BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 02/02/2009

 

DATO, MODELLO, ISTANZIAZIONE. STORIA DI TRE PAROLE DEL LESSICO INFORMATICO

di Francesco Varanini

Data, Dato
Il tempo può essere inteso come sequenza di vuoti, identici, contenitori da riempire di attività.  Attimo: spazio brevissimo di tempo, variante di atomo.
E' un susseguirsi di istanti. Instans, 'ciò che accade ora', Instare, 'star sopra', 'incombere', 'incalzare', quindi: 'essere imminente'. E' la speranza o l'attesa che accada, avvenga qualcosa: istantia: 'imminenza', 'domanda  che insiste' (insistere: ancora 'stare sopra), 'domanda che attende immediata risposta'.
Tutto  questo accade in ogni momento. Momentum: 'impulso' (participio passato di impellere, 'spingere avanti'), contrazione di movimentum, derivato di movere, radice meu, 'spostarsi'.
Dunque: un continuo movimento, un processo. E noi che cerchiamo di non perdere l'attimo nel quale potrebbe accadere qualcosa. L' attimo nel quale le nostre domande potrebbero avere risposta, e i nostri bisogni soddisfatti.
Come determinare con precisione l'attimo –fuggente, fugace– in cui è avvenuto qualcosa? Così, di fronte all'inafferrabilità dell'attimo, ci siamo creati un illusorio, ma rassicurante modo di fermare il tempo – e con il tempo, il fluire della conoscenza e della ricchezza.
Eccoci al concetto di data. Che si fonda su una immagine: la lettera, 'comunicazione scritta'.
Data, dal latino medievale líttera dàta, è la formula, apposta in testa o in calce allo scritto, o sulla busta, indicante il luogo e il momento in cui la lettera veniva consegnata al portatore. In italiano dal 1500, così come in portoghese, data, in francese e inglese date. Anche in spagnolo data, ma nel 1600 prevale fecha, nel senso lettera 'fatta', cioè 'scritta nel tal giorno e nel tal luogo'. Lo spagnolo ci illumina: il momento in cui 'faccio la lettera', il momento in cui penso e di conseguenza scrivo, non può essere esattamente circoscritto. Perciò,  in mancanza di meglio, scelgo a fondamento della misura economica un attimo forse meno importante, ma indiscutibile: l'attimo in cui avviene il passaggio di mano, lo scambio.
Quindi il latino datum, participio passato di dare. Ritroviamo il neutro latino datum in tedesco, mentre in inglese prevale dalla metà del 1600 il plurale di datum: data.
La certezza dei dati, fondamento e dogma della contabilità e dell'informatica, si appoggia dunque su una mera convenzione. Del flusso degli eventi, colgo solo un istante. La lettera scritta e consegnata in un attimo diverso, sarebbe diversa. Ma non potendo controllare questa conoscenza possibile, la trascuro. Faccio come se non esistesse.

Modello
Modello organizzativo. Modello dei dati. Siamo vagamente consapevoli di come il modello sia necessario. Come, senza modello, potremmo osservare la realtà, conoscere e descrivere il mondo. Ma cosa distingue il modello dal mondo? Come si costruisce il modello? Quando un modello è adeguato? E soprattuto: a cosa serve  il modello?
In origine sta l'idea espressa dalla radice indoeuropea med-: 'pensare', 'giudicare', 'misurare', 'curare', 'consigliare', 'adottare misure appropriate', 'governare'. Di qui meditare e medicare, modestia, modico, ma anche modo.
Il latino modus ci parla di 'misura', 'ritmo', 'norma', 'regola', 'maniera'. Con il senso, anche, di 'strumento di misura', indirizzo e confine dell'azione, richiamo alla moderazione, al senso del limite.
Da modus, il diminutivo modulus: 'modo', 'misura'. E' l'elemento architetturale che si assume come base  per determinare le misure di un insieme. Palladio: “Imitando Vitruvio, il quale partisce e divide l'ordine dorico con una misura cavata dalla grossezza della colonna, la quale è comune a tutti e dai lui chiamata modulo, mi servirò ancor io di tal misura”. E poi Galileo: “avendo riguardo al modulo, e cioè cioè alla norma e all'esempio...”.
Modulus appare termine tecnico, forse troppo lontano dal parlar quotidiano. E' così che il latino popolare ne trae un ulteriore diminutivo: modellus.
Una densa quartina di Michelangelo (Rime, 236) colloca il modello nel suo contesto, e ne illustra l'uso.
“Se ben concetto ha la divina parte/ il volto e gli atti d'alcun, po' di quello/ doppio valor con breve e vil modello/ dà vita a' sassi, e non è forza d'arte”
Prima di tutto sta la concezione dell'immagine (“il volto e gli atti d'alcun”), ovvero l'osservazione, la lettura critica del mondo. Operazione di ordine intellettuale che vede in gioco la “divina parte” di ognuno di noi, artista, progettista.
L'immagine è quindi concretizzata in abbozzo provvisorio (“breve e vil modello”). Lo scultore usa cera, legno o argilla, noi useremo altri strumenti, ma ricordiamoci: il modello è solo questo: approssimazione, prova, esempio.
Perché poi sempre, l'artista, come chi crea organizzazioni e di chi sviluppa software, dovrà realizzare l'opera, mettendo in campo al contempo il saper fare pratico e le  qualità intellettuali (“doppio valor”). Solo così l'immagine abbozzata farà prender vita al blocco di marmo. Non per mera “forza  d'arte”, ribadisce Michelangelo. Non basta la competenza tecnica, serve un investimento anche 'spirituale'.
L'esistenza del modello non costituisce alibi. Dietro il modello sta il modus: capacità di giudizio, azione responsabile.

Istanziazione
Si legge in manuali di informatica che l'italiano istanziare è una aberrante traduzione dall'inglese to instance, e si dice che sarebbe più corretto, nella nostra lingua, parlare di classificazione. Fuorviati dalla convinzione che il sapere informatico è 'un'altra cosa', si perde la memoria filosofica, e si dimentica che l'inglese deriva dal latino.  
Dalla radice indoeuropea sta- 'stare', in stare, 'stare vicino'. E anche 'star sopra', 'incombere', 'incalzare'. Vicinanza non solo spaziale, ma temporale: instans, 'ciò che accade ora'.
Istantia ci parla dunque di 'imminenza', 'domanda  che insiste' (insistere: ancora 'stare sopra).
Il greco la parola era enstasis, usata anche nel senso di 'obiezione'. Di qui l'istantia della filosofia scolastica: 'obiezione alla tesi dell'avversario', 'contraddittorio', 'ragione addotta a sostegno della propria tesi'.
Bacone riprende il termine. Le tabulae instantiarum dispongono in modo ordinato il frutto della Natura. Ma sono tavole che hanno ancora molto a che fare con gli strumenti di  decifrazione dei codici segreti, dei crittogrammi. Linneo va oltre. Nel suo Systema Naturae -siamo alla metà del 1700- si fa carico del compito immane di individuare univocamente ogni pianta, ogni animale, ogni minerale.
Tra il progetto di Linneo e l'approccio alla gestione delle informazioni che ci propone ancora oggi l'informatica non c'è soluzione di continuità. Il mondo è visto come sistema di classi  gerarchicamente organizzato.
Conoscere, dunque, significa istanziare: attribuire gli oggetti, univocamente, ad una classe. Ogni oggetto è un'istanza della classe cui appartiene.
Nella classificazione linneiana l'uomo, con qualche motivo, sta vicino alla scimmia. Ma il limite del metodo linneiano, così come dell'informatica orientata a conservare solo informazioni strutturate, appare qui: considerare tecnicamente possibile una sola struttura. Di tutte le diverse chiavi di lettura che possono considerare vicini o lontani l'uomo alla scimmia, ci si costringe ad assumerne una ed una sola. Un solo codice, una sola struttura, una sola possibilità di istanziazione.
Dante ci mostra l'alternativa. “Da questa istanza può deliberarti/ esperïenza, se già mai la provi/ ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti” (Paradiso, II, 94-96). Da questa obiezione -ma anche: da questo rigido criterio di lettura del mondo- può liberati l'esperienza, che è fonte di conoscenza. Si possono considerare vicini e lontani gli enti in base a criteri diversi. La diversità è ricchezza.

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