per sostenere l'impresa. Ma l'ambizioso tentativo di ritrarre ogni aspetto della vita umana della Francia del primo ottocento resterà ovviamente incompiuto.

Nel 1825 -a 26 anni- aveva tentato fortuna nell'editoria, cercando di avviare prima una tipografia e poi una fonderia di caratteri. Imprese disastrose, come tutte quelle nelle quali non cesserà di imbarcarsi. In Sardegna tenterà di rimettere in funzione antiche miniere d'argento. Fonderà riviste, ma la Revue parisienne, redatta da lui solo, naufragherà dopo tre numeri in un mare di debiti. Tenterà la sorte in politica, cercherà di salvare la testa a condannati a morte.

Ma non si arrende mai. Come i suoi personaggi cade nella polvere, ma risorge sempre dalle sue stesse ceneri. Lo sostiene l'intima convinzione del suo genio.

A ragione si sentiva rifiutato dalla madre. Si legherà a donne più anziane. Laure de Berny, la Dilecta, sarà anche suo costante sostegno economico. Alla fine del 1832 riceve una lettera anonima da una remota località russa. Entra così nella sua vita la contessa polacca Evéline Hanska: quello che è inizialmente il rapporto epistolare con una intelligente ammiratrice si trasformerà nella principale ragione di vita. Mentre la salute va rapidamente declinando, per incontrarla viaggia a Pietroburgo, Kiev, Dresda, in Olanda, in Belgio, e Italia. Riuscirà a sposarla solo nel 1850, due mesi prima di morire.

Ricerca e letteratura

La società è una palestra di interessi economici: tutti vi siamo implicati, si vale solo se si riesce ad imporsi. "Il successo è divenuto il principio supremo di un'epoca atea", il sigillo dei tempi nuovi, sia in industria che in economia arte e spirito. Si assiste al "dilagare della finanza". Non è più possibile distinguere un commerciante da un pari di Francia; il nuovo titolo di nobiltà nella della società moderna è l'essere "il più tassato di tutto il circondario". Politica amore e arte sono diretti dal denaro. La produzione in serie distrugge il valore artistico e artigianale del lavoro: "nous avons des produits, nous n'avons plus d'oeuvres". Non conta più "l'energia isolata, ricca di creazioni originali", conta invece "l'energia uniforme, ma livellatrice, che parifica i prodotti, li produce in massa, obbedendo a una idea unitaria".

Balzac abbraccia il suo tempo -non tanto diverso dal nostro- con tutta la passionalità tipica del suo carattere. Se Baudelaire parlava di modernité, lui parla di contemporaneité: per lui è impensabile non essere del tutto coinvolto. Osserva e partecipa sporcandosi le mani, senza abbellire, senza difendersi.

Se ci parla dell'industria editoriale, come fa nelle Illusioni perdute, non parte dalla stampa, come farebbe ogni normale ricercatore, ma dalla fabbricazione della carta. Ci offre magistrali pagine sull'organizzazione del lavoro della tipografia, che è in provincia, mentre a Parigi pulsa la vita frenetica e corrotta delle redazioni. Redazioni di libri dove, come anche oggi, le difficoltà nascono dalle basse tirature e dai costi di magazzino, e dove, come anche oggi, gli autori affermati, con minacce di passaggio al concorrente, impongono le politiche di budget agli editori; e redazioni di periodici, dove l'informazione è manipolata, dove la cronaca è costruita in base a informazioni interessate, a pressioni di lobby.

Sulla soglia delle redazioni si fermano ancora oggi le analisi organizzative, con la risibile giustificazione del rispetto della libertà d'informazione e del lavoro creativo dei giornalisti. Alti discorsi che coprono nient'altro che l'interesse corporativo di una categoria arroccata alla difesa di privilegi. Ma non è una novità: già centocinquant'anni fa le cose stavano così, ce lo dice Balzac, che era stato stampatore, editore, autore, giornalista.

I suoi romanzi sono veri studi di casi: cicli produttivi, tecnologie, mercati, risorse umane, tutto abbracciato in uno sguardo d'insieme. Sguardo matriciale, pluridimensionale, che incrocia il fattore umano con l'approccio sistemico, le politiche di controllo di gestione e di bilancio con la descrizione degli scenari.

Creatività e sviluppo

Balzac precursore, fallito, genio, incompreso. Nervi, intelligenza, vitalità, eccitamento febbrile, ebbrezza spirituale di un uomo che ha vissuto visceralmente l'imprenditorialità, davvero per lui perenne bufera di distruzione creativa.

Il medico condotto Benassis porta il benessere in un distretto depresso favorendone l'industrializzazione. Il pittore Pierre Grassou fabbrica cattivi quadri in serie, adeguandosi al gusto del pubblico, sacrificando la propria coscienza artistica al successo. Sempre personaggi che cercano una ascesa sociale, la cui crescita soggettiva non è che la tappa di un generale processo di accumulazione, di "un movimento ascensionale dei patrimoni". La vita quotidiana si identifica con la lotta per l'arricchimento. Non governa più la spada, ma il pacchetto di azioni. Anche l'amore si conforma alle nuove regole, è ormai solo intrigo ed interesse. Una catena di scambi corre senza sosta lungo tutti i romanzi, così come all'interno del sistema sociale.

Ogni deposito di capitale improduttivo è un "delitto sociale". Sopratutto ogni deposito della principale ricchezza, che è quella della idee: l'intelligenza creativa, che è come l'energia di una cascata o di una macchina a vapore, è "il progresso", l'"avvio verso un migliore ordine di cose".

Gaudissard (il prototipo del commesso viaggiatore, capace di vendere tutto, sapone, medicine, abbonamenti a periodici e azioni di una nuova compagnia commerciale) è incaricato da una banca di vendere cartelle di Credito intellettuale: perché di troppo tempo, troppa intelligenza, troppa energia creativa la lotta economica priva "gli uomini dell'avvenire". Perciò si dovrà "capitalizzare l'avvenire di questi uomini", "scontare loro i loro talenti". "Non si tratta più di economizzare il tempo, ma di dargli un prezzo, di tradurlo in cifre, di rappresentare in valore monetario la produzione spirituale."

La produttività e la fecondità rappresentano per Balzac l'unità di misura suprema. Misura generale, anche, perché tutte le forme di creatività sono apparentate: quella del fondatore di stati, del pensatore, dell'inventore, dell'uomo d'affari. Manifesta un "profondo odio" per tutti gli esseri improduttivi e infecondi. Perciò zitelle e scapoli sono maltrattati nella Comédie; e la stampa è un "mostro che non procrea", il regime costituzionale è un "mostro infecondo", l'ateismo è uno "scheletro che non procrea".

Balzac ama ed esalta l'energia e sa vederne le manifestazioni dovunque, nella tecnica, la scienza, l'arte e la moda. Parigi non è per lui, come per Victor Hugo, tribuna di concioni liberali, ma centro da cui si irradia la pienezza vitale, l'energia motoria. Osserva i cantieri del porto di Cherbourg in costruzione: "l'entusiasmo per simili imprese non può avere limiti". Entra nel diorama di Daguerre e lo trova "la soluzione di innumerevoli problemi". Vent'anni dopo si farà fare un ritratto, e affermerà, con qualche ragione, di aver previsto l'invenzione del dagherrotipo in un romanzo del 1835, Louis Lambert. Si entusiasma per la ferrovia: trasformerà la politica e prolungherà la vita umana "giacché modifica le leggi dello spazio e del tempo".

Ciò che veramente lo entusiasma sono gli inventori e le invenzioni. Le nuove possibilità offerte da scienza e tecnica: "Oh, che vita straordinaria!". Una intera parte delle Illusioni perdute è dedicato alle "sofferenze di un inventore", David Séchard che cerca di produrre la carta direttamente a partire da fibre vegetali, anziché con gli stracci: è una rivoluzione necessaria per la diffusione di massa dei prodotti editoriali; Balzac ci crede -ed per questo riesce, in un romanzo, ad anticipare una storica innovazione. Pagine febbrili sono dedicate all'ascesa economica di César Birotteau -ed è un modo di parlare di legami tra scienze ed economia: la formula della nuova lozione per capelli è procurata dal grande chimico Vauquelin, e per la prima volta è sfruttata a fini pubblicitari la formula: approuvé par l'Insitut (formula "il cui effetto è magico"). Il cuoco Giardini si rovina con le sue invenzioni. Il fabbricante di cappelli Vital ha un solo ideale, riuscire ad imporre una nuova forma di copricapo: "oui, toute mon ambition est de régénerer la chose et de disparaître".

Balzac, per la sua pienezza, per la sua forza di carattere, è l'uomo completo del suo tempo. In lui -nelle contraddizioni della sua vita quotidiana- non solo nelle sue opere, si riassume un secolo turbinoso di tipografi, di editori, orticultori, fabbricanti di paste alimentari, ingegneri minerari, cacciatori di dote in cerca di ereditiere, banchieri, azionisti delle Ferrovie del Nord, proprietari, distributori di riviste, candidati alle elezioni. La vittoria di questo tipo d'uomo è il fallimento del 'filosofo' del Settecento: Balzac descrive una società dove è ormai abolita la frontiera tra coscienza e prassi. Pensare non è più puro esercizio della mente, pensare significa desiderare e mettere in pratica i propri desideri. La nuova regola è quella del 'fare'.

"I suoi occhi si fissarono quasi avidamente tra la colonna di Place Vendôme e la cupola degli Invalides ove viveva il ben mondo nel quale avrebbe voluto entrare. Lanciò su quell'alveare rumoroso uno sguardo con quale sembrava suggerne il miele e pronunciò queste grandiose parole "A noi due adesso"! E come prima sfida che lanciava alla società andò a cena dalla signora di Nucigen."

Così anche Rastignac ha accettato di giocare questa partita. Come vuole, per tutti i suoi personaggi, Balzac.

Sistema vs mercato

"Qui tutto fuma, brucia, brilla. bolle, fiammeggia, vapora, si spegne, si accende, scintilla, crepita e si consuma". Parigi è una "gloriosa valle disseminata di macerie e di nera fanghiglia". E questa Parigi, per noi, è una buona metafora del sistema organizzativo: "è un vero e proprio oceano. Gettatevi una sonda, non ne misurerete mai la profondità. Percorretelo, descrivetelo, troverete sempre un angolino vergine, un antro sconosciuto, fiori, perle, mostri, qualche cosa di straordinario, di inaudito, che i palombari della ricerca hanno ignorato".

Balzac prova piacere nell'osservare e nel descrivere, nel creare gratuitamente, dispersivamente. La dimensione è quella del gioco, della dissipazione. Abbracciare un intero secolo, una intera società, in un sistema di romanzi: uno sforzo che potrà che fallire. Ma il risultato sta già nel tentativo, nel mettersi in gioco - la soddisfazione che proviamo lavorando nasce da qui.

Un atteggiamento opposto a quello di Flaubert. Bouvard e Pécuchet, i due incalliti copisti, non lavorano, non creano -si limitano a sperimentare. Attraverso di loro Flaubert manifesta il suo odio per lo spirito borghese, per l'idea stessa della produzione.

Nel mondo di Balzac invece non si leggono enciclopedie, non si sperimenta senza scopo in laboratorio, non si cerca una astratta verità scientifica, ma si rischia ogni giorno sul mercato, si crea o si distrugge ricchezza.

Per Balzac ogni risposta parte dalla costruzione di un modello, si sviluppa attraverso l'uso innovativo di tecnologie, si oggettiva nella creazione di un prodotto. Lo sguardo di Flaubert, al contrario, è marketing oriented. Flaubert si preoccupa non tanto di capire, quanto di dominare il sistema guardandolo dall'alto. Lo descrive minuziosamente in virtù di applicazione, di studio, ma resta freddo, esterno, evitando ogni coinvolgimento. Così Flaubert non perde, ma solo perché non si è messo in gioco: come l'esperto di marketing che considera i prodotti come oggetti per definizione privi di valore, nullità da abbellire illusoriamente, apparenze da rendere vendibili attraverso la persuasione, il ricorso all'illusione.

Metodo e sistema

Hegel aveva saputo forse per primo inquadrare in un sistema razionale l'economia del mondo borghese moderno, ma solo Balzac comprende (cum-prende, prende insieme), e ci restituisce, il senso dell'energia interna del nuovo ordine economico.

Il suo è un modello di analisi: ogni risvolto del ciclo di produzione globale è dominato, non c'è zona grigia, non c'è area tabù; c'è lo sfondo macroeconomico che determina le politiche d'investimento, ci sono le problematiche di accumulazione originaria, ci sono i diversi sistemi microeconomici, imbricati, sovrapposti, intricati, c'è l'attenzione agli aspetti oggettivi ma anche alle dinamiche soggettive. Il modello è dinamico, a un mutamento di un fattore corrisponde il ridisegno collettivo del quadro. La gaussiana è descritta anche nelle sue code, anche negli aspetti solo marginalmente legati all'oggetto di volta in volta messo a fuoco.

La Comédie è un "vasto imbroglio, simile a quello che si dipana quotidianamente sotto i nostri occhi". Il romanzo -il sistema- è costituito da un ciclo interminabile, sempre provvisorio e in continua evoluzione, l'enorme Commedia, che a sua volta rimanda alla commedia della vita. Ogni elemento del quadro è pensato come parte del un sistema: così, per esempio, il ritorno degli stessi personaggi, romanzo dopo romanzo, è la trovata geniale che permette di ritrarre "in azione" i contemporanei.

Di questo Balzac era assolutamente convinto: di aver trovato il modo per descrivere scientificamente il sistema socio-economico. Ma perché invece il grande critico Sainte-Beuve si arrabbiava? Sainte-Beuve, di fronte alla Comédie, di fronte a questo sistema eccessivo, pletorico, intricato non riusciva a trattenere la sua irritazione: non è così che succede nella vita! Balzac non domina la materia, ma se ne lascia dominare!

Ci sono di mezzo scelte precise. Ed è qui che emerge, per noi, un modello di metodo di analisi organizzativa.

Balzac non aveva paura di sporcarsi le mani. Nessuno schema preconcetto, ma anzi una totale disponibilità a contraddirsi, a cambiare idea. Nessun modello elegante, ma schemi e stimoli presi dalla strada, rubati dovunque. I modelli alti, formalizzati, orientati alla semplificazione possono provocare in un romanziere -e in un ricercatore!- stati di vera paralisi: tutto è ricondotto a uno schema semplice, elegante ed autoesplicativo, ma sempre più lontano dal magma confuso e pulsante del sociale e dell'empirico. Perciò meglio nutrirsi di materiali di second'ordine, di casi marginali, di esempi mostruosi, di sovrabbondanza e di rozzezza. E meglio perdersi, mettersi in gioco soggettivamente, ammettendo di essere coinvolti nel quadro, piuttosto che cercare di mantenere al di là di tutto la distanza dall'oggetto d'indagine.

La letteratura e dalla sociologia di matrice positivista prevedono un osservatore che guarda dall'alto, protetto dal suo metodo, attento ad evitare ogni contaminazione con l'oggetto d'indagine. Al contrario Balzac azzera la distanza tra sè e l'oggetto d'indagine; è sempre, oltreché spettatore, interprete. Lui non teme di soccombere alla sgradevole oppressione dei fatti, delle cose, degli oggetti, delle persone. La sua enorme energia interiore, la sua fiducia nel nuovo lo liberano dal bisogno di difendersi.

Sta qui -in questa partecipazione 'interna' all'universo descritto- l'essenza dello sguardo 'visionario' di Balzac. Uno sguardo inconfondibile, che penetra in profondità. La realtà è avvicinata a tal punto da lasciarci un senso di vertigine -la vertigine delle cose viste troppo da vicino. E' la "dimensione nuova", notava Baudelaire, "che acquista il mondo visto dall'occhio visionario e dall'animo appassionato", un mondo dove "tutti, perfino gli uscieri, possiedono del genio". Ovvero una analisi dove di tutti gli oggetti -esaltandone i caratteri significativi- si è parlato in modo adeguato.

Certo, un'utopia metodologica. Ma senza questa utopia non c'è prassi creativa, non c'è innovazione ci dice Balzac.

Perciò se vogliamo che la nostra stessa presenza di ricercatori non sia un freno allo sviluppo dei sistemi con i quali interagiamo, dovremo, con Balzac, accettare l'assenza di un ordine superiore, dovremo perderci in questo chiasso e in questa confusione. Balzac parlando di sé scriveva: "Non basta essere un uomo, bisogna essere un sistema".

Bibliografia

La bibliografia su Balzac è sterminata. Mi limito a ricordare: Ernst R. Curtius, Balzac, Milano, Il Saggiatore, 1969 (ed. origin. 1951); in particolare il capitolo: Società. Giovanni Macchia, Le rovine di Parigi, Milano, Mondadori, 1985; in particolare: parte II, I. Marcel Proust, Contro Sainte-Beuve, (Contre Sainte-Beuve), Torino, Einaudi, 1974.

Di Balzac sono facilmente reperibili: Le illusioni perdute, (Les illusion perdues), 1837-1843; trad. it. Milano, I grandi libri Garzanti, 1983, 2 voll. Pére Goriot, 1835. Trad. it. Milano, I grandi libri Garzanti, 1983. L'illustre Gaudissart, 1833; trad. it. in La Commedia umana. Racconti e novelle, Milano, Oscar Mondadori, 1988. (Tutti e tre i titoli appaiono in lingua originale nella collezione Livre de poche).

Facilmente reperibile anche Bouvard e Pécuchet: Gustave Flaubert, Bouvard et Pécuchet, 1881 (postumo, incompiuto). Trad. it. Milano, Oscar Mondadori, 1981

La bibliografia sul ‘narrare le organizzazioni’ non è altrettanto vasta.

Per un avvicinamento al tema di veda:

– Czarniawska–Joerges, Barbara e Guillet de Monthoux, Pierre (a cura di) (1994) Good Novels, Better Management: Reading Realities in Fiction, UK, Harwood Academic.

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