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Pubblicato in data: 09/11/1999

MICROSOFT, DOPO I FINDINGS OF FACTS DELLA U.S. DISTRICT COURT IN WAGHINGTON, D.C. TRA SATISFACTION E LOYALTY 

di Francesco Varanini

Bill Gates è il più grande monopolista del secolo o è semplicemente la vittima di una campagna astiosa? Domanda che da anni agita gli addetti ai lavori, l’opinione pubblica, la borsa, e che trova il 5 novembre 1999 un punto fermo. La U.S. District Court in Washington, D.C, pubblica i Findings of Facts delle azioni legali degli United States of America e dello State of New York contro Microsoft Corporation. E subito – viviamo non a caso nell’Information Age, un mondo la cui crescita forse Microsoft ha frenato, o forse ha promosso (è appunto uno degli argomenti del contendere)– tutte le notizie al riguardo sono disponibili sulla scrivania di chiunque, in qualunque posto del mondo.

Duecentosette pagine di dura requisitoria (vedi www.dcd.uscourts.gov/ms-findings.pdf), firmate dal giudice Thomas Penfield Jackson, ripercorrono con minuziosa attenzione vent’anni di storia economica e tecnologica. Storia, ma se vogliamo anche romanzo di un’epoca.

Sotto accusa è in primis il sistema operativo MS-DOS, commercializzato da Microsoft per la prima volta nel 1981 e diventato il sistema operativo prevalente dopo che IBM lo adottò per i propri computer; sotto accusa anche i successivi sistemi come Windows (1985), Windows 95 (dieci anni dopo) e Windows 98. Si tratta, come è noto, di sistemi in parte commercializzati direttamente, ma –per la maggior parte– venduti ai produttori di computer (gli “Original Equipment Manufacturers” o "OEM") che installano i software sui propri PC pronti alla vendita.
Negli ultimi dieci anni la quota di mercato di Microsoft nell’ambito dei sistemi operativi è stata pari al 90%, ma la percentuale si è ora innalzata al 95% e gli analisti prevedono un’ulteriore crescita della quota di mercato nei prossimi anni.

Dunque, secondo la Corte Distrettuale della Columbia, Microsoft fa abuso di posizione dominante. Primo, perché la quota di mercato dei sistemi operativi Windows appare allo stesso tempo troppo grande e troppo stabile. Secondo, perché Microsoft protegge il proprio business creando grosse barriere all’ingresso di nuovi soggetti (come l’obbligo, da parte degli OEM di installare anche il browser Explorer all’interno dei PC da vendere). Terzo, perché i consumatori non hanno a propria disposizione valide alternative a Windows. Chi desidera cambiare sistema operativo lo può fare, ma sostenendo costi relativamente elevati.

Difficile immaginare gli sviluppi della vicenda. In gennaio il Tribunale salvo imprevisti esprimerà la sua condanna. Ma ci sarà poi l’Appello. Intanto, non poteva tardare la risposta di Bill Gates. Lo stesso 5 novembre (vedi www.microsoft.com/presspass/misc/11–05letter/htm) indirizza una lettera a “Customers, Partners and Shareholders”, sostenendo che le “Microsoft’s actions and innovations” “have brought tremendous benefits to consumers, our industry and to the United States economy”.

Opponendo a Netscape il proprio browser Explorer –afferma Gates– Microsoft ha contribuito a migliorare la qualità del software disponibile sul mercato, ha abbassato il relativo costo e quindi “ha portato benefici ai consumatori”. Qui sta il cuore della tesi difensiva: non solo i consumatori non hanno niente da rimproverare a Microsoft, ma sono pienamente soddisfatti e sono dalla parte di Microsoft, perché è in virtù della azione di Microsoft che i prezzi si sono abbassati e il mondo intero si è potuto avvicinare all’uso di strumenti che hanno migliorato la qualità del lavoro ed in genere della vita. Quindi –implicita conseguenza di questa tesi– le azioni legali non sono che l’ingiustificata ultima arma di concorrenti –IBM, Apple, Netscape, Sun– che non hanno saputo competere sul mercato.

Che credito possiamo dare alla tesi di Bill Gates? Si può innanzitutto dire che la “customer satisfaction” non può in ogni caso essere l’unico parametro di giudizio. Anche il liberissimo mercato statunitense è soggetto ad alcune regole etiche: anche nel caso il cliente fosse del tutto soddisfatto, resta illegittimo l’uso della posizione dominante come arma per stroncare i concorrenti.

Ma poi: è vero che i clienti sono soddisfatti? Siamo di fronte ad un tipico caso di profezia che sia autoavvera. Se un cliente non ha potuto provare un sistema operativo diverso da Windows, quanto vale il suo (eventuale) giudizio positivo su Windows?

A ben guardare, il caso dimostra in modo esemplare i limiti non solo delle rilevazioni della customer satisfaction, ma di tutte le attività di customer care. Il cliente potrò dichiararsi del tutto soddisfatto, e potrà apprezzare di essere ‘coccolato’. Questo non significa che sia determinato ad essere fedele. La satisfaction dimostrata rispetto all’offerta di un fornitore –che oltretutto, essendo l’unico, è meglio tenersi buono– è una cosa. La loyalty –la vera fedeltà, confermata anche in presenza di scelte ugualmente appetibili ed accessibili– è tutt’altra cosa. Questo Bill Gates lo sa bene, ma preferisce non dirlo.

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