BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 22/03/2010

 

L'UFFICIO DEL PERSONALE. VIAGGIO ATTRAVERSO QUALCHE ROMANZO OLIVETTIANO (1)

di Francesco Varanini

Balle psicologiche
Ivrea, 24 dicembre 1955, vigilia di Natale: Adriano Olivetti parla ai dipendenti riuniti nel Salone dei 2000. Ricorda il passato. “Verso l'estate del 1952 la  fabbrica attraversò una crisi. Le macchine si accumulavano ne magazzini di Ivrea e delle Filiali, a decine di migliaia. L'equilibrio tra spese e incassi inclinava pericolosamente. A quel punto c'erano solo due soluzioni: diventare più piccoli, diminuire ancora gli orari, non assumere  più nessuno; c'erano cinquecento lavoratori di troppo, taluno incominciava a parlare di licenziamenti. L'altra soluzione era difficile e pericolosa: instaurare immediatamente una politica di espansione più dinamica, più audace. Fu scelta senza esitazione la seconda via”.
È “il più grande sforzo costruttivo ed espansivo che la nostra ditta abbia intrapreso”, “frutto di un calcolo ottimista dell’avvenire della nostra economia”. “Una partita a scacchi nella quale si gioca l'avvenire della nostra fabbrica, dove è in gioco il futuro dei vostri figli”.
In questo quadro, dice, “l'Ufficio Personale Impiegati è stato completamente riorganizzato dal 1953”.
Subito dopo, riferendo di nuovi stabilimenti da poco entrati in produzione, eccolo parlare dell'Ufficio Personale di Fabbrica. “Il nostro Ufficio Personale operò alacremente, nonostante le gravi difficoltà di ogni ordine, e si è andato via via perfezionando”. “Il lavoro di questi uffici è arduo, spesso incompreso; ma questi organi diventano a poco a poco più sensibili e più esatti onde le ingiustizie e gli errori purtroppo frequenti nel passato, è giusto il riconoscerlo, vanno man mano riducendosi. Non cesseremo ogni sforzo per dare a questo così delicato meccanismo uomini, autorità e mezzi crescenti”.
Olivetti non intende un Ufficio Personale dedito esclusivamente a definire mansioni e retribuzioni, e alla gestione delle Relazioni Industriali. Sebbene allora l'organizzazione del lavoro fosse rigidamente fondata sullo scientific management, e sebbene la stessa Commissione Interna ironizzasse nei confronti di quelle che considerava “balle psicologiche”, Olivetti considerava indispensabile la presenza in fabbrica di psicologi e assistenti sociali. 

Sono un impiegato qualsiasi
In quello stesso 1955, tra gli altri, era stato inaugurato lo stabilimento di Pozzuoli. Lì, per incarico di Adriano Olivetti, lavora alla selezione del personale Ottiero Ottieri. L'esperienza è fonte di un notevole romanzo autobiografico, Donnarumma all'assalto. Dove però già nella prima pagina, il protagonista chiarisce la sua posizione: “Io non sono il direttore. Sono un impiegato qualsiasi”. E nella seconda ribadisce: “Non sono il direttore. Sono un impiegato addetto all'ufficio del personale”. 
Per quei luoghi, Ottieri pretende di aver conservato per tutta la vita una intensa nostalgia. Ma quando Adriano Olivetti gli propone di restare a Pozzuoli come Direttore del Personale, Ottieri rifiuta, sia l'incarico, sia il ruolo di dirigente. Teme, dice, di non aver abbastanza tempo per scrivere. E torna a Milano con un contratto di consulenza a metà tempo.
Le ragioni dell'abbandono, del resto, sono già ben chiare in Donnarumma all'assalto: il protagonista non riesce a identificarsi con la propria professione di uomo del Personale, non crede in quello che fa. Guardando i volti patiti e smunti di chi si presenta alla selezione non riesce a pensare che sta offrendo loro un'opportunità. Non riesce a credere davvero nel progetto olivettiano: portare quaggiù il lavoro, anziché portare i lavoratori al Nord. Resta invece vittima del senso di colpa: “per sfuggire alla colpa non bisognava impiantare una fabbrica quaggiù”.

Io fui ingannato
Tre anni dopo Ottieri, nel 1956, è assunto Paolo Volponi. E' chiamato subito a coprire un ruolo importante: Direttore dei Servizi Sociali. Nel 1959 sposa Giovina Jannello, assistente personale di Adriano Olivetti.
Il 27 febbraio 1960 Adriano Olivetti muore di infarto durante un viaggio in treno da Milano a Losanna. Volponi intanto prosegue la sua carriera nell'area del Personale. Nel '66 è nominato Direttore delle Relazioni Aziendali. Resta nell'incarico fino al 1971, quando lascia l'azienda per contrasti con il presidente, Bruno Visentini.
Intanto, nel 1962, aveva pubblicato il suo romanzo d'esordio, Memoriale. A narrare in prima persona, è qui un operaio. Albino Saluggia, reduce di guerra, viene assegnato al lavoro in fabbrica dall’Ufficio di Collocamento.
“La fabbrica, grandissima e bassa”, “immobile come una chiesa o un tribunale”, è vista come luogo disumano e alienante.  “Avrei dovuto capire che dalla mia esagerata aspettativa, dalla mia sicurezza d'entrare nella fabbrica, sarebbero cadute su di me disgrazie nuove e ben tristi”, racconta Albino.
Ma di chi è la colpa? Anche qui, come per Ottieri, la colpa è dell'impresa, e in special modo della Direzione del Personale. “Posso incolpare con sicurezza quei momenti smemorati di fronte all'Ufficio del Personale”. “Se quell'Ufficio Manodopera si fosse presentato come uno strumento del male, io sarei fuggito o l'avrei vinto con tutta la mia forza. Invece io fui ingannato per quanto ero indifeso. Entrai in quell'ufficio senza pensare affatto che la mia vita avrebbe potuto essere sconvolta”.
La vita e l'opera di Volponi resteranno segnate dalla delusione e dal postumo rifiuto per il ruolo di dirigente d'azienda, e sopratutto di uomo del Personale. Così già nel Memoriale, e così ancora nelle Mosche del capitale, romanzo dell'età matura, nel quale, più che in ogni altra sua opera, ricapitola la propria vita di manager.
Scrive nel 1983, rivolgendosi a Franco Fortini, poeta (e anch'egli, a suo tempo, impiegato in Olivetti): “Ho servito, ma non ho obbedito, manipolato, comandato e prescritto la centralità superiore degli interessi, mezzi, modi e fini dell’industria”.

Fili sottilissimi
All'opera letteraria di Volponi e Ottieri possiamo avvicinare, ma anche contrapporre, l'opera -penso in particolare al primo romanzo, uscito nel 1977: Una cronaca- di Giancarlo Lunati.
Lunati lavora nell'area del Personale dell'Olivetti del 1957 al 1982, in posizioni via via più importanti, fino ad assumere il ruolo che era stato di Volponi. Ma a differenza di Volponi e Ottieri coltiva la propria vocazione intellettuale senza per questo abbandonare il ruolo di dirigente d'azienda. Lungi dal ripudiare questo ruolo, anzi, lo celebra nella propria opera.
Ottieri e Volponi trasformano Olivetti in un mito. “Egli non immaginava quanto lo temessimo e insieme avessimo bisogno di nutrire fiducia in lui”, si legge in Donnarumma all'assalto. E Volponi dedica alla memoria di Adriano Olivetti le Mosche del capitale, come a dire che salvare Olivetti, utopista fuori dagli schemi, è il modo per criticare ogni altro imprenditore e dirigente.
Al contrario, in Una Cronaca il protagonista critica l'ingegner Sassetti, che sarebbe Olivetti: “ogni sua iniziativa era legata a fili sottilissimi”, “l'intero castello di carta” è a rischio di rovinare al suolo “al primo alito di vento”. Alberto Cilleri, alter ego di Lunati, critica Olivetti perché crede nel suo progetto, e vuole che vada a buon fine. Come a dire: più l'imprenditore è visionario e utopista, più servono, per rendere concreti i sogni, dirigenti capaci di condurre con mano forte l'impresa.

Obblighi morali e nobili scopi
Nessuno dei romanzi che ho citato ha per protagonista un Direttore del Personale. Ma per mostrare come osserva il mondo il Direttore del Personale, e per dire quali sono i dolori che pesano sull'animo del Direttore del Personale, valgono certo più romanzi scritti da uomini del  Personale che romanzi che parlano in senso stretto di Direzione del Personale.
Così, possiamo notare, Ottieri e Volponi ci mostrano il disagio al quale il Direttore del Personale rischia di soccombere. Mentre Lunati ci mostra la fermezza, una fermezza che appare necessaria per coprire il difficile ruolo, ma che talvolta può apparire eccessiva: se sconfina nell'intransigenza, finisce per portare ad una presa di distanza dall'altro.
In fondo, potremmo dire che tutte queste pagine narrative ruotano attorno al significato profondo, ambivalente, del lavoro – una ambivalenza che Adriano Olivetti ben sintetizza, il quel 24 dicembre, parlando alle maestranze: “il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva e non giovi a un nobile scopo”.
Ottieri e Volponi sono tormentati dal timore che il loro lavoro non giovi ad un nobile scopo. Perciò cadono vittime del senso di colpa. Al loro comprensibile, ma deleterio, senso di colpa, Lunati risponde con il senso di responsabilità, l'atteggiamento che, credo, dovrebbe caratterizzare chiunque lavori al Personale.
Non si tratta di un lavoro qualsiasi. Ufficio del Personale. Officium : 'lavoro', 'dovere,' carica', 'obbligo morale legato alla funzione esercitata'.
Sta qui forse il senso profondo del compito “arduo, spesso incompreso” che la nostra famiglia professionale è chiamata ad assolvere: creare le condizioni perché ognuno possa lavorare nel modo più dignitoso, ma anche più fruttuoso.

Riferimenti bibliografici
Ottiero Ottieri, Donnarumma all'assalto, Bompiani, 1959, poi: Garzanti, 2004.
Paolo Volponi, Memoriale, Einaudi, 1962
Paolo Volponi, Le mosche del capitale, Einaudi, 1989
Giancarlo Lunati, Una cronaca, Scheiwiller, 1977, poi: Rizzoli (BUR), 1987


1 - Questo articolo è apparso su Direzione del Personale, 151, Dicembre 2009.  

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