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Pubblicato in data: 16/05/2011

 

IL GIOCO DEGLI ADULTI

di Francesco Varanini

“E' nel giocare e soltanto mentre gioca che l'individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell'intera personalità, ed è solo nell'essere creativo che l'individuo scopre il sé” (1).
"Il cercare può venire soltanto da un funzionare sconnesso, informe, o forse dal giocare rudimentale, come se avesse luogo in una zona neutra. E' soltanto qui, in questo stato non integrato della personalità, che ciò che noi descriviamo come creativo può comparire. (…) In quella zona grigia, zona di transizione, di illusione, spazio potenziale dove possono essere rivissute le forme primitive di relazione e gioco”: la zona alla quale sempre “dobbiamo tornare per elaborare le nostre ansie di abbandono, disperazione, solitudine, dove nasce e si realizza sempre l'attività creativa primaria” (2)
Winnicott, psicoanalista inglese, ci parla dello spazio che sta tra il nostro mondo interno e l’esterno. Ce ne parla guardando alla situazione del bambino, che nel muoversi in questo spazio costruisce la sua identità. Quando siamo bambini non ‘lavoriamo, ma ‘giochiamo’. Winnicott attribuisce al gioco grandissima importanza. Non è un modo di sfogare pulsioni, è invece il modo per costruire se stessi, come persone diverse dalla madre. Il gioco è la principale esperienza reale, dove l’io scopre le sue potenzialità e contribuisce a creare il mondo.
Ma, ci fa notare Tournier, romanziere francese, questo ritorno alla plasticità infantile, dopo che da adulti ci si è irrigiditi in ruoli difesivi e rassicuranti, non è facile. Non è facile mentre si esercita un compito dotato (almeno in apparenza) di uno scopo preciso mantenere viva l’intera personalità, non è facile accettare di fronte a noi stessi e fare accettare agli altri la nostra creatività. Così spesso da adulti si crede di abbandonarci alla creatività, mentre siamo in realtà vittima di mode e modelli. Si crede di giocare e si sta invece, all’opposto, andando alla guerra.
“Mi chiedo se la guerra non scoppi al solo scopo di permettere all’adulto di fare il bambino, di regredire con sollievo all’età delle armature e dei soldatini di piombo. Stanco dei suoi oneri di capufficio, di marito e di capofamiglia, l’adulto mobilitato rassegna le dimissioni da ogni funzione e qualità e, ormai libero e incurante, si diverte con i camerati della sua età a manovrare cannoni, carri armati e aeroplani, che sono la copia ingrandita dei giocattoli della sua infanzia.
Il tragico è che questa regressione fallisce. L’adulto riprende i giocattoli dell’infanzia, ma non ha più l’istinto del gioco e dell’affabulazione che conferiva ai giocattoli il loro senso originale. Tra le sue mani grossolane, i giocattoli assumono le proporzioni mostruose di tumori maligni, divoratori di carne e di sangue. La serietà omicida dell’adulto ha preso il posto della gravità lucida del bambino di cui è la scimmia, vale a dire l’immagine invertita” (3).
Dunque, ci ricorda Winnicott, la creatività, la ricchezza aggiuntiva che mettiamo in qualsiasi lavoro facciamo, nasce dal gioco, dalla nostra capacità di tornare ad essere, di continuare ad essere quelle persone che eravamo nell’infanzia. Di qui l’importanza del gioco per l’uomo adulto, per ogni persona impegnata in attività produttive.
Ma, con Tournier, dobbiamo fare attenzione a attenzione a cogliere ciò che appare gioco e non lo è.
Non è gioco lo sport come ricerca della prestazione estrema, o come tifo violento. Non è gioco il computer game giocato con compulsivo accanimento.
Troppo spesso, in questi apparenti giochi, dietro l’apparenza si nasconde la più mostruosa e distruttiva ‘serietà’: la guerra, o il lavoro inteso come guerra. Non a caso, molte le teorie di management che si rifanno alla guerra. Poche o nessuna quelle che si rifanno al gioco.
In tutte queste situazioni di gioco malinteso. le pulsioni, lungi dall’essere mobili e plastiche, sono chiaramente indirizzate: contro l’altro, o contro la persona stessa. Non c’è costruzione, ma all’opposto distruzione. Il rispetto delle ‘regole del gioco’ porta lontanissimo dalla libertà creativa: porta al compito eseguito senza assumersene la responsabilità, porta alla passiva applicazione della procedura, porta al nascondersi dietro ruoli e modelli organizzativi.

E dunque abbiamo motivo di seguire Winnicott quando ci dice che la creatività passa attraverso la capacità di giocare ancora. E allo stesso Tournier ha le sue ragioni  nello scorgere dietro il gioco una ‘serietà omicida’. Eppure non possiamo  messa in luce Perciò il gioco -ed i giocattoli e le situazioni ludiche- costituiscono un importante ambito d’azione per chi si occupa di crescita e di apprendimento degli adulti.

Per avvicinarci ad intendere quali possano essere gli ambiti nei quali possa muoversi un progettista di contesti formativi per adulti fondati sul gioco, dobbiamo cercare di intendere cosa sia il gioco. Per questo, seguiamo Wittgenstein. “Giochi di scacchiera, giochi di carte, giochi di palla, gare sportive, e via discorrendo. Che cosa è comune a tutti questi giochi?” (4)
Wittgenstein ci invita ad andare oltre l’apparenza: “non dire: ‘deve esserci qualcosa di comune a tutti i giochi, altrimenti non si chiamerebbero ‘giochi’. Ma guarda se ci sia qualcosa di comune a tutti”. “Non pensare, ma osserva!”.
Così Wittgenstein passa in rassegna i giochi: i giochi di scacchiera, i giochi di carte, i giochi di palla, i girotondi. “E il risultato di questo esame suona: Vediamo una rete complicata di somiglianze che si sovrappongono e si incrociano a vicenda. Somiglianze in grande e in piccolo.”
Se si cercano regole e classificazioni, si finisce per non raccapezzarci più. A quel punto almeno una cosa è sicura: in quel momento non stiamo giocando. “Gli aspetti per noi più importanti delle cose sono nascosti nella loro semplicità e quotidianità”, nota Wittgenstein (5). Parlare di gioco non ci porta da nessuna parte. Ciò che serve è giocare.

Forse, ora, legando in una rete i discorsi di Winnicott, Tournier e Wittgenstein, possiamo tentare di indicare un percorso: la via lungo la quale dovrebbe incamminarsi che volesse progettare ambienti formativi fondati sul gioco, e rivolti agli adulti.
Chi volesse incamminarsi lungo questo cammino dovrebbe scoprirne la bontà nel suo stesso modo di agire. Dovrebbe vivere la situazione con l’innocenza di un bambino. Che gioca al di fuori di ogni situazione di lucro, senza chiedersi perché il gioco è piacevole, e limitandosi invece a provare piacere. Dovrebbe, nel progettare giochi, lui adulto, divertirsi.


1 - Donald W. Winnicott, Playng and Reality, London, Tavistock Publications, 1971; trad. it. Gioco e realtà, Roma, Armando, 1974, pp.102- 103.

2 - Donald W. Winnicott, op. cit., p. 117.

3 - Michel Tournier, Le roi des aulnes, Paris, Gallimard, 1970; trad it. Il re degli ontani, Milano, Garzanti, 1987, p. 316.

4 - Ludwig Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford, 1953; trad. it. Ricerche filosofiche, Einaudi, 1967, § 66.

5 - Ludwig Wittgenstein, op. cit., § 129.

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