BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 17/12/2007

 

CONFESSIONS OF A CRAP WORKER, E ALTRE STRONZATE

di Francesco Varanini

Crap
La rivista inglese The Idler ha tenuto per anni una rubrica, aperta ai lettori, in cui si potevano descrivere le proprie esperienze lavorative.
Dalla rubrica sono state scelte cento storie, ognuna legata a un lavoro: dall'Aiuto cuoco in un negozio di kebab al Consulente per internet, dall'Ammazza-salmoni al Perforatore di torte, dal Postino al Telefonista porno.
Tradotto in italiano da Einaudi, The idler book of Crap Jobs. 100 Tales of Workplace Hell, 2004, suona pudicamente Cento lavori orrendi. Storie infernali dal mondo del lavoro. Ma avrebbe potuto essere tranquillamente tradotto, Cento lavori di merda. Del resto, visitando www.internetbookshop.it , notiamo che sono attualmente distribuiti in Italia nove titoli che contengono la parola nel titolo, tra cui l’ottimo romanzo di Philip K. Dick Confessioni di un artista di merda (Fanucci), in originale Confessions of a crap artist.
Niente da dire quindi sui titoli escrementizi. Molto da dire invece sul contenuto e l’approccio. The idler book of Crap Jobs appartiene a una serie: Crap Holidays. 50 tales of Hell on Earth; Crap Towns, The 50 Worst Places to Live in the Uk. Di queste raccolte si può apprezzare l’humour acre. Il curatore, Dan Kieran, giornalista inglese, ricorda che “The original purpose of the Crap series was to look at how crap, in reality, most of modern life really is”.
Non ho letto gli altri libri, ma quello sul lavoro non mi piace. L’atteggiamento è disfattista. Non si parla in realtà di lavoro: si ‘parla male’ del lavoro, vedendone solo gli aspetti negati, e tutto sommato rifiutandolo. Facile offrire spazio a chi vuole prendere le distanze dal lavoro, attribuendo alla cattiveria del mondo ogni responsabilità.
La vita moderna, e il presente mercato del lavoro, saranno forse crap: e certo la responsabilità di questo stato di cose grava innanzitutto sulle spalle di uomini politici, finanzieri, imprenditori. Ma ognuno di noi, comunque, porta sulle spalle una parte di responsabilità. Se non altro la responsabilità di dare senso al tempo che dedichiamo a lavorare. Perché mai fare l’ammazza–salmoni, l’aiuto cuoco in un negozio di kebab o il postino deve essere, come si narra in questo libro, una esperienza terrificante? E se anche lo fosse, l’esperienza può essere vissuta in modo costruttivo. Qualcuno ci riesce, ma di ciò in questo libro non c’è traccia.
Il lavoro dei fattorini della Western Union, addetti alla consegna dei dispacci telegrafici, di cui narra Henry Miller nel Tropico del Capricorno (1939), meritava certo, più dei lavori descritti in questo libro, la definizione di “infernale”. Miller si sa, è maestro di humour acre, e il suo sguardo dissacrante non risparmia niente e nessuno. Eppure Miller, allo stesso tempo, sapeva vedere, e descrivere, gli aspetti dignitosi del lavoro. Questi fattorini, si capisce, cercano di farla franca e di lavorare il meno possibile, ma non per questo disprezzano il loro lavoro. Il lavoro che hanno, che sono stati capaci di trovare. 

Asshole
C'è un libro che ha venduto un mucchio di copie, in Italia, credo, ma prima negli States, Il Metodo Antistronzi, The No Asshole Rule. E' un libro che secondo me non merita di essere letto. Non è sufficiente a cambiarmi idea la prefazione di Pier Lugi Celli. E neanche la  capziosa parte finale dove si dice che in fondo essere un po' stronzi è un modo per fare carriera e quindi fare impresa e quindi creare posti di lavoro, e che veri stronzi come Steve Jobs sono quindi in fondo meritevoli. Non mi piace il disfattismo di questo libro, non mi piace la chiamata a parlar male di altri, non certo perché gli stronzi non esistano, certo che esistono, ma perché a parlar male si è tutti bravi, dire che quello è stronzo e l'altro pure è sport  facile.
Non è così che si bonifica e migliora il mondo dell'impresa. Non ho niente contro la delazione, anzi Ma allora tiriamo fuori i nomi, che tanti dicono a mezza bocca, di direttori del personale che se ne fregano in realtà delle persone, e che badano solo ad apparire e a far soldi. Parliamo dei grandi manager che guadagnano somme enormi, e che galleggiano da un in carico a un altro, riuscendo sempre a farsi fornire, al momento che assumono un incarico, un 'paracadute' che gli garantisce una uscita lussuosa, garantendosi così sempre una situazione che li esime dal tanto sbandierato rischio d'impresa.
Perché prendersela dunque con piccoli stronzetti, poveretti che non non hanno nel proprio bagaglio altra skill che quella del fare carriera. Del resto, loro fanno carriera perché noi, che ci consideriamo migliori, non ci mettiamo in gioco. A troppi di noi piace dire che gli altri sono stronzi, e notare con accanimento ogni loro manifestazione di stronzaggine. Però ci guardiamo bene dal metterci in gioco. Dal dire per esempio: provo ad assumermi io una responsabilità Mi metto in concorrenza con questi stronzi.
Perciò questo libro non merita un menzione completa, una citazione bibliografica esaustiva. Se volete andare a comprarlo, Bloom non vi aiuta. L'editore non lo merita.
Però, come quasi sempre, c'è di peggio. Ieri sera passavo in un Autogrill. Guardavo i libri. Mi capita sotto gli occhi un libro intitolato Quella stronza del mio capo. Un libro che, mi pare, parla di rapporti tra capo (donna) e segretaria. Non so dirvi di più, non ho voluto soffermarmi. Perché, colto da legittimo dubbio, sono andato a vedere quale era il titolo in edizione originale: Because she can. Sì, una donna al potere se ne approfitta, ha imparato dall'uomo. Credo parlasse di questo, immagino con tono ironico. Ma non ho potuto aprire il libro, schifato dal titolo italiano: Quella stronza del mio capo.
Oh, ecco qui dispiegata tutta l'intelligenza degli editori italiani, che poi si lamentano per l'assenza di lettori (e non è vero che non ce ne sono). In particolare di editori come quello che offre ai lettori questo libro, uno di quegli editori narcisisti-conformisti politicamente corretti, pedestris eguaci delle mode, di quelli che seguono l'onda. Acuto ragionamento: se c'è un libro, non importa quello che dice, che vende, e che ha la parola stronzi nel titolo, allora noi prendiamo un libro qualsiasi e rifacciamo il sensato, esplicativo titolo mettendoci dentro la parola stronza, per non essere dammeno.

Lutero al cesso
“Questa visione me la diede lo Spirito Santo mentre ero nella latrina della  torre”. Così Lutero. E potremo aggiungere le innumerevoli esplicite e dure pagine escrementizie di Swift, e certe pagine di Joyce. Devo naturalmente citare qui il libro che più acutamente ci immerge in questa visione, La vita contro la morte (Norman O. Brown, Life Against Death, 1959, trad. it La vita contro la morte, Adelphi), Parte Quinta, 'Studi sull'analità'', in particolare il paragrafo 'La visione escrementizia'.
Voglio dire che anche sulla merda nella letteratura, non solo nella letteratura manageriale e relativa al lavoro, già è stato detto, in ripeto in modo duro e profondo e serio e ludico e sfacciato. Non si inventa nulla. Nulla di rilevante dal punto di vista delle cose da dire, purtroppo. E invece si specula sui titoli facili, sulle parolacce. Appunto: bullshit e asshole e crap, merda e stronzi. Titoli specchietti per le allodole. 

Pulirsi il culo
Ecco dunque il pregio del romanzo di Enrico Linaria,  La vera storia, senza veli, di Roberto P, collaudatore di carta igienica  (Edizioni Aurora, 2007 www.unilibro.it e su www.libreriauniversitaria.it.)
La chiave è quella dello humour acre, e del paradosso. Non ci risparmia nulla nella descrizione dell’assurdità organizzativa, della delirante gestione delle risorse umane, della tronfia e superficiale arroganza dei manager. Né trascura di ricordarci come troppo spesso l’orientamento al business copre vessazioni e illegalità.
Dal mio punto di vista, penso che l'autore sia troppo insistente nel parlarci di escrementi. Penso che non fosse necessario. Lo pensavo, almeno, fino a quando mi sono reso conto di tutti questi titoli gratuitamente escrementizi. Linaria almeno gioca fino in fondo sul pedale dell'assurdo, quell'assurdo che del resto  abbiamo quotidianamente sotto gli occhi. Non a caso si tratta di una fabbrica di carta igienica. Il lavoro del collaudatore non può che essere quello. Molto meglio, del resto, giocare sul filo dell'ironia, a partire dal lavoro che si trova costretto a fare Roberto P., piuttosto che considerare aprioristicamente 'di merda' il lavoro di Ammazza-salmoni, Perforatore di torte, Postino, Telefonista porno, o addetto a un Call Center.
Non trovo nessuna apprezzabile etica nel Metodo Antistronzi. Nella Storia del collaudatore di carta igienica, invece, troviamo personaggi mossi da un profondo senso di etica individuale, di dignità personale. Anche quando il lavoro è veramente di merda.

 

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