BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 06/04/2009

 

RISORSE UMANE E NON UMANE

di Francesco Varanini

Premessa
Ho scritto più volte su Bloom che Persone & Conoscenze, rivista cartacea, è la prosecuzione di Bloom con altri mezzi. Questo non implica certo la perdita di autonomia di Bloom, l'annacquamento dell'identità di Bloom. Implica però comunque una relazione ed uno scambio.
Persone & Conoscenze, a sua volta, ha generato una serie di incontri, quest'anno dedicati al tema. 'Nuovi modi per lavorare insieme'. Il 12 febbraio scorso a Roma, il 19 marzo scorso a Bari. Prossimo incontro il 6 maggio a Bologna. Poi prima dell'estate Milano, e in autunno Torino e Padova. (Vedi www.este.it)
Il titolo che inquadra gli eventi, Risorse Umane e Non Umane, continua a piacermi: parla del confine tra l'area Risorse Umane e l'area Information Technology, un confine sfumato, molto più sfumato di quello che sembra: perché senza strumenti tecnologici è impossibile conoscere le persone e farle lavorare insieme. E perché sempre più attenzione è opportuno porre alla conservazione e allo scambio e all'utilizzo di conoscenze non strutturate. Di queste conoscenze, e cioè di quello che sanno e che sanno fare le persone che hanno lavorato in azienda ieri e delle persone che lavorano oggi, di queste conoscenze, di queste risorse non umane, ma frutto della mente e del lavoro degli umani  -credo- dovrebbe occuparsi la Direzione del Personale. (Lasciatemela chiamare così, nonostante la tendenza a dire Risorse Umane, o RU, o Human Resource, o HR),
Così Risorse Umane e Non Umane, rimanda, per stare su temi cari a Bloom, rimanda alla connessione, all'accoppiamento strutturale tra mente umana e macchina. E cioè all'intendere il computer non tanto come macchina per manipolare simboli, ma come mera protesi della mente umana. Così, tra l'altro, Risorse Umane e non Umane ci rimanda alle pagine illuminanti di Philip Dick. Siamo su questo confine, il confine tra uomo e macchina è sfumato, senza il mio persona computer e il mio palmare non sarei me stesso.
Ecco dunque questi incontri-confronti,  il 12 febbraio scorso a Roma l'incontro sta per cominciare, i pensieri mi girano in mente mentre mi preparo a svolgere il mio ruolo di coordinatore delle tavole rotonde. (La chiave autobiografica mi appare sempre importante. Normale fare una relazione degli interventi dei relatori. Ma sugli interventi influisce grandemente la presenza del chairman. Cosa ha in mente il chairman?).

Prima
La sala si riempie, qualcuno ancora entra, c'è un clima quasi festivo, stiamo facendo una cosa diversa, ogni tanto ci vuole, invece di andare al lavoro come al solito siamo qui, tutti abbiamo scelto di essere qui, una occasione di incontro, ci si riconosce, ci si ritrova, si scambiano sorrisi, saluti, due parole, qualcuno è ancora fuori a conversare, ognuno di noi appartiene ad alcune reti di relazioni, mi fa piacere notare -per quello che posso comprendere dal mio punto di vista, dalla mia collocazione all'interno di reti diverse- mi fa piacere notare che reti diverse si mischiano, si contaminano. Vedo persone che non vedevo da tempo, vedo persone che credevo appartenere a reti diverse chiacchierare insieme.
Spengendo il cellulare vedo che è arrivato qualche messaggio, qualcuno mi dice che non è potuto venire, saluti e auguri. Quasi tutti orami hanno preso posto.
Anch'io, con i relatori della prima tavola rotonda sono al mio posto, mi guardo intorno, penso che il bello di questi momenti non sta nell'eseguire qualcosa di programmato, ma nell'accettare quello che succede, nel far sì che succeda qualcosa, siamo qui perché qualcosa emerga dall'incontro, qualcosa di utile per i presenti. Un discorso collettivo coinvolge non solo chi parla, ma anche chi ascolta. Chi oggi ascolta domani parlerà, e viceversa.
Una delle persone invitate a parlare mi aveva chiesto prima, in una di quelle conversazioni via mail che sono vive come e più di un incontro faccia a faccia, mi aveva chiesto perché non eliminare il tavolo dei redattori, perché non andare oltre la normale disposizione da convegno, perché non fare qualcosa di diverso, “grazie per le precisazioni e mentre leggevo mi veniva in mente un'idea: sarebbe possibile creare una situazione logistica del convegno in linea con l'approccio non convenzionale (ad esempio come il Teatro Studio di un tempo, con i relatori al centro della sala o magari sparsi all'interno del pubblico)? Oppure è un'idea folle?”.
Ora, siamo qui effettivamente sopra la pedana, al tavolo dei relatori, ripenso a quella domanda e alla mia risposta. Sono d'accordo, se appena la sala che abbiamo a disposizione ce lo permetterà la prossima volta elimineremo questa separazione, no, non è una idea folle, solo voglio ricordare che il vincolo della disposizione fisica non è mai un vincolo assoluto, sta a noi, a noi che stavolta parliamo abbassare le barriere, il clima si crea se siamo capaci di muoverci nella rete di relazioni che legano i presenti, ciò che abbiamo da dire possiamo dirlo solo guardando in faccia le persone, niente slides power point, non un discorso preconfezionato da recitare. Scambi di idee, un ritmo veloce. Non siamo qui per esibirci, siamo qui per lasciare una testimonianza fondata in una esperienza personale, se lasceremo i presenti, alla fine, desiderosi di maggiori approfondimenti, se ci lasceremo tutti con l'idea che i temi meritano maggiori approfondimenti, se questo, come spero, succederà, allora avremo raggiunto il risultato che mi prefiggo.
Ho in mente il ricordo del giorno prima. Partecipavo a un convegno in veste di relatore. La distanza tra chi parlava e chi ascoltava era palpabile. Ognuno faceva il suo discorso, chiuso in se stesso. Nessuno rispettava i tempi. Lo stesso chairman appariva annoiato.
Ora qui oggi stiamo per cominciare. La sala è percorsa dal brusio, devo prendere la parola, vorrei che la mia voce non fosse troppo diversa, vorrei che riprendesse il filo delle parole che immagino i presenti si stiano scambiando.  Guardo le persone di fronte a me. Abbiamo scelto tutti di essere qui, se ce andremo via con in mente qualche idea più chiara, qualche spunto inatteso, il nome di qualche persona che ci si ripromette di conoscere meglio, se questo accadrà, sarà già molto.
Inizio a parlare. Ricordo quell'aneddoto del professore che non sa se il giorno dopo potrà tenere la sua lezione, e allora dice al suo giovane collaboratore: se domani alla tal ora non sono qui, metti sulla cattedra questo registratore. Non hai da fare altro che accenderlo, la lezione è registrata. Il giorno dopo il professore effettivamente all'ora fissata per la lezione non c'è. Ma arriva non molto dopo. E pensa: vado in aula comunque, così vedo quanti studenti ci sono eccetera eccetera. Si affaccia alla porta dell'aula e vede questo: il suo registratore, naturalmente sulla cattedra. E sui banchi degli studenti, altrettanti registratori. Ecco, intendo dire, nessun di noi qui è un registratore.

Dopo
Rifletto su come è andata, insieme a tutti coloro che sono riuscito ad ascoltare, insieme a chi ha parlato, a chi ha ascoltato, a chi ha organizzato. Come sempre in questi casi, come  al termine di ogni incontro di formazione, mi trovo a ragionare sui commenti. Trovo utili e fondati commenti che partono da punti di vista diversi, e che leggono in modi molto diversi l'esperienza vissuta, e che apprezzano e criticano cose diverse.
Ci siamo detti che non aveva senso eludere il contesto: siamo in un momento di crisi. Ci siamo scambiati opinione sul come affrontare questo momento. Non credo che un incontro di mezza giornata possa offrire ai presenti  soluzioni, strategie concrete. Portarsi a casa qualche dubbio e qualche idea inattesa per me sarebbe già molto. 
L'idea inattesa appare se si è disposti a non stare troppo strettamente chiusi dentro un tema. Se la situazione di mercato, il clima di sfiducia, ci impongono di muoverci in modo nuovo, credo conveniente lasciare spazio a ciò che sul momento ci sembra utile dire. Non mi preoccupo perciò se i contenuti non sono sempre stati strettamente in linea con le tematiche preannunciate.
Continuo anche a considerare un pregio dei nostri incontri il disinteresse per l'esibizione di  professionalità nel modo di porsi e di parlare. Cosa è la capacità di public speaking? Talvolta è una tecnica che nasconde il vuoto. A cosa servono slides power point? Non di rado semplificano oltremisura, spingono alla banalizzazione.
E' sempre difficile trovare un equilibrio tra esigenze diverse: chiarezza, completezza, varietà, spazio per tutti. Invitare i relatori a esporre a braccio, in pochi minuti, senza il supporto di slides, è stato un invito a giocare senza rete. Se avessimo concesso più tempo a meno relatori, penso che avremmo tolto qualcosa ai presenti. La finestra di tempo per il dibattito finale era per forza di cose limitata.
Vorrei solo che tutti le persone che hanno parlato avessero lasciato l'impressione di essere state comunicative, sincere e disinteressate.
Per quanto mi riguarda, penso giusto il suggerimento di chi mi consiglia di essere più presente nel dibattito, tirando le fila e mirando alla sintesi, a costo di togliere qualche istante ai relatori,
Credo che i temi fossero importanti. Come si può lavorare meglio insieme (era il tema della prima tavola rotonda). Come le tecnologie possono aiutarci a costruire contesti di lavoro efficaci (era il tema della seconda tavola rotonda). Come sia importante accettare l'idea che siamo tutti docenti e tutti discenti (era il tema della terza tavola rotonda). Rileggendo ora le parole di chi ha parlato, mi sembra che, lavorando insieme, molte cose utili siamo riusciti a dircele.

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