BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 13/01/2010

 

STUDIATE E VIAGGIATE ALL'ESTERO, MA TORNATE A LAVORARE IN ITALIA (1)

di Francesco Varanini

Si è letto sui giornali di come la vita sia difficile in Italia per i giovani che hanno talento, si è letto di come il mercato del lavoro offra scarsissimi spazi per chi cerca il primo impiego, e di come il nostro  paese garantisca scarsissimo sostegno all'innovazione e alla ricerca.
Queste affermazioni non appaiono discutibili. Le cose stanno così. Ma credo che possiamo guardare il quadro con un'attenzione più fine.
Intanto, dovremmo mettere in discussione il concetto di 'talento'. Chi sono i talenti? Se per talenti intendiamo (solo) coloro che hanno concluso con pieni voti un iter di studi nelle più rinomate università, o coloro che sono usciti dai soliti master, non credo che siamo sulla buona strada. Spesso questi giovani non sono i più talentuosi. Sono solo i più normali.
Troppo spesso si finisce per offrire i pochi posti di lavoro con prospettive di sviluppo a giovani predisposti ad una carriera manageriale standard. Mentre si sa che il talento si sposa spesso con l'eccentricità, con una qualche anormalità. E poi, il talento che nella storia anche recente nel nostro paese si è manifestato nella creazione di piccole imprese, quasi mai passa attraverso quelle università e quei master.
E poi, ancora, talento di cui sono potenzialmente portatori gli immigrati, nessuno si preoccupa: non penso al pur utile talento di giovani ricercatori che la nostra università ed i nostri centri di ricerca non sanno accogliere, o non possono accogliere per assurdi vincoli burocratici. Penso ai talenti nascosti tra gli immigrati, che destiniamo sempre e comunque alle aree più marginali del mercato del lavoro.
Insomma, il talento è pietra preziosa da scoprire. E anche i leader di opinione che dai giornali e nei convegni tuonano contro la scarsa attenzione per il talento, non so quanto fanno davvero e in concreto per portare alla luce il vero talento.
Così, credo con troppa leggerezza e con una punta di cinismo, si finisce per augurare al proprio figlio di andare a lavorare all'estero.
Cinismo mi pare espressione adeguata: nell'antica Grecia i cinici si distinguevano per il dispregio che mostravano nei confronti di convenienze e opinioni consuete. E questo è proprio ciò di cui oggi abbiamo bisogno. Ma poi il cinismo è virato in sprezzo e beffarda indifferenza, insomma in una sorta di arroganza intellettuale.
A mitigare l'affermazione non so se basta affermare la speranza che il figlio non segua il paterno consiglio. Così tra l'altro si scarica sulle spalle dei figli una responsabilità che è nostra, di una generazione e di una classe dirigente che avrebbe dovuto creare terreno favorevole, o almeno praticabile, per i nostri figli – e non ne siamo stati capaci.
Se all'estero persone come noi appartenenti alla classe dirigente, ed in particolare persone come noi operanti tra la Direzione del Personale, la direzione d'impresa in senso lato, e l'Università, se all'estero persone come noi sono stati capaci di creare un terreno migliore, con chi dovremmo prendercela se non con noi stessi?
Mi dico: non chiamiamo in causa i nostri figlioli, lasciamo loro la speranza e alimentiamola semmai, la speranza di poter costruire un futuro migliore. E intanto rimbocchiamoci le maniche e facciamo quello che possiamo, quello che ci compete. Qualcosa di più ognuno di noi può fare. Non credo sia mai giusto dire a se stessi io 'ho fatto abbastanza, sono gli altri che non hanno fatto'. Se esportiamo il senso di colpa, se rinunciamo ad assumerci altre, anche gravi responsabilità, non diamo certo un buon insegnamento a chi si accinge a costruire la propria vita di persona adulta.
Ai giovani direi semmai: andate a studiare all'estero, andate a vivere all'estero per un po', confrontatevi con le differenze. (Proprio di questo ci parla benissimo il contributo di Marco Bruschi che pubblichiamo su Bloom in questa stessa data).
Ma lasciate la porta aperta all'idea di ritorno. Pensate anzi che potrete riuscire, con l'esperienza accumulata  studiando e viaggiando, che ce la potete fare a costruire un paese migliore di quello che vi abbiamo lasciato.


1 - Una versione parzialmente diversa di questo testo appare come Editoriale sul numero di dicembre 2009 di Persone & Consoscenze (www.este.it)

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