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Pubblicato in data: 10/11/2008

 

L'OBAMA DI PHILIP DICK SI CHIAMA JIM BRISKIN

di Francesco Varanini

L'Obama di Philip Dick si chiama Jim Briskin.
Dick, grande visionario, negli anni sessanta, scrivendo come in trance, parla delle assurdità del mondo che oggi abbiamo sotto gli occhi.
Specialmente negli anni sessanta, specialmente in alcuni romanzi, pressato dall'urgenza economica, spinto dalla fantasia visionaria, sostenuto anche da qualche pasticca. obbligato dalle circostanze a elaborare lutti, dolori, scrive alla svelta, senza darsi il tempo di approfondire troppo e di rifinire. Ma è anche per questo che i suoi romanzi ci appassionano: non pretendono di dire tutto, aprono abissali scenari e poi lasciano spazio al nostro immaginario. Con Dick non possiamo essere lettori passivi.
Ecco che così ora non possiamo leggere passivamente queste pagine, che ci parlano di un mondo sommerso in una crisi che sembra senza via d'uscita, e di un candidato alla presidenza degli Stati Uniti, negro, che costruisce la sua campagna fregandosene delle consuetudini, e che porta avanti contro venti e maree la sua candidatura, fregandosene di consuetudini e di cautele.

Dick scrive tra il 1963 3 il 1964. Ricordiamo quegli anni.
Marzo 1963: esce Please Please Me, il primo LP dei Beatles. Aprile: papa Giovanni pubblica l'enciclica Pacem in Terris: morirà due mesi dopo.
Il 28 agosto la March on Washington for Jobs and Freedom porta al Lincoln Memorial 300.000 persone. Martin Luther Kingparla alla folla: "I have a dream: that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed: 'We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal'”. Sembrano, come i discorsi elettorali del Jim Briskin di Dick, parole buone, ma ingenue e vane. Impossibile che quelle parole scalfiscano la solida corazza del potere costituito, cinico, machiavellico, gattopardesco. Martin Luther King pagherà con la vita, cinque anni dopo, quelle parole, ma intanto nel 1964 il Civil Rights Acsts proibisce le discriminazioni basate su razza, colore della pelle, origine, religione. E nel 1965 il Voting Rights Act dà ai negri il diritto di voto alle elezioni.
Il 22 novembre 1963, a Dallas,Texas, una serie di colpi di arma da fuoco di cui sarà ufficialmente incolpato Lee Harvey Oswald,uccidono il presidente John Fitzgerald Kennedy.
Al termine dell'anno i 'consiglieri' che nel 1961 Kennedy aveva iniziato ad inviare in Vietnam sono 15.500 Nel febbraio del 1964 caccia americani bombardano duramente il Vietnam del Nord. Truppe d'invasione sbarcano a Da Nang, nel Vietnam del Sud come presidio alla base aerea. In agosto il Senato concede pieni poteri al presidente Lyndon Johnson per un intervento militare in Indocina. La  presenza americana terminerà, tristemente, solo undici anni dopo.
Nell'ottobre del 1964 Leonid Breznev diventa segretario generale del PCUS. Imporrà all'Europa dell'Est la dottrina della sovranità limitata; resterà in carica fino alla morte, nel 1982.

In questo clima Dick scrive febbrilmente, come è suo solito. Mentre termina un'opera subito un'altra si accoda. E i temi ritornano di opera in opera, si sovrappongono e si intrecciano, senza una vera soluzione di continuità. Paradossi spaziotemporali, mondi paralleli, confini tra umano e non umano, tra vita e non vita. Sono gli anni di The Man in the High Castle (1962), Martian Time-Slip (1964), The Penultimate Truth (1964), The Simulacra (1964), The Three Stigmata of Palmer Eldritch (1964).
Due racconti lunghi escono nel '64,  Cantata 140 e  Stand-by  Il romanzo che tiene insieme i due racconti, The Crack in Space, esce nel 1966.
Un mese fa -in una benemerita libreria di seconda mano (ormai le uniche librerie che si possono frequentare) mi capita di trovare la prima edizione italiana: “Vedere un altro orizzonte”,  in Galassia, rivista di fantascienza, A. IX, n. 99. (Poi: Vedere un altro orizzonte, Bompiani, 1995. Ora Svegliatevi, dormienti, Fanucci, 2002 e poi 2007. Il titolo italiano riprende da Dick il riferimento a Bach: Cantata No.140 Wachet auf).

Nel romanzo, siamo nel 2080. Ma il mondo, l'ho già detto, è quello di oggi. Guerre, conflitti insanabili, crisi energetica, collasso ecologico, stagnazione economica. La disoccupazione endemica è tamponata tenendo in stato di vita sospesa, o semi-morte, i milioni di lavoratori in esubero, ovviamente negri, o appartenenti ad altre minoranze.

Jim Briskin si è guadagnato la nomination, ma è dato per sicuro perdente. I tempi non sembrano ancora maturi per il primo presidente negro. E poi Briskin sembra andarsi a cercare la sconfitta, proponendo -a partire da istanze etiche, prima che politiche ed economiche- misure controcorrente. Disattendendo i consigli del suo direttore di campagna elettorale, Briskin -in un discorso che costituisce un punto di non ritorno- promette di riportare in vita i lavoratori in vita sospesa.
Briskin rischia, recupera.

Briskin, un diverso, non teme la diversità. Ed anzi, ha piena consapevolezza dell'enorme valore della diversità. Così è l'unico a non spaventarsi di fronte alla nuova, sconvolgente, estrema sfida che l'accidentale svolgersi della storia propone all'uomo politico, allo scienziato, all'uomo comune.
(Non sto a dirvi qui per quale via la fervida mente di Philip Dick arriva a sfidarci con questa domanda. I lettori dei suoi romanzi sono abituati a questa narrazione che cammina sul filo dell'assurdo. Chi lo leggesse ora per la prima volta ha l'occasione di vedere come un'opera in apparenza 'di evasione' possa interrogarci ben più profondamente di presuntuosi e saccenti scritti filosofici).
Insomma: ecco la domanda che Philip Dick ci pone. Come vi comportereste se scopriste che il cosiddetto 'uomo di Pechino', quello scimmione goffo, gobbo, irsuto, il cranio piccolo, la fronte sfuggente, il naso schiacciato, il mento inesistente, nelle mani una rozza clava, quel quasi-animale vissuto 600.000 anni fa ha sviluppato una cultura diversa, ma per molti versi superiore alla nostra. Noi, che ci consideriamo il vertice dell'evoluzione, Homo Sapiens, come possiamo convivere con una diversa civiltà, ugualmente, ma diversamente umana?
Così Dick, nel momento in cui celebra il prevalere del candidato negro, ci ricorda che perfino la razza è ben poca cosa. Accettare la diversità è accettare non solo la diversità già nota, è accettare l'inconcepibile, l'ignoto.
Grande lezione: abitanti di un mondo sempre più piccolo, dovremmo noi oggi accettare i diversi popoli con i quali ci troviamo a convivere come inconcepibilmente diversi, come portatori di un irriducibile ignoto.

Briskin è diverso da Obama: meno giovane, meno brillante, meno carismatico, più fatalista e disincantato, più lento. In apparenza, un perdente. Ma in fondo la stessa convinzione e la stessa speranza. E la capacità di rischiare. E l'orgoglio razziale, un orgoglio non ostentato ma profondamente radicato.
In tempi di crisi, nessun candidato normale può essere adeguato. Bisogna scommettere sul cambiamento. Sognare e credere nei sogni. Di questo si accorgerà anche Sal Heim, l'acuto direttore della campagna elettorale. Abbandona Briskin, perché lo ritiene votato alla sconfitta. Ma poi capisce che di fronte ad un mondo indifendibile solo leader che ha il coraggio di pensare e di parlare altrimenti può trionfare.

Oggi, nel momento in cui scrivo, Briskin e Obama ci appaiono vicini. La vicenda che ha portato Obama alla vittoria è romanzesca. E il romanzo di Dick termina in un giorno che potrebbe essere oggi. Il grande istante storico della vittoria è appena trascorso. I problemi che attendono il nuovo presidente non lasciano spazio al facile entusiasmo. “Ma così doveva essere, e lui non si era aspettato niente di diverso”.  “Sarebbero stati anni difficili. Questo lo capiva bene. Quattro? Molto più probabilmente otto. ...E da come andarono le cose, le sue previsioni si rivelarono corrette.” 

Sempre buttando lì frasi scritte di fretta, un po' sconnesse, sempre accennando temi abissali per poi passare rapidamente ad altro, Dick ci mostra un metodo. Ci esorta ad abbandonare rassicuranti, ma fallaci approcci strutturati, programmati, standardizzati.
Come costruire oggi conoscenza, come creare ricchezza in un mondo così complesso?
Dice Frank Woodbine, scienziato, ricercatore, etnografo, esploratore: “Non lavoro su teorie costruite a priori; lavoro servendomi dei dati. Devo radunare un buon numero di informazioni, prima di sapere su cosa sto lavorando”.

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