BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/01/2011

 

IL FUMO DELLA SUSSIDIARIETA'

di Francesco Varanini

Questo testo, già così lungo rispetto agli standard di Bloom, è una versione ridotta del che appare qui: http://www.scribd.com/doc/45731882/Francesco-Varanini-Dietro-il-fumo-della-sussidiarieta.
Se intendete farvi una idea precisa delle idee che sostengo, andate a guardare la versione lunga.

Uno striscione

Martedì 30 novembre 2010. Esco dalla Stazione Centrale e lo sguardo mi cade sul Pirellone. Quel simbolo dell'Italia orgogliosa del boom, che l’anarchico protagonista della Vita agra di Luciano Bianciardi voleva far saltare in aria.
Il grattacielo Pirelli, come ognun sa, è oggi la sede della Regione Lombardia, anzi, lo era, declassato ora dalla grandeur formigoniana che ha voluto, nei pressi, un altro grattacielo, più pomposo e meno elegante.
Ma ora guardo il Pirellone e mi sorprendo, c'è qualcosa che non va. Sulla facciata, per l'altezza di cinque piani, campeggia sulla superficie vetrata uno striscione. “Salviamo la vita dei cristiani in Iraq e nel mondo”.
Come si può essere arrivati a questo? Non si tratta forse di una pubblica istituzione? Non sono forse uguali tutti i cittadini di fronte alla legge? Lo Stato italiano non è forse uno Stato laico? O viviamo magari oggi in uno Stato etico, che ci guida e definisce per noi verità e bontà e giustizia? I martiri cristiani sono forse diversi dagli altri?
Tutto risale, come cercherò di spiegare, ad una parola: sussidiarietà. Parola ipocrita dietro alla quale si nasconde, a ben vedere, un mostro istituzionale ed ideologico.

Un gioco asimmetrico

Quando la Chiesa perse il potere temporale, si mantenne per qualche anno di sdegnoso isolamento, anni in realtà dedicati non a portare alla luce un proprio modo di manifestarsi libero da dominio, lontano dalla politica, ma dedicato al contrario a formulare una nuova strategia politica orientata al dominio.
Gli ultimi anni del 1800 vedono già all'opera la nuova strategia. Tra diplomatici e normatori e Segretari di Stato e Papi, un ruolo centrale è svolto da  Eugenio Pacelli, che sarà papa Pio XII.
Una strategia di difesa aggressiva.
Innanzitutto, si deve incardinare il clero ad una dipendenza senza fessure. Il clero, anche all'interno  della Chiesa Cattolica, ha sempre mantenuto legami fondamentali con la comunità locale. Le comunità locali hanno sempre goduto di una loro libertà di azione, di presenza adeguata alle specificità della storia e del territorio. La chiesta appartiene alla cultura, non si impone come cultura altra. Il vescovo è, nel rispetto dell'autonomia, nominato d'accordo con il potere politico locale. Tutto questo non può più essere accettato.
Persa la potenza di Stato che dialoga con altri Stati, la Chiesa ritiene necessario spostare la lotta politica su un altro piano, un piano 'ultraterreno', dove può dettare le regole. Il gioco si fa subdolo. Ogni sacerdote dovrà avere una duplice appartenenza, dove  però, non la giustificazione della trascendenza, dell'operare nel quadro di un disegno divino, una appartenenza prevale sull'altra. Ogni membro del clero ha una doppia cittadinanza. Dove però una cittadinanza prevale sull'altra, perché la Città di Dio si oppone alla Città dell'Uomo. Così, attraverso un lavoro che dura lunghi anni, si costruisce un corpus giuridico raffinatissimo, il Codice di Diritto Canonico. Fondato sull'infallibilità del Papa, ogni membro del clero è assoggettato per questa via a norme e regolamenti e sanzioni direttamente emanate e comminate dal Vaticano, scavalcando ogni diritto di cittadinanza, ogni uguaglianza tra cittadini, ogni libertà nazionale, ogni costituzione ed ogni norma di ogni paese dell'orbe terracqueo. Norme e regolamenti e  sanzioni culturalmente ed eticamente pesanti ogni oltre limite, perché -per ogni membro del clero- sono in gioco i più esecrabili peccati da un lato, e la salvezza eterna dall'altro. 
La Chiesa, umiliata dalla perdita del potere temporale, vittima di sindrome d'assedio, si ritiene in diritto di prendersi ogni rivincita. E quindi sostituisce il potere temporale con l'intromissione in ogni paese, in ogni nazione, in ogni Stato. Impone un gioco asimmetrico. Ci sono in ogni Stato cittadini diversi dagli altri, perché, con una legittimazione che si pretende superiore allo stesso potere legislativo di ogni Stato, un una legittimazione che si pretende superiore all'autodeterminazione dei popoli, il Vaticano impone la propria intromissione ed il proprio controllo all'interno delle faccende locali.
Ogni Stato è un potenziale nemico, ogni sacerdote, obbligato a slegarsi dalla propria comunità, è obbligato ad essere innanzitutto soldato di Cristo, e quindi esecutore dei comandi dell'erede di Cristo, l'infallibile Papa.
Così asservito il clero, è rotto il cordone ombelicale tra Chiesa e comunità locale. Tramite il clero, anche ai fedeli è imposta una 'doppia cittadinanza'.

I Concordati

All'asservimento del clero tramite il Diritto Canonico, si accompagna il secondo ben studiato passo dell'ingegneria istituzionale vaticana: il Concordato. Ed anche qui Eugenio Pacelli è il principe degli strateghi. La Chiesa, stato virtuale ed extraterritoriale fondato sull'imposizione ai credente della propria legge terrena, il Diritto Canonico, forte quindi di una propria presenza autonoma all'interno di ogni Stato, pretende di trattare da pari a pari con ogni Stato.
Ovvero: dal preteso fondamento divino del Diritto Canonico discende la pretesa autonomia del Diritto Canonico rispetto ad ogni ordinamento costituzionale di ogni Stato sovrano. Su questa base, la Chiesa vaticana pretende di trattare da pari a pari -se non addirittura da una posizione di superiorità- con ogni Stato sovrano.
Siamo nel primo quarto del Ventesimo Secolo. Si sfalda l'impero Ottomano, mostrano crepe l'Impero Austro-Ungarico e l'Impero Russo, l'Impero tedesco è fragile, incerti sono i confini e gli equilibri di potere.
Senza preoccuparsi delle conseguenze, in anni in cui gli antichi contrappesi sui quali si reggeva l'Europa crollano, il Vaticano lancia la sfida diplomatica e politica dei Concordati.
Agli Stati, indeboliti all'interno dall'autonomia della Chiesa locale, unilateralmente dichiarata ed imposta, si chiede di concordare condizioni di favore ad una Chiesa locale ridotta a periferia del potere vaticano. Si pretendono riconoscimento della rendita immobiliare, condizioni di favore per le scuole cattoliche, riconoscimento del matrimonio religioso.
Austria, Jugoslavia, Polonia, Baviera, Prussia, Italia. Ma i capolavori del genere -Baviera, Prussia, fino al Concordato con Hitler nel 1933- sono frutto del lavoro del futuro Pio XII, Eugenio Pacelli.
(…)

Quarant’anni di Dottrina Sociale della Chiesa

E' in questo contesto che, per via del latino subsidiarii officii principio, il concetto di ‘sussidiarietà’ si afferma come moderna categoria sia in ambito politico che ecclesiale.
L'espressione appare il 15 maggio 1931 nell'enciclica di Pio XI Quadragesimo Anno. Si celebrano appunto i quarant'anni dalla promulgazione della Rerum Novarum, l'enciclica di Leone XIII che prendeva di petto la “questione operaia”. Allora, nel 1891, il Pontefice dichiarava il socialismo 'falso rimedio'  e sosteneva, contro il socialismo, la proprietà privata. Ma al contempo Leone XIII ci proponeva affermazioni impegnative, ancora oggi attualissime, in tema di dignità del lavoro. Gli echi dell'enciclica sono ben riflessi nelle parole del parroco di Torcy, nel  Journal d'un curé de campagne di Bernanos, cattolico francese coevo di Mounier. “Ero allora, parroco di Norenfontes, in pieno paesi di miniere. Questa  idea così semplice che il lavoro non è una merce, soggetta alla legge della domanda e dell'offerta, che non si può speculare sui salari, sulla vita degli uomini, come sul grano, sullo zucchero e il caffè, tutto ciò sconvolgeva le coscienze, credimi!” (1)
Ma ora Pio XI, parlando nel, e del tempo a lui presente -gli stessi anni in cui scrivono Mounier e Bernanos- ritorna sulla 'questione sociale', ma in modo diverso e con un intento differente. Leone XIII già nell'intestazione della lettera esplicita il tema: De conditione opificum. Parla ai lavoratori e agli imprenditori. Per Pio XI il tema invece è: De ordine sociali instaurando. Scopo della lettera è “scoprire la radice del presente disagio sociale, e insieme additare la sola via di una salutare restaurazione”. La salutare restaurazione consiste nella “christianam morum reformationem”, “cristiana riforma dei costumi”. Per questo il Pontefice si rivolge agli “oeconomicae moderatoribus” (“dirigenti della economia”, “rulers of economic life”, nelle traduzioni ufficiali in italiano e inglese), e, con ancor più chiarezza, ai “nationum rectores” (“governanti delle nazioni principali”, “statesmen”), chiedendo loro una “riforma delle istituzioni”. 
Al “Quid egerit potestas civilis”, l'opera dello Stato il Papa contrappone il “Quid egerint ii quorum intererat”, “l'opera delle parti interessate”, diremmo oggi: i portatori di interessi, il libero agire degli stakeholder.
Scrive il Papa: “deve restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle”. “Aiutare in maniera suppletiva”: l'originale latino  recita: “subsidium afferre”. Mentre la versione inglese reca un generico: “furnish help”.
All'indicazione del rischio implicito in una presenza invasiva dello Stato, segue l'esortazione: “Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l'ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell'attività sociale, tanto più forte riuscirà l'autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello Stato stesso”.
E’ qui che appare qui, nel testo latino la novissima espressione. Che si tratti di un concetto che si vuole sottolineare, è testimoniato da inattese virgolette: “«subsidiarii» officii principio”.
L’espressione è tradotta alla lettera nella versione inglese e portoghese: “principle of «subsidiary» function”, “princípio da função «supletiva»”. Più generica resta la formulazione in francese ed in italiano: “principe de la fonction supplétive”, “principio della funzione suppletiva”.

Prinzips der Subsidiarität

Solo il tedesco ci parla da subito con precisione: “Prinzips der Subsidiarität”. Non a caso. Alla preparazione dell’enciclica, ed alla sua traduzione in tedesco, collabora Oswald von Nell-Breuning. Origini aristocratiche, teologo, gesuita, von Nell-Breuning rilegge consapevolmente in chiave cattolica l’atteggiamento comunitario calvinista. In contrasto con la dottrina cattolica, fondata su una Chiesa centralizzata, le decisioni dovranno essere prese al livello più basso possibile. Il Sinodo di Emden, nel 1571, stabiliva che tutte le decisioni autonomamente prese a livello di comunità locale, non potessero in nessun caso essere rimesse in discussione nei Sinodi Provinciali e Generali.
Da questa idea, affermata in sede di comunità ecclesiale, Johannes Althusius, giurista, filosofo, teologo calvinista, trae all’inizio del 1600 le basi del pensiero federale applicato allo Stato (2).
Althusius vede la società come rete di gruppi interconnessi in grado di soddisfare ogni loro compito e e di raggiungere ogni obiettivo. Lì dove la comunità locale non è in grado di fare da sé interviene, l’Unterstützung (in latino, appunto, “subsidium”). Dunque un ‘puntello’, ‘sostegno’, ‘appoggio’ soccorre nel caso non si possa fare da sé. 
Nell-Breuning rilegge così: il Subsidiartätsprinzips si fonda innanizutto sull’Selbsthilfe, ‘auto-aiuto’, poi sul  Nachbarschaftshilfe, ‘aiuto reciproco’, ‘mutuo soccorso’.  e, infine, Fernhilfe,  ‘assistenza remota’. Solo chi ha esaurito le risorse dell’auto-organizzazione può ricorrere ad un sostegno esterno.
L’edificio del Subsidiartätsprinzips ha dunque solide basi. Nella sua formulazione originaria ci si presenta come origine storica del moderno personalismo, principio etico del tutto attuale, a cui ognuno dovrebbe attenersi.
Ma,nella versione cattolica, l’edificio del Subsidiartätsprinzips perde senso e nega le sue stesse basi etiche. Perché il principio tiene se c’è specularità tra struttura dello Stato e struttura della Chiesa -ed anzi: di ogni Chiesa. Tutto si fonda sull’autonomia locale, in ogni ambito.
Ed invece, con tipica, farisaica ipocrisia, la Chiesa vaticana di Pio XI e Pio XII opera ben altrimenti. All’inizio degli Anni Trenta -nei giorni della grande crisi economica, negli anni della crisi della Repubblica di Weimar e dell’avvento del Nazismo- completa la ridefinizione del proprio disegno istituzionale susseguente alla perdita del potere temporale richiamando ogni Stato al rispetto della libertà della persona e dell’autonomia locale, mentre invece impone al clero ed ai fedeli la propria potestà, ed afferma per sé il diritto ad una struttura gerarchica e centralizzata.
(...)

Sussidiarietà come parola nuova

Se il concetto di ‘sussidiarietà’ ha una storia precisa ed un chiaro significato, il termine resta a lungo confinato nel linguaggio tecnico. In inglese subsidiarity, entra in uso alla metà degli anni Trenta. Così vuole l’Oxford Dictionary, che indica come origine Quadragesimo anno e il tedesco subsidiartät.
In italiano, come indica il Battaglia (3), per vedere entrare in uso il termine si devono attendere gli anni Novanta. Siamo in un tempo di cambiamento (...). L’inchiesta Mani Pulite, nel 1992, segna la fine della Prima Repubblica, che ha visto agire, nei suoi anni terminali, una classe politica lontana da ogni etica e del tutto disinteressata ai diritti inalienabili della persona umana, della famiglia, dei gruppi minori.
In questo clima il termine sussidiarietà diviene di uso comune. Il Battaglia, significativamente, cita tre fonti.
Il Rapporto  CENSIS 1992 (4). Dove si legge: “Il nodo di fondo è la definizione del principio di sussidiarietà, che comporta la chiara identificazione delle responsabilità e delle misure che spettano a ciascun livello”. Un articolo apparso l’8 maggio 1994 sul quotidiano La voce (5) a firma di Luciano Moia, giornalista cattolico attento all’etica, che scrive: “La sussidiarietà, tante volte ribadita dalla dottrina sociale della Chiesa”. E un articolo del costituzionalista Andrea Manzella, apparso sulla Repubblica il 20 giugno dello stesso anno. Scrive Manzella: la concezione di un ordinamento dei poteri “che si intrecciano, si rafforzano e si legittimano reciprocamente e che si differenziano tra di loro solo in funzione dell’interesse pubblico della cittadinanza si scontra con i vecchi istinti gerarchici”. “Naturalmente, la modernità istituzionale si ribella contro queste anacronistiche concezioni: ed ecco la reazione della sussidiarietà”. Una reazione, nota Manzella, che “se non ha, per ora, consolidato procedure e criteri operativi, è però chiarissima nel suo principio di fondo”. Principio che consiste “nella necessità che la organizzazione del governo della cosa pubblica parta dal basso, dal cittadino e dalla sua collettività locale”.

Don Giussani e dei suoi seguaci

Dunque la sussidiarietà, può essere ben intesa come caratteristica distintiva di uno Stato teso a “subsidium afferre”, ad “aiutare in maniera suppletiva”, rispettando l’autonomia della persona, delle libere aggregazioni di persone e di ogni altra istituzione. Uno Stato orientato all’autolimitazione,  al servizio, lontano dall’arroganza del potere. Così vuole l’enciclica di Pio XI. Così intendeva le pubbliche istituzioni l’etica calvinista di Johannes Althusius: qui, e non certo nel pensiero di Tommaso d’Aquino, nasce l’idea di un’organizzazione sociale che cresce dal basso.
Ma ecco che, in Italia, in anni di transizione -tramontata la Democrazia Cristiana, al capolinea la Prima Repubblica- nani del pensiero si appropriano della ‘sussidiarietà’ e ne fanno la propria bandiera. Una bandiera per legittimare un potere politico ed economico emergente.
A Milano era nato, negli anni Cinquanta, Comunione e Liberazione, movimento ecclesiale fondato da don Luigi Giussani sul “ritorno agli aspetti elementari del cristianesimo” (6), nella convinzione che lì risieda il fondamento dell’autentica liberazione dell’uomo. In questo quadro, ancora per intuizione di don Giussani, nasce negli anni Ottanta la Compagnia delle Opere, associazione di imprese.
Il passaggio dalla comunione all’impresa, dalla liberazione alla produzione, non è scontato. Serve una copertura ideologica. All’uopo è comodo il concetto di sussidiarietà. Certo la sussidiarietà rimanda alla centralità della persona, e porta  con sé, implicitamente, una legittimazione papale. Del concetto, fa anche gioco anche la duplice lettura, il rimando all’ambito laico, privato, ed allo stesso tempo al mondo ecclesiale. E fa gioco, ancora, la scarsa notorietà dell’espressione - cosicché il termine, che appunto solo in quegli anni si afferma, finisce per apparire intrinsecamente legato a Comunione e Liberazione e alla Compagnia delle Opere, quasi un marchio di fabbrica.
Ecco così sgorgare  da questa fonte un profluvio di stereotipi: “Il pensiero cattolico vuol dire innanzitutto un’idea di uomo”. “Il criterio dello sviluppo è la persona”. “Le persone hanno dei bisogni ma anche delle capacità e queste capacità possono essere messe a disposizione della comunità, per il raggiungimento di un bene comune”. “Tutti i modelli di sviluppo che hanno saltato l’uomo hanno buttato via un sacco di soldi senza realizzare nulla”. Ecco sbandierato l’intento nobilissimo: “promuovere e tutelare la presenza dignitosa delle persone nel contesto sociale e il lavoro di tutti”; “favorire una concezione del mercato e delle sue regole in grado di comprendere e rispettare la persona in ogni suo aspetto, dimensione e momento della vita”. Sempre beninteso aggiungendo: “questo lo dice il Papa”.
(…)

Un sistema di potere

Possiamo tornare all’immagine proposta da Pio XI, e risalendo nei tempi, all’etica calvinista di Johannes Althusius: un corpo sociale composto di membra diverse, ognuna delle quali è in diritto di agire in autonomia, a partire dalle comunità locali; lo Stato inteso come ente che interviene in funzione suppletiva, per “subsidium afferre”, solo quando e dove le comunità locali non possono fare da sé.
Si può osservare come il federalismo della Lega appaia ben più vicino al Subsidiartätsprinzips di quanto non lo sia l’ideologia di Comunione e Liberazione e della Compagnia delle Opere. La Lega chiede che si il prelievo fiscale locale sia tradotto in servizi locali, chiede che si pongano limiti alla Fernhilfe e all’intervento dello Stato centrale, ma non chiede che lo Stato finanzi la scuola e la sanità private.
Si può anche osservare, ancora guardando all’immagine di Pio XI, come il sistema di potere di Comunione e Liberazione e della Compagnia delle Opere non faccia integralmente parte delle “membra del corpo sociale”, ma imponga, invece, alle altre “membra del corpo sociale” la propria autonoma esistenza di “corpo separato”.
Tutto funziona perché, approfittando della disattenzione di altri soggetti, e del vuoto politico della fine degli anni Ottanta, Comunione e Liberazione e la Compagnia delle Opere hanno prodotto una propria classe politica che dal 1995 governa la Regione Lombardia, e partecipa al governo nazionale.
La Regione Lombardia, così, esiste per creare regole pensate per far apparire migliore il servizio offerto dai privati che fanno da sé. Inevitabilmente, la profezia si autoavvera. Stando a quelle regole, il privato che fa da sé eroga un servizio migliore. E quindi riceve i finanziamenti sottratti al servizio pubblico, che non può che peggiorare progressivamente.
Svelata la miseria del meccanismo, si può osservare come la persona che per fede fa da sé -la persona che i seguaci di don Giussani pretendono di evocare- non esiste. I finanziamenti estorti allo Stato non vanno a parrocchie e o alla Caritas, vanno a cooperative ed associazione ed impreso costituite ad hoc per stare dentro le regole previste per l’erogazione dei fondi pubblici.
Il gioco, che è tutto politico, si basa in fondo su una triplice occupazione. Un unico gruppo di potere, approfittando della generale incuria, ha occupato politicamente lo spazio dei corpi sociali di base, lo spazio
Così accade che la stessa classe dirigente stabilisce le regole in base alle quali sono erogati i finanziamenti e poi riceve i finanziamenti – sottratti al servizio pubblico.

Ipocrisia e integralismo

Il sistema di potere, dietro il velo dei nobili principi, impone allo Stato l’obbligo di finanziare attraverso il prelievo fiscale attività private, e allo stesso tempo toglie ai cittadini abitanti il territorio la libertà di fare da sé, e cioè di mettere in pratica gli stessi principi del personalismo e della sussidiarietà.
E ancora, il sistema di potere fondato sull’intendere la sussidiarietà come accaparramento di fondi pubblici, finisce per imporre alla Chiesa locale, così come a associazioni e cooperative, una deleteria distorsione. C’è qui un  evidente paradosso: in un quadro di snellimento delle funzioni statali, e di critica dell’invadenza dello Stato, si fa passare attraverso lo Stato il finanziamento di privati da parte di privati. Siamo veramente sicuri che il ‘cinque per mille’ sia una buona cosa? Non è più coerente con il principio di sussidiarietà il fare a meno del sostegno pubblico? Non c’è forse contraddizione tra il chiedere allo Stato di fare un passo indietro e l’attribuirgli un ruolo, a proprio esclusivo e privato vantaggio?
Si negano così ai cittadini -anche qui in violazione dei buoni principi del personalismo e della sussidiarietà- gli stimoli che spingano ad assumersi le proprie responsabilità, a costruire il mondo a partire da se stessi. Si rafforza il ruolo di Stato mediatore e redistribuzione lì dove persone e gruppi sociali elementari potrebbero sviluppare relazioni dirette.
Infine, così, viene meno l’attenzione all’altro. Viene meno il principio di solidarietà. L’attenzione all’ultimo, al bisognoso. Al diverso. La ‘sussidiarietà realizzata’, alla lombarda, sottrae all’ultimo e il diverso il servizio ‘neutrale’ che potrebbe offrire lo Stato laico, e costringe l’ultimo e il diverso ad un servizio condizionato dalla matrice religiosa.
Si torna dunque allo striscione sulla facciata del Pirellone.  Ad ogni cittadino è imposta una lettura, del resto opinabile, della dottrina sociale della Chiesa. C’è dell’intolleranza nel far parlare di una sola religione -della propria, naturalmente- la facciata del primo edificio pubblico dello Stato Regionale. Non lede forse il principio della centralità della persona, di ogni persona, il parlare di una persecuzione? Non dovrebbe forse lo Stato di tutti indignarsi per ogni persecuzione, per ogni negazione di libertà?
La sussidiarietà alla lombarda, eretta a principio fondante di un’azione politica di parte, ci appare lontanissima dall’Esprit di Mounier. Eppure, seguendo Mounier, possiamo intendere la regione nella quale viviamo, regione senza maiuscole, come luogo dove cristiani, musulmani, ebrei, agnostici, non credenti possono ritrovarsi, per condividere riflessioni su un mondo che, in quanto persone degne e responsabili, ci compete costruire insieme.


1 - Georges Bernanos, Journal d'un curé de campagne, “La Revue hebdomadaire”, 1935-1936; Paris, Plon, 1936, trad. it. Firenze, 1945, p. 92.

2 - Johannes Althusius, Politica Methodice Digesta, Atque Exemplis Sacris et Profanis Illustrata, 1603.

3 - Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Utet, volume XX, 2000.

4 - Rapporto CENSIS 1992, p. 131.

5 - La voce, 8 maggio 1994.

6 - Don Luigi Giussani, Lettera a Giovanni Paolo II, in occasione del cinquantesimo anniversario della nascita di Comunione e Liberazione, 26 gennaio 2004.

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