BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 28/03/2011

 

LA DIREZIONE ETICA, OVVERO I LIMITI DELLA BUSINESS ETHICS E LA CENTRALITA' DELL'AZIENDA

di Francesco Varanini

L’etica, in fondo, è ‘ineffabile’, ‘non esprimibile in parole’: l’etica esiste se la si pratica. Potremmo anzi dire che capita di ascoltar parlare di etica proprio chi è, ai nostri occhi, ben lontano dal praticarla. Parlare, non di rado, è un modo per nascondere le proprie azioni.
Dunque, più che parlare di etica, dovremmo -ognuno e tutti- cercare il modo per praticarla. E dovremmo anche ricordare che non di rado le persone che più fanno spesso sono le persone che meno parlano. Tutti abbiamo conosciuto dirigenti e semplici impiegati, operai, così: di poche parole, integerrimi. Dobbiamo considerarli maestri di etica.
Se provo a scrivere qualcosa sull’etica, perciò, devo dire prima che non si tratta che di un personale punto di vista. L'etica è quindi sempre il personale punto di vista sul mondo, uno sguardo radicato in valori, cultura, storia di vita diversa da ogni altra. Êthos ci parla di individualità, di ‘ciò che è proprio di una persona’, ‘costume’, ‘modo di vita’.
Come ci ricorda la frase di Emmanuel Lévinas che consideriamo il motto della nostra associazione, Assoetica, “l'etica è un'ottica”. Non possiamo perciò parlare di etica come se ne esistesse una, migliore delle altre. Ogni persona ha una sua etica, ogni etica basta a se stessa.
Questo non significa cadere nel relativismo: non tutte le etiche sono uguali; e posso certo non riconoscermi nella tua etica.
Dobbiamo però accettare che condividiamo un terreno comune. Abitiamo nello stesso condominio, nella stessa città, nello stesso paese, nello stesso mondo abitato da altri, diversissimi da me. L’azienda è un luogo dove convivono punti di vista diversi. Un  solo esempio: il punto di vista di una donna è diverso da quello di un uomo. La diversità è ricchezza. L’azienda è il luogo dove convivono interessi diversi: l’interesse di chi investe capitale è diverso dall’interesse del lavoratore, della comunità locale, ed anche delle generazioni future, interessate alla sopravvivenza dell’azienda e alla qualità ambientale.
Perciò mi pare riduttivo parlare di Business Ethics, o etica degli affari. La Business Ethics è la legittima e rispettabile etica di chi guarda le cose dal punto di vista dell’azionista e del mercato finanziario. Diversa è l’etica del lavoro: questo è lo sguardo di chi ama il proprio lavoro, si realizza attraverso il proprio lavoro, e si aspetta che al suo lavoro corrisponda una giusta remunerazione. Diversa, ancora, è l’etica dell’imprenditore, che persegue la creazione di nuova ricchezza, la produzione, l’innovazione. Ognuno di questi punti di vista è legittimo, ognuno è utile e necessario. L’atteggiamento etico sta forse proprio nell’accettare la ragionevolezza dei diversi punti di vista.
Quindi, piuttosto che badare al business, all’affare, ad darsi daffare del quale non sempre si vede con chiarezza lo scopo, pare costruttivo pensare all’azienda, luogo dell’agire, di un agire finalizzato verso uno scopo – che è in fondo l’area di convergenza degli scopi sentiti come vitali da coloro che con l’azienda, in un modo o nell’altro, hanno a che fare. L’azienda dunque come costruzione comune, luogo di convergenza degli sguardi di tutti coloro che in quell'azienda operano, e che con quell'azienda hanno a che fare.
Credo perciò di poter dire che proprio qui sta l’essenza del ‘dirigere’. Il dirigente è la figura chiamata a trovare un ragionevole punto di incontro tra i diversi interessi. Quando il dirigente si inchina eccessivamente di fronte ad uno degli interessi in gioco, l’azienda perde equilibrio, e mette in discussione il suo futuro.
Scrivo dirigente perché mi pare sensato lasciare da parte la parola manager. In origine il manager era proprio questo, il ‘tecnico’ chiamato a dirigere l’impresa, tenendo conto dei diversi interessi in gioco. Ma via via il manager ha ridotto il suo ruolo ad esecutore di interessi di un solo portatore di interessi, il più forte sul momento -in un momento magari la politica, oggi certo la finanza-, ed ha così perso il suo ruolo di ‘terzo’ equanime. Perciò mi piace recuperare la parola dirigente, e parlare di ‘Direzione Etica’, intendendo con questo una figura professionale, e anche un un atteggiamento, un orientamento, un percorso verso il domani – che mi pare oggi socialmente e politicamente necessario. Di qui il titolo La Direzione Etica, apposto al corso di Assoetica 2011-2012 (il corso inizia il 7 maggio 2011; vedi: www.assoetica.it).
Dunque, più che parlare astrattamente di ‘etica del manager’ -espressione facilmente identificabile con ‘Business Ethics’-, direi che potremmo chiederci cosa possiamo aspettarci da un dirigente disposto ad intendere l’azienda come una costruzione comune.
Rispondo alla domanda, dal mio punto di vista, osservando che il manager attento alla ‘costruzione comune’ agisce adottando tre, convergenti atteggiamenti.

Il primo atteggiamento è la guida.
Guidare: 'far vedere', 'fare osservare', 'far prendere una direzione'. La guida non sta necessariamente in testa alla fila, al vertice della piramide organizzativa, eppure risalta per carisma, o per esperienza, o per conoscenze professionali. La guida stimola l’azione collettiva, la partecipazione, la crescita individuale. La guida mostra ‘come si fa’. Mostrare agli altri il cammino, non solo andando innanzi, ma anche se del caso accompagnando, affiancandosi,  indicando i punti di svolta, segnalando il pericolo – ed anzi: mostrando come muoversi da soli nell'imminenza del pericolo. Più la guida è capace, più rende gli altri capaci di muoversi in autonomia.

Il secondo atteggiamento è il governo. L’idea di governo è, in origine, l’arte del timoniere. L’impresa, l’azienda, l’organizzazione: imbarcazioni non necessariamente perfette, ma comunque in grado di galleggiare e di muoversi nella direzione voluta, anche in un mare periglioso, anche durante le tempeste.
Governare significa scommettere sulle proprie e sulle altrui capacità - anche su capacità non ancora visibili e palesi. Governare significa tenere il ritmo: muoversi in sintonia con l'ambiente circostante. Significa tendere verso la meta sia in condizioni di mare buono che di mare cattivo. Significa, istante dopo istante, cogliere il momento propizio: l'esperienza non è usata difensivamente come rassicurazione; è invece spesa nel momento, utilizzata per muoversi in circostanze mai prima sperimentate.

Il terzo atteggiamento è la cura. Sollecitudine, grande ed assidua diligenza, vigilanza premurosa, assistenza. Inquietudine: nel senso di preoccuparsi, farsi carico, non prendersela comoda. Solo così si può orientare l’azienda verso il buon funzionamento.
In due maniere. La prima sta nel prendersi cura delle persone. Di tutte le persone che lavorano in azienda. E allo stesso tempo dei clienti, e dei fornitori, e di ogni altra persona coinvolta nella vita e nell’attività dell’impresa.
La seconda: procurare le risorse perché l'azienda viva, garantire gli strumenti e le conoscenze e le condizioni ambientali necessari perché il lavoro si svolga, perché il lavoro ci sia.

Possiamo dire infine che la ‘direzione etica’ non è una strada già tracciata, è un cammino che possiamo costruire, a partire dal mettersi in discussione e dall’accettare responsabilità.

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