BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 02/07/2007

QUANDO IL VALORE E' GRATIS

di Francesco Varanini 

Premessa
Il tempo passa, alcune idee restano in mente, pur evolvendosi, pur manifestandosi attraverso diverse connessioni, e trovando nuove formulazioni.
Torno qui sul tema che ho già trattatalo in un precedente contributo, pubblicato in data: 30/07/2001: L’economia del dono (http://www.bloom.it/vara39.htm).
Allora premettevo: “Il tema è di grande portata, e merita certo ben maggiori approfondimenti. Però, nella logica delle Rete, ritengo sensato portare comunque alla luce riflessioni anche provvisorie e frammentarie. Qualcuno forse leggerà e mi comunicherà le sue riflessioni e le sue critiche e i suoi suggerimenti. Oppure trarrà semplicemente spunto per un proprio percorso di costruzione di conoscenza.” Non posso far altro che ripetere qui quelle stesse parole.

Gli inganni del prezzo
Creare valore è, per ognuno di noi, per ogni persona fisica ed ogni persona giuridica, necessità materiale ed allo stesso tempo obbligo morale.
Ma da dove nasce, e in cosa risiede il valore? Siamo abituati a distinguere il valore di scambio dal valore d'uso. Ma poi siamo abituati a misurare il valore in base al prezzo riconosciuto a un bene o servizio al momento dello scambio. Eppure, come scriveva Piero Sraffa (Produzione di merci a mezzo di merci), "è impossibile dire di una particolare variazione di prezzo se essa sorga dalle peculiarità della merce che viene misurata o da quelle della merce che viene presa come misura." Si può vendere sottocosto. Si può stabilire un prezzo e poi scegliere di praticare uno sconto (così ‘regalando’ una parte del valore). Il prezzo non è legato solo a ragioni produttive, industriali e di magazzino. Non è legato solo a scelte di marketing. Spesso è determinato da ragioni puramente finanziarie, legate ai meri movimenti di denaro.
Dunque, il prezzo non ci dice tutto. E anzi può essere ingannevole.
Il software open source e free –pensiamo al sistema operativo Linux, o a Open Office– non ha prezzo, nel senso che non costa nulla. Eppure nessuno potrà negare che sia dotato di valore, e allo stesso tempo fonte di valore, mezzo attraverso il quale può essere prodotta nuova ricchezza.
Nessuno potrà negare, di conseguenza, che se ci limitiamo a considerare dotato di valore solo ciò che una un prezzo, occultiamo una parte significativa della ricchezza sociale prodotta e disponibile. Pensiamo ai beni e ai servizi scambiati tramite baratto. Pensiamo al lavoro delle casalinghe.
Pensiamo, in generale, a tutto ciò che è offerto gratuitamente.

Gratis
L’abitudine a considerare dotato di valore solo ciò che ha un prezzo ci porta a trascurare una realtà che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi. Bibite gratis. Apparecchi telefonici cellulari gratis. Telefonia fissa gratuita. Assistenza gratuita per automobili. In banca, conto corrente gratuito. Ingresso gratuito in casinò. Canali televisivi e radiofonici gratuiti. Quotidiani e settimanali gratuiti. Società che offrono gratuitamente sondaggi di mercato.
E poi la grande ondata legata all’informatica: posta elettronica gratuita, conoscenza gratuita a disposizione sulla Rete, e –come abbiamo già accennato– software gratuito.
Si tratta evidentemente di casi diversi l’uno dall’altro. La bibita –valgano ad esempio i prodotti offerti dal leader del mercato giapponese– è gratuita per il consumatore, ma è pagata da chi compra spazi pubblicitari sull’etichetta. Analogo il caso dei canali radiofonici e televisivi dove copertura di costi, remunerazione delle risorse investite e margine sono garantiti dalla pubblicità, così come accade anche con la stampa free press. Altrettanto dicasi di quelle compagnie telefoniche che offrono telefonate gratuite ma vendono messaggi pubblicitari che accompagnano le telefonate.
L’ingresso gratuito al casinò, è ripagato, nelle attese del gestore, da quanto lascerà il riconoscente giocatore al tavolo da gioco. L’apparecchio telefonico gratis è un incentivo  a sottoscrivere un contratto di servizio. Il conto corrente è offerto gratuitamente a clienti che si intende sottrarre alla concorrenza. L’assistenza gratuita dell’automobile –soprattutto la Toyota crede in questo– è fonte di fidelizzazione, e si presume ripagata dal futuro acquisto di una nuova vettura.
Il software è free ed open perché ci sono programmatori che –a differenza delle softwarehouse che vendono licenze d’uso di un codice protetto– scelgono di essere remunerati per il lavoro svolto,  o decidono anche di dedicare una parte del loro tempo a lavoro non remunerato (è il caso del grande progetto che ha portato il gruppo coordinato da Linus Torvald allo sviluppo del sistema operativo Linux).
Oppure –così accade con Open Office–  si da anche il caso di programmi sviluppati da una softwarehouse –Sun Microsystem– che opera sul mercato con scopo di lucro, ma finisce per offrire gratuitamente il software perché non è in grado di competere con lo strapotere del prodotto leader del settore, l’Office della Microsoft.
Internet ed il Word Wide Web sono cresciuti spontaneamente, per accumulazione progressiva, a partire da un infrastruttura prima militare, e poi usata per scambi di informazioni in ambito scientifico ed universitario, sulla base di semplici regole condivise che impediscono l’affermarsi di un soggetto dominante. Si arriva così, per questa via, al cosiddetto Web 2.0, con Google come caso esemplare: il gestore non offre contenuti, ma servizi gratuiti: motori di ricerca, posta elettronica, spazi per conservare e condividere testi, fotografie, video. I servizi si ripagano con pubblicità pagata in funzione dei visitatori effettivamente portati sul sito del cliente.

Il dono è sempre gratuito
Casi diversi, ma incontestabilmente accomunati da un aspetto: si tratta di offerta gratuita di beni o servizi.
Aldilà delle differenze, è possibile cogliere la ragione che sta alla base. Come spesso accade, il senso è racchiuso nella remota origine dell’espressione. Gratis, gratuito, grato, grazia rimandano al sacrificio agli dei, e, nell’ambito delle religioni monoteiste, al ‘rendere grazie a Dio’.
L’offerta agli dei è il dono estremo. E’ il gesto più gratuito che si possa immaginare. E’ una scommessa sulla fiducia, sul futuro. Potremmo fare un parallelo con la ricerca di base: non so a cosa servirà, ma è efficace proprio nella misura in cui rinuncio a prefigurare scopi immediati. Rischio, può darsi che perda tempo o risorse,  ma è così che si fa vera innovazione, e si acquista un vantaggio competitivo.
Quello che vale per il sacrificio agli dei, vale per ogni dono. Ce lo spiega l’etnografo francese Marcel Mauss (nel Saggio sul dono, 1925). Mauss ci mostra come donando si stimola nell’altro un comportamento fondato sulla reciprocità. Se qualcuno mi offre un dono, in qualche modo dovrò ricambiare. L’altro non è obbligato a contraccambiare da nessuna legge, o da nessun obbligo contrattuale. Ma il ‘contratto psicologico’ è più forte della legge e di ogni altra forma di obbligazione. Chi mi dona qualcosa mi lega a lui; vanta un credito nei mie confronti.

La fiducia del prossimo e l'importanza del sapere
Chiusi nello schema di Economics che si fondano sull’esistenza di un prezzo, e sulla ricerca di un ‘margine’ di guadagno, si dice: se si dona, dove sta il ritorno?
Mauss ci aiuta a capire i vantaggi profondi dell’offerta gratuita.
Si può infatti sostenere che il dono è di per sé redditizio. L'esempio più evidente resta forse quello  dell'attore che in un mercato competitivo prevale perché –attraverso quel gesto di amicizia e di liberalità che è l’offerta gratuita– conquista la fiducia del prossimo (evitare di usare fin dove si può termini abusati come 'cliente' e 'mercato' contribuisce a restituire senso ai ragionamenti). Resta famoso il caso di Netscape, l’impresa californiana che alla metà degli anni novanta mise a disposizione gratuitamente il primo browser, il software per navigare nel Web.
Per la grande impresa; e forse ancor più per la piccola e media impresa, che può prosperare solo a partire dalla continua innovazione e dallo stretto legame con i propri clienti.
Il parco dei clienti fidelizzati, anzi riconoscenti, anzi in debito con noi, ha un valore economico. Con loro faremo buoni affari. L’esserci privati gratis di qualcosa ci ha reso più ricchi.
Non mi addentro qui nel ragionamento sugli asset intangibili. Ma per quanto sia difficile misurarla, è innegabile che la fiducia abbia valore. Così come hanno valore le conoscenze, le capacità, le competenze. Non a caso si usano espressioni brutte ma significative: risorse umane, capitale umano.

Ciò che fa più incazzare gli economisti
Intendo soprattutto i macroeconomisti, coloro che lavorano per aggregati e per indicatori di sintesi. Alle critiche al Pil, per fare un esempio, c'è poco da aggiungere. Se non rilevare che, in fondo, la critica al Pil coincide con la critica del prezzo e con la critica dei bilanci (e con i bilanci del sottostante del modello contabile fondato sulla rilevazione del valore in occasione della transazione): in tutti i casi indicatori utili ed efficaci, in grado di permettere comparazioni. Ma allo stesso tempo indicatori lacunosi e parziali, perché non in grado di rilevare se non una parte del valore realmente prodotto e scambiato.
E' questo che fa incazzare gli economisti: dover ammettere che alle loro griglie interpretative, ai loro sofisticati sistemi di rilevazione, tanto sfugge.
Eppure gli economisti dovrebbero tornare a riflettere sul senso del loro affannarsi a misurare.
Ricordiamo che l'espressione economia -banale e confortante nella sua quotidianità:
'aministrazione della casa'- ci parla di un senso comune che i modelli economici sembrano avere perso.
Ricordiamo anche il monito insito nell'idea di finanza. Che rimanda al fine e alla finitudine:
Il fine –‘lo scopo’, ciò a cui si mira– e la fine –‘la conclusione’, ‘il termine’–. E dunque la finanza ci parla di limite ultimo, punto, o luogo, oltre il quale è insensato andare. Eppure il gioco della finanza  sembra esssere quello di andare sempre oltre, creando ricchezza apparente (denaro) a partire da artifici, e ignorando, o quanto meno trascurando la reale creazione di valore.

Oltre il tabù la grazia
Il prestito sta per'condurre alla nostra portata'. Dietro al debito aleggia il dovere: 'avere da qualcuno'. L'interesse è 'stare in mezzo'. La speculazione –latino speculum, 'specchio', radice indeuropea spek– ci parla di un 'osservare che dura nel tempo'.
Potremmo dunque dire che chi ci finanzia compartecipa con noi nell'azione di 'guardare al futuro'. Questa compartecipazione è certo degna di essere ricompensata.
L'indimenticabile figura Shylock scolpita da Shakespeare nel Mercante di Venezia è soprattutto ricordata come incarnazione dell'ebreo. Ma è invece piuttosto il banchiere esemplare. Per il quale senza interesse, senza mediazione finanziaria, non c'è valore.
Eppure -abbiamo visto- nessuno può negare che “the for-pay economy is not the only way to create value”: così Ward Cunningham, esponente di quella cultura cui dobbiamo il software open source e il Web .
Shylock non odia Antonio perché è cristiano. “But more”, “I hate him for that in low semplicity/ He lends out money gratis and brings down/ The rate of usance here whit us in Venice”: “perché nel suo umile candore/ presta denaro gratis, e qui a Venezia/ fa scendere il tasso di interesse.” Perché, insomma, mette in discussione il primato della finanza.
La parola tabù, il concetto inaccettabile, per Shylock, e per ogni banchiere, per ogni operatore del mercato finanziario, è gratis.
Non a caso il gratis inteso come scandalo, luogo di confine, situazione limite del mondo degli affari, attraversa la storia del romanzo: Cervantes, Carroll, Swift, Dickens, Balzac, Zola. I romanzieri parlano di ciò di cui gli economisti preferiscono tacere.
Ma sullo sfondo, al di là dei vincoli suoi propri che la finanza si sforza di imporre, resta vivo il concetto  racchiuso in un elemento fondamentale del lessico indeuropeo, la radice do: il 'passaggio di possesso', da cui dare, ma anche dono. La pay economy non ha mai veramente soppiantato la gift  economy.
Gratis, 'graziosamente', 'per favore', e gratuitus, rimandano in latino a gratus, parola antichissima del vocabolario religioso, a sua volta dalla radice indeuropea gwere, 'cantare inni di lode'.
Non a caso le religioni ci propongono l'aiuto di Dio come simbolo di ogni gratuito ma promettente scambio di servizi, di favori e di benevolenza tra persone. Non a caso l'aiuto di Dio trova motivazione e conferma nelle buone opere, opere misurate in valore, non in denaro.
Non esiste durevole creazione di ricchezza senza grazia: naturalezza, delicatezza, armonia, riconoscenza.

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