BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 27/04/2009

 

QUALE GATTO MANAGERIALE PER PRENDERE I TOPI DI OGGI?

di Francesco Varanini

Nuove regole
John Maynard Keynes agli inizi degli anni ’30, di fronte alla crisi e al necessario cambiamento delle regole che governavano l’economia, scriveva più o meno: non mi importa se le nuove regole vengono scritte dal governo di coalizione nazionale in Gran Bretagna, dal New Deal di Roosevelt, dalla pianficazione sovietica o dal corporativismo italiano.
L’importante è che le nuove regole arrivino e vengano messe in pratica.
Ritrovo la pragmatica presa di posizione di Keynes in una frase del leader riformista cinese Den Tsiao Ping: “non importa di che colore è il gatto, basta che prenda i topi”. Echeggia qui, per quello che possiamo capire noi occidentali, una certa millenaria saggezza Zen, e forse allo stesso tempo un richiamo a Confucio. Ma il senso è quello: non badate all’apparenza ideologica, a superficiali differenze. C’è una sostanza comune. Le regole sono in ogni caso grosso modo le stesse, e consistono in un governo dell’economia, attraverso politiche macroeconomiche, da un lato; e dall'altro -necessari complemento- nella 'presa del potere' da parte di una nuova figura sociale, tecnici specializzati nel governare le organizzazioni.
Sottolineo un aspetto non trascurabile ma spesso sottaciuto: quei tecnici -specializzati nel guidare le organizzazioni verso obiettivi assegnati- erano chiamati allora in inglese, e sono chiamati oggi in tutto il mondo, manager.
Le organizzazioni hanno comuni esigenze di leadership e di controllo, quale che sia lo scopo e la ragione sociale. Il manager è un manager dovunque, non conta il colore politico né la lingua né la cultura né il luogo geografico.
Quali erano i compiti affidati al manager, provo a dirlo in poche parole.
Orientamento allo sviluppo e alla crescita. Pianificazione e controllo. Pace sociale garantita attraverso gestione del consenso e piena occupazione.
Questo modello è evidentemente crollato.
L'orientamento allo sviluppo e alla crescita viene messo in discussione per motivi sistemici e ecologici: lo sfruttamento delle materie prime del pianeta ha un limite intrinseco; la stessa crescita dei consumi non può essere considerata illimitata.
La pianificazione e il controllo si scontrano con la complessità dei sistemi. Non tutto può essere controllato e pianificato. Pianificazione e controllo passano attraverso metriche e strumenti di rilevazione del valore che allontanano dall'economia reale. Detto altrimenti, è il dominio della finanza sulla produzione: si creano così bolle di valore apparente che alla lunga non possono che sgonfiarsi, o peggio, scoppiare.
La gestione del consenso e la piena occupazione, da lunghi anni, ormai, sono state sacrificate sull'altare della finanza. L'opinione e il consenso di chi lavora materialmente contano poco, conta l'opinione e il consenso di opera sul mercato della finanza. E il consenso di chi lavora materialmente è comunque gestito sempre più attraverso 'persuasione occulta': comunicazione e immagine, pubblicità. Mentre, in quanto risorsa presente sul mercato, la persona è la prima ad essere sacrificata. Cosicché, di fronte alle prime avvisaglie di crisi, la prima misura è sempre disinvestire nelle persone: basta con il sostegno alla crescita delle persone, basta con sviluppo e formazione, e via invece con i licenziamenti.
Oggi , come ottanta anni fa, da destra e da sinistra si invocano nuove regole. Tutti si riempono la bocca di parole, dicendo che solo con scelte discontinue potremo uscire dalla crisi.
Però, allo stesso tempo, si sente dire ogni pie' sospinto che stiamo già uscendo dalla crisi. Se stiamo   uscendo, questo è un problema, perché stiamo uscendo male. Stiamo uscendo lasciando tutto come prima.
Nulla di diverso infatti è emerso. Nessuna nuova regola ancora. Di quella rivoluzione che aveva portato all'emergere della figura del manager non se ne vede nemmeno l'ombra.
Perché tutto non si risolva in una prosecuzione dell'Ancien Régime, magari solo mascherato da  qualche parola nuova, dovremmo seriamente interrogarci: quale può e deve essere il ruolo del manager oggi. Un manager capace di non dare per scontato il contesto, capace di muoversi dentro nuove regole e anzi di creare nuove regole. Non importa di che colore, ma adatto a prendere oggi i topi.

Management e controllo, parole nuove ottanta anni fa, ormai vecchie
Sui banchetti di libri usati si trovano spesso impagabili perle. Ho qui in mano la mai copia de La rivoluzione dei tecnici, Arnoldo Mondadori Editore, 1946. In edizione originale, il libro, di James Burnham, era apparso nel 1941 con il titolo The Managerial Revolution. (1)
Si legge nel frontespizio dell'edizione italiana che si tratta di una Edizione provvisoria: “Le enormi difficoltà tecniche e di approvvigionamento di materie prime ci costringono a rinunciare per il momento a quella cura e perfezione tipografiche che sono tradizionali nella nostra Casa”. La frase la dice lunga a proposito della decadenza dell'editoria: vi assicuro che è un libro composto e impaginato e confezionato benissimo. Un modello dal quale restano lontani i libri che troviamo in libreria oggi.
L'economia è in mano a 'tecnici'. Burnham scrive dieci anni dopo Keynes, e può trarre qualche bilancio.
Interessante la Premessa alla traduzione italiana, a cura del traduttore, che si firma E. i. p. Dove tra l'altro ci si sofferma sui problemi linguistici “che si sono presentati durante il lavoro”. Alcuni “vocaboli e dizioni” appaiono al traduttore  difficili da rendere in italiano. Perciò, il traduttore avverte, “si è tradotto con le parole che più si avvicinano all'intendimento dell'autore per essere comprese con identità di significato”.
Su due parole in particolare ci si sofferma: manager e control.
“La parola manager ha un significato più vasto di dirigente, che può essere interpretato, più che tradotto, in tecnico-dirigente. Così management è: direzione tecnica”.
“Altra parola difficile da rendere in italiano è control. Controllo suggerisce a noi che l'attività del personaggio che viene a riscontrare il nostro biglietto in tram e in ferrovia. La parola inglese ha un senso più forte: non vuol dire solo 'riscontro' e 'revisione' o 'stretta sorveglianza'; vuol dire dominio eminente sulla cosa, e tale che, chiunque rientri in quella cosa in un rapporto qualsiasi, si troverà per questo riguardo in posizione subordinata rispetto ha chi ha il control.”
Non a caso è andata a finire che la parola manager si è poi rinunciato a tradurla. Si è invece tradotto controllo, forse ancora oggi fraintendendo il senso dell'espressione inglese, che così bene descrive il traduttore.
Oggi ci appare evidente che un management fondato sul control è insufficiente. Ci vorrebbe una nuova Managerial Revolution. Forse anche  una nuova parola percorrere dare nome al leader che  appare necessario.


1 - James Burnham, The Managerial Revolution: What is Happening in the World,New York: John Day Co., 1941

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