BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 24/08/2010

 

L'iPAD E' UN VECCHIO LIBRO E STEVE JOBS UN GATTOPARDO

di Francesco Varanini

In questa stagione di crisi, non può essere negato il plauso a chi -quasi fosse dotato di una bacchetta magica- trova ancora una volta una killer application. E quindi muove le acque, apre spazi di mercato.
Dunque onore a Steve Jobs e all’iPad. Ma che tristezza vedere intelligenti e curiosi e creativi tecnici  e imprenditori muoversi pedestremente nella scia di Steve. E che tristezza nel cogliere il sospiro di sollievo che aleggia nelle case editrici -in particolare le più retrograde, abbarbicate al tradizionale modo di fare libri e periodici.
Steve Jobs, con l’iPad, offre la comoda via d’uscita dall’impasse in cui colpevolmente le case editrici si sono impantanate. L’iPad sembra cancellare l’arretratezza. L’iPad permette di illudersi: permette di credersi adeguati ai tempi – pur non avendo fatto nulla per capire e per cambiare.
Non critico l’orientamento a trarre profitto dalla situazione. Critico l’incapacità di guardare oltre la punta del proprio naso. Critico la pigrizia – da cui possono nascere solo business di poco respiro. Palliativi. Brodini caldi per tirare avanti qualche anno.
Chi produce conoscenza organizzata in testi -romanzi, poesie, saggi, articoli- si è trovato nelle condizioni di definire il proprio ruolo, il proprio modo di agire. Dico ‘chi produce’ sapendo di mettere in un mazzo figure diverse: autori, editor e redattori, editori, interpreti di varia natura: recensori e professori e via dicendo.
Il testo che ha sotto gli occhi l’autore mentre lo produce sul proprio computer è ben lontano dal testo ‘manoscritto’, a penna o con una macchina per scrivere. E’ un testo disancorato dal supporto, plastico, mutevole, sempre in fieri. Il testo riacquista la sua natura di tessuto, rete.
Mi limito qui a questi accenni. Ma è chiaro che da questa diversa natura del testo emerge un cambiamento nel ruolo dell’autore, così come, di seguito, del ruolo di editor e redattori, editori, interpreti di varia natura.
Non voglio considerare semplice il passaggio. Cambiare paradigma non è facile. Ciò è tanto vero che per descrivere il testo così come ci è messo a disposizione dal computer si è stati costretti ad inventare un nuovo temine: ipertesto. C’è dell’ironia in questo: la parola testo dice già tutto, ci parla di rete e di connessioni potenzialmente infinite. Ma per noi testo è sinonimo di libro. Non riuscendo a concepire un testo disancorato da un supporto -anche se così è, appunto, disancorato dal supporto, il testo che abbiamo sotto gli occhi- identifichiamo il testo con il libro.
Non a caso si parla di content, o contenuto. Il contenitore, il libro, prevale sul contenuto, il testo. Così si continua a ‘vedere’ il testo come inevitabilmente ingabbiato in una forma data a priori, il libro. Obbligati dalla incombente presenza della forma libro si continua a pensare il testo come se fosse sequenziale, con un inizio ed una fine predefiniti. Si continua a pensare il testo come oggetto chiuso, non guardando alla realtà che vede il testo come oggetto di interazione, di lavoro collaborativo, tra soggetti diversi. I ruoli dell’autore, dell’editor, dell’editore, dell’interprete non riguardano né la letteratura né il testo: discendono dal dominio della forma-libro.
La resistenza a cambiare, lo capisco, è grande. A ciò contribuisce l’ignoranza, la scarsa curiosità tecnologica, e direi sopratutto la speranza di tutti ‘gli operatori del settore’ di riuscire a difendere rendite di posizione che il vecchio contesto tecnologico garantiva.
Ed ecco che arriva Steve Jobs con il suo iPad. Rendiamo merito a chi sa fare la mossa efficace nel momento meno sbagliato. (Certo il momento in cui si è mosso Jobs è meno sbagliato del momento in cui si è mosso Jeff Bezos. Eppure trovo in Kindle più meriti che nell’iPad).
Ma in cosa sta il gioco di Jobs. L’avvento dell’iPad mette comodi tutti gli attori del processo - autori, editor, editori, interpreti. Tranquilli, tutto è come prima. Una sola banale, scontata, già da tempo annunciata differenza. Gli stabilimenti di stampa e confezione sono morti. Per il resto, tutto uguale. Il testo chiuso in redazione è pubblicato anziché su carta, secondo la tecnologia nota dai tempi di Gutenberg, tramite una nuova modalità. Resta però un codice chiuso. Che rende indispensabile la mediazione dell’editore. Che garantisce la permanenza come prima dei ruoli degli editor e degli interpreti. Che risolve il complesso tema del ‘diritto d’autore’ nel vecchio modo: attraverso la mediazione dell’editore.
Con l’iPad, si perpetua l’equivoco tra libro e testo. Il testo digitale, liberatorio frutto del computing, ci appariva nativamente disancorato dal supporto, plastico, mutevole, sempre in fieri, tessuto, rete. Eppure non viveva la vita che la sua natura gli permetteva, perché era poi stampato, chiuso nella forma libro.
Oggi, con l’iPad -strumento che appare come meraviglia tecnologica, manifestazione di quello stesso computing che aveva liberato il testo dalla forma-libro- tutto resta come prima, o finisce per essere peggio di prima: il testo è chiuso nella forma proposta all’universo mondo da Steve Jobs.
Gli editori di tutto il mondo pendono oggi dalle labbra di Steve Jobs. E si fanno per il futuro schiavi o ancelle del business di Steve Jobs.
La letteratura resa possibile dalla codifica digitale dei testi sta comunque nascendo. Ma soccorsi da Jobs tutti coloro che non volevano vedere possono, per il momento, continuare a non vedere.

Pagina precedente

Indice dei contributi