BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 21/09/2009

 

LA FINANZA COME GIOCO DEL POKER

di Francesco Varanini

Un titolo sul Sole 24 ore, “Da ingegnere della finanza a mago del poker online”. La crisi della finanza, di un certo modo di fare finanza, è coincisa con il boom del poker. E' possibile, credo, cogliere connessioni tra i due trend.
Potremmo dire che non c'è soluzione di continuità tra il trading on line e il giocare a poker. In entrambi i casi, si scommette il denaro sulla capacità di intercettare situazioni emergenti. Una discontinuità sta semmai nel fatto che chi fa trading on line può mettere in gioco denaro proprio, ma anche denaro altrui che gli è stato affidato in gestione. Mentre se gioco a poker, metto in gioco denaro vero o virtuale, ma sempre denaro di mia proprietà.
Non c'è da meravigliarsi che persone espulse per un verso dal mercato del lavoro, rientrino in scena su un mercato parallelo che premia le stesse attitudini e le stesse abilità: gestione del rischio rapidità di decisione, lettura dei segnali deboli, consuetudine con l'intangibile.
Ma si può anche allargare il discorso. Si può ragionevolmente dire, senza che l'analogia appaia forzata, che un certo deleterio modo di intendere e di imporre al mondo la finanza che oggi domina il mondo è giocare a poker. Giocare a poker con il denaro altrui.
Il denaro affidato alle istituzioni finanziarie, è presto spogliato di informazioni relative alla fonte, è presto spogliato dagli indirizzi che colui che mi ha affidato il suo denaro aveva in mente. Lo spazio aperto alle intenzioni di coloro che forniscono il denaro è ben delimitato. L'asimmetria di potere e di informazioni permette alla finanza di fare ciò che vuole. Più l'istituzione finanziaria è un'organizzazione di grandi dimensioni, globalizzata, più aumenta il suo potere nell'imporre le proprie scelte negli impieghi. Più le istituzioni finanziarie sono integrate tra di loro, più l'offerta di servizi della finanza è priva di alternative, e quindi il comando della finanza risulta privo di alternative. E non a caso istituzioni finanziarie sono gigantesche e integrate tra di loro. Non a caso la finanza ha desertificato il suo intorno: non c'è spazio per un'offerta di servizi differente. La scelta è per tutti limitata a prodotti e servizi che la finanza decide di offre.
Oltretutto, concedere il denaro alla finanza non è una scelta, ma un obbligo. Il vincolo o giogo imposto a tutti dalla finanza, a persone fisiche e giuridiche, a singoli cittadini e a imprese grandi e piccole, e anche agli enti pubblici, agli stessi stati nazionali, sta forse sopratutto in questo: per risparmiare, per investire, ma anche per incassare i frutti del mio lavoro, per gestire il mio flusso di cassa, per gestire le transazioni con clienti e fornitori, per usare la mia ricchezza, devo passare attraverso le forche caudine della finanza, una finanza lontana da me, alla quale non importa chi sono, come vivo, e cosa desidero.
Devo passare attraverso la mediazione di un ente esterno da me, retto da proprie regole e da propri interessi. La finanza è un organismo vivente che si autoregola e che cerca la propria sopravvivenza. Ma la sua forza è tale che distrugge l'ambiente, desertifica il territorio. In fondo, non è che la finanza mi offra un servizio. Si impadronisce del mio denaro, lo inserisce in processi che autonomamente definisce, e mi restituisce il frutto di ciò che questi processi, per me incontrollabili, del tutto lontani dai miei interessi, hanno generato.
Potremmo dire: il nostro denaro è ramazzato e ammucchiato in un monte premi, ad uso e consumo di giocatori di poker che si siedono lì, ad un tavolo esclusivo. Ognuno di noi non può che sperare che il giocatore che sta giocando con il nostro denaro guadagni qualcosa, o perda il meno possibile.
Ma in ogni caso il giocatore guadagnerà o perderà non in base al valore di ciò che è stato apportato e ammucchiato lì. Non conta l'attività in base alla quale quel denaro è stato accumulato, non conta se quel denaro serve alla sopravvivenza o ad incrementare ricchezze già notevoli, non conta se quel denaro, nel mondo delle attività produttive, potrebbe generare nuova ricchezza. Conta solo che quel denaro, spogliato di ogni valenza etica, è in gioco sul tavolo da poker della finanza.
Perché l'analogia con il poker mette in luce anche questo: l'essenza della finanza, così come del poker, è il bluff. To brag, boast, to baffle, mislead. Vantarsi, millantare, confondere, trarre in inganno.  A qualsiasi valore costruito lavorando, si sostituisce il valore apparente millantato al tavolo da gioco. Il più abile, il vincitore, è chi è più capace a vendere fumo e ad ingannare. Difficile concepire qualcosa di più riprovevole da un punto di vista etico.
Questa immagine del monte premi e dei giocatori riuniti in un luogo esclusivo, intenti a contendersi la posta in gioco, bluff contro bluff, posso illustrarla meglio alla luce della storia di una parola: stakeholder.
La parola ci rimanda ad una scena primaria: un gruppo di giocatori d'azzardo riuniti in un luogo. Lì, attorno a un palo, stake, è raccolto il denaro messo in gioco. Lo stakeholder è, in origine, la persona che gode della fiducia delle parti, e che per tutti gestisce il monte premi, in attesa di redistribuirlo in base ai risultati del gioco. Così un antico istituto del diritto anglosassone chiama stakeholder il gestore fiduciario, per esempio il gestore di un blind trust. Così noi siamo costretti ad affidare la nostra ricchezza ad uno stakeholder. La finanza, in fondo è, in questo senso originario, lo stakeholder.
Poi l’espressione si è evoluta verso il senso attuale: ogni persona è uno stakeholder: ognuno ha il suo stake, la sua ricchezza, i propri valore da mettere in gioco, ha da difendere il proprio interesse.
Non può però, oggi come oggi, difenderlo nei fatti. Parlare di rispetto degli stakeholder è la foglia di fico della finanza. La finanza che abbiamo sotto gli occhi vive proprio del non tener conto degli interessi di coloro che le affidano il denaro.
Le regole di quel tavolo di poker, le scrivono gli stessi appartenenti al mondo della finanza. Sono regole tese a definire come si gioca questo poker, ovvero entro quali limiti, uguali per tutti, su può bluffare: quali informazioni sono disponibili ad ognuno, come si fanno le puntate, quanto e quando si può puntare, quando e come il monte premi viene ripartito.
Ma appunto, di fatto noi non possiamo sederci al tavolo. Per quello che riguarda tutti coloro che non appartengono al mondo della finanza, la regola che vige è l'esclusione.
Siamo obbligati a dare i nostri soldi perché qualcuno li possa giocare a poker. Ma noi non possiamo giocare.

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