BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 23/11/2009

 

NON AVERE PAURA

di Francesco Varanini

Sono nell'ufficio di una persona che conosco, una persona che occupa una posizione rilevante in una grande azienda. Mi dice: “Dobbiamo stare attenti a come si parla, con chi si parla. Mai come ora ho avuto la sensazione che la porta si possa aprire e che possa entrare  qualcuno a dirmi: 'il tuo tempo qui è finito, devi andartene'.”
Qualcun altro mi fa sapere: “Non posso venire a parlare in un Convegno, le cose che potrei dire sono troppo lontane da quello che vivo quotidianamente. Non posso dire come va davvero la nostra azienda. Passo il tempo a chiudere rapporti di lavoro; e so che queste persone non troveranno mai più lavoro”.
Un giovane amico lavora in un centro di ricerca europeo di una multinazionale americana. Il centro è stato chiuso. E così, un significativo numero di brillanti ricercatori a spasso. E anche pochissime notizie su quanto è successo, sulla Rete e sui media, perché -non possiamo fare a meno di ricordarlo- la comunicazione è pilotata e per nulla trasparente. Dico a questo amico se vuole scrivere qualcosa a proposito di quello che è successo. Mi risponde che è meglio di no, il mondo è piccolo. La grande azienda, si ha motivo di temere, monitora i mezzi di comunicazione, esprimersi in pubblico vorrebbe dire fare più fatica a trovare un'altra collocazione.
Ci sono ricerche che premiano i posti dove è più bello lavorare. Ma purtroppo ci sono anche aziende premiate per essere uno dei posti dove è più bello è lavorare, dove però, oggi, si lavora malissimo, in un clima di paura. Paura  di perdere il proprio posto. Paura usata, di fatto, come stile di gestione.
Così le persone sono costrette in una situazione di impotenza; in un paradosso che non può non essere fonte di depressione. Vivo una situazione ingiusta. Ma non posso denunciarla, perché denunciandola peggiorerei ulteriormente la mia situazione.
E così si diffonde, ad ogni livello, anche a livello dirigenziale, un atteggiamento depressivo. Meglio non esporsi, perché dovrei muovermi per primo, in questo momento non me la sento, non posso reagire perché c'è qualcuno che potrebbe farmela pagare.
Parlo di questo con un amico che occupa una posizione importante in una associazione professionale. Mi dice: “Forse stai esagerando”. Non credo di esagerare, credo semmai che anche noi per non soffrire troppo della situazione ci siamo anestetizzati, scegliamo di non sentire, di non cogliere troppo i segni, perché anche noi in fondo ci sentiamo impotenti. E preferiamo non confrontarci con il senso di impotenza.
Vedo l'impotenza legata ad una situazione generale, che tocca anche le aziende che -per capacità di chi la dirige, o anche solo per il mercato in cui opera- vanno bene. I manager sono costretti ad operare in un contesto sfavorevole -la politica  economica del nostro paese offre ben pochi aiuti strutturali per far fronte alla crisi. I manager non riescono a vedere con quali strumenti affrontare un profondo cambiamento nel mercato. I manager non vedono leve con le quali motivare le risorse interne. E se i dirigenti non ci credono, come può crederci un lavoratore che già vede a rischio la sua modesta retribuzione.
Così, tristemente, più che lavorare per lo scopo dell'impresa, per la produzione di ricchezza a partire dalle risorse interne, troppi manager fungono da ambasciatori degli interessi della finanza all'interno delle imprese. Questa opacità nei fini mi pare ormai evidente: l'impresa persegue i suoi autonomi fini solo nella misura in cui glielo permette uno stakeholder troppo ingombranti: istituzioni finanziarie, proprietà che più che investire si muovono con l'atteggiamento del rentier.
Così, per questo via, l'immagine dell'impresa come è, come è vissuta quotidianamente da chi lavora -l'impresa come organismo sociale, come cultura, come potenziale fonte di ricchezza- scompare dietro l'immagine confezionata da esperti comunicatori per il mercato della finanza. Una immagine schematica, fatta di pochi indicatori. Del valore dell'impresa, finisce per essere riconosciuto solo il valore che appare evidente agli occhi degli analisti finanziari.
Eppure credo che molto si possa fare. Credo che nessuno, più di chi lavora alla Direzione del Personale, dovrebbe, ma anche potrebbe, farsi carico di questa situazione. La capacità dell'azienda di far fronte alla situazione sta nel coinvolgere le persone. Dovremmo ricordare che in ogni organizzazione ci sono energie e capacità e competenze preziose che non abbiamo saputo portare ancora alla luce.  Ma le persone si coinvolgono evitando di imporre loro una lettura della situazione che appare falsa e illusoria. Anzi, accettando la lettura della situazione che chi lavora nell'organizzazione ritiene vera. Perciò ritengo specialmente importanti contributi come quello di Luca Benazzi: non la voce di un dirigente o di un consulente o di un professore, ma la voce sincera e addolorata eppure speranzosa di una persona che ama il suo lavoro, e non chiede altro che di poter continuare a lavorare.

Pagina precedente

Indice dei contributi