BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 23/10/2000

Nuove competenze per la New Economy, ovvero: Le estreme risorse

di Francesco Varanini

Mi raccontava un amico Direttore del Personale in una grande impresa, una di quelle che si fonda sul gusto, e che porta l’immagine italiana –intesa come diversità– in giro per il mondo. Mi diceva che quando cerca una risorsa destinata a lavorare ad attività creative deve per forza tirar fuori candidati che quanto meno abbiano i capelli verdi . Anche i vertici aziendali non concepiscono che un creativo possa essere vestito di grigio ed avere un aspetto dimesso. Se il mio amico portava in selezione candidati che non corrispondevano allo stereotipo del creativo –capelli ma anche abbigliamento, orecchini, atteggiamento generale– i candidati non erano presi sul serio; ed il mio amico rischiava del suo. Non essendo sicuri di saper guardare alle difficilmente sondabili fonti della creatività, si guarda agli aspetti esteriori, sperando che le due cose vadano d’accordo. È chiaro che è una pia speranza. E che anzi si potrebbe sostenere che chi è creativo non ha bisogno di ‘mascherasi’ da creativo. Ma tant’è.

È così che agenzie pubblicitarie e case di moda sono popolate da ragazzi con gli orecchini e con i capelli colorati e con scarponi e con maglioni informi. È così che all’interno di una casa editrice esiste una rigida e ridicola separazione: tutti gli uomini di marketing in regolare uniforme giacca–e–cravatta, tutti i giornalisti rigorosamente senza cravatta e ostentatamente un po’ trasandati nell’aspetto.

Se girando per i corridoi vediamo risorse così abbigliate per professionalità e ruolo, avremo poco da tranquillizzarci, anzi dovremmo preoccuparci. Quelle persone così formalmente, esternamente, ‘adatte al ruolo’, sono davvero capaci di pensare di pensare in modo originale? Sono davvero capaci di portare un contributo al knowledge della mia organizzazione?

Ora, la questione è particolarmente significativa di fronte se si pensa a selezionare risorse per imprese New Economy. Prepariamo il terreno: cosa è la New Economy? La New Economy ci parla di imprese –forse non tanto nuove, o non solo nuove– dove il vero valore, il valore utilizzato e creato, sta negli asset immateriali: sono asset immateriali i brand, le immagini consolidate; ma lo sono innanzitutto le idee, e insomma la capacità creativa, la capacità di pensare in modo diverso che alberga nella testa delle persone.

Si tratta di risorse difficili da individuare, difficili da gestire, per definizione poco fedeli, orientate alla mobilità

Di seguito cercheremo di individuare alcune regole, non tanto per operare bene, ma per sbagliare il meno possibile: il lavorare con le ‘risorse estreme’ ci pone in situazioni paradossali: la risorsa migliore,quella in grado di offrire il maggiore valore aggiunto, è la anomale, la più deviante, e quindi la più difficile da reperire sul mercato e la più difficile da gestire.

1. DISPARI OPPORTUNITA'

Selezionare, reclutare, scovare il potenziale, valorizzare skill, incrementare competenze, preparare alberi di sostituzione, attribuire nuovi incarichi - attività di Gestione delle Risorse Umane oggi Computer Aided, e supportate da sofisticati modelli. Modelli per lo più standardizzati e di uso generalizzato.

Eppure resta forse spazio per qualche comportamento in grado di garantire un vantaggio competitivo.

La regola può essere sintetizzata come segue: Nell'impossibilità di selezionare altrimenti, e a parità di altre condizioni, scegliere risorse di sesso femminile. (Parliamo di risorse femminili per semplicità di ragionamento, a parità di condizioni potremmo fare lo stesso discorso per altre risorse diverse dal normale-candidato-maschio).

Il lavoro –l'occupazione diversa dalle incombenze domestiche– costituisce per l'uomo (il maschio) un imperativo culturale, un pressoché ineludibile dovere sociale, una necessità economica. Perciò l'universo maschile preso in considerazione per coprire una qualsiasi posizione comprende per definizione soggetti di ogni tipo, anche soggetti scarsamente motivati e scarsamente adatti a ricoprire il ruolo. Soggetti che però sono costretti dal loro sesso a mostrarsi adeguati – anche quando sono intimamente convinti della propria inadeguatezza.

D'altronde, il selezionatore (sia uomo o donna) condivide il modello culturale che considera 'normale' il fatto che la posizione sia ricoperta da un maschio - ed è perciò inconsapevolmente propenso a cercare la risorsa adeguata nell'universo maschile; e disposto a credere al maschio che recita magari con scarsa convinzione la parte di chi è grandemente interessato a coprire la posizione.

Nel caso della popolazione maschile, dunque, l'universo contiene in partenza risorse inadeguate, e le circostanze nelle quali si realizza l'individuazione della risorsa adeguata tendono a rendere elevata la frequenza delle scelte infelici.

Osserviamo ora l'universo femminile. Sarà meno numeroso. E già questo faciliterà una più attenta valutazione delle alternative. Ma sopratutto sarà di qualità superiore. Pre-selezionato.

Non costituendo per la donna il lavoro extradomestico un imperativo culturale, non costituendo per la donna un obbligo sociale l'affermarsi attraverso il lavoro, l'universo delle candidate escluderà -o conterrà in minor misura rispetto all'universo maschile- risorse prive di reali stimoli. E se la donna sarà spinta verso il lavoro dalla necessità economica, si tratterà di una motivazione particolarmente seria, legata a circostanze concrete - e quindi di una motivazione presumibilmente più forte di quella mediamente presente nella popolazione maschile.

Alla migliore qualità dell'universo femminile contribuiranno, ancora, gli inconsapevoli pregiudizi maschilisti dei selezionatori: essendo più difficile per una donna essere presa in considerazione per una posizione di responsabilità, le donne passate al vaglio saranno probabilmente mediamente più dotate dei colleghi maschi.

Un Direttore del Personale, dunque, rischierà meno l'errore ogniqualvolta sceglierà in luogo di un uomo una donna.

Eppure, le condizioni normalmente date in sede di selezione e reclutamento sono ben lungi dal garantire effettivamente pari opportunità. Vani appaiono del resto i tentativi dello Stato di garantire ope legis spazi nel mercato di lavoro alle risorse 'diverse'.

Di fatto, gli spazi per le risorse non-maschili-normali si amplieranno solo quando le aziende coglieranno il vantaggio insito nel pescare fuori dal tradizionale universo maschile-normale.

2. GESTIRE LA DIVERSITÀ

Come gestire le risorse umane più preziose, quelle che fanno la differenza tra noi ed i competitori?

Prendiamo un classico esempio di azienda del terziario avanzato (fino a qualche anno fa si diceva così), o della New Economy (come oggi si preferisce dire). La softwarehouse, intesa come casa dove si inventano linguaggi e programmi applicativi per computer.

Dobbiamo prendere esempi americani, perché‚ lì corre la frontiera dell'innovazione. Immedesimiamoci quindi nei problemi del responsabile di una softwarehouse californiana, consapevole di avere bisogno di risorse umane di grande creatività, capaci di pensiero alternativo, critico, 'laterale'. Sono quasi sempre soggetti 'dissidenti', la cui dissidenza purtroppo si manifesta innanzitutto nel rifiutare quelle elementari regole che ogni organizzazione chiede ai lavoratori di rispettare.

Il programmatore-creativo si veste come gli pare, lavora ascoltando musica, non timbra il cartellino, non ha orari (come si fa a sapere quando verranno le buone idee?).

L'impresa dovrà adattare procedure e modello organizzativo - in modo da garantire uno spazio vivibile per le sue preziose risorse. Si trattasse davvero solo di abbigliamento, taglio di capelli, timbrature di presenze, non sarebbe nemmeno un esercizio troppo difficile: percorrendo i corridoi, vedremo uffici abitati da signori in giacca e cravatta; ed altri occupati da gente in jeans e shirt sdrucite e colorati, che vanno e vengono, e che sembra non stiano facendo niente.

Ma sono in gioco altre contraddizioni, più profonde.

I progetti richiedono tempi lunghi, ed una certa pianificazione del loro avanzamento. Peccato accada non di rado che le uniche risorse in grado di portare avanti il progetto si rifiutino di formulare ogni previsione sui tempi di chiusura.

Il ritorno dell'investimento in Ricerca & Sviluppo si avrà se si riuscirà a proteggere il un vantaggio tecnologico acquisito. Come fare, però, se l'atteggiamento di fronte al lavoro del nostro programmatore non contempla l'idea di esclusiva e di riservatezza?

Si potrà ancora tentare con i soldi, ma forse non basterà nemmeno questo, perché‚ non c'è niente che irriti di più il nostro programmatore-creativo dell'avere vicino un incompetente con un libretto degli assegni in mano.

Le pene del gestore del personale non finiscono qui. In un'epoca in cui si tende a bandire dai luoghi di lavoro anche il tabacco parlare di droghe non solo è poco politically correct, ma anzi quasi tabù; eppure il nostro programmatore dissidente non solo pensa che l'assunzione di droghe sia una questione privata, ma pensa anche che tra le sostanze normalmente comprese sotto il termine ombrello 'droga' molte non danneggiano affatto la salute, anzi contribuiscono veramente alla creatività: per non parlare della vecchia marijauna, smart drugs, cerebrostimolanti, cibi e bevande intelligenti, vasopressina, piroglutammato, DMT. (Del resto l'uso di 'droghe' da parte degli artisti non scandalizza nessuno. E che differenza c'è tra la produzione di un nuovo software teso a costruire mondi artificiali e la produzione estetica di un pittore?)

Di fatto, cosa accade? Basterà un esempio: molti produttori di software sono fornitori della difesa, e in quanto tali hanno l'obbligo di sottoporre i dipendenti a test sull'uso della marijuana. Per fortuna è abbastanza facile fare sì che una telefonata, o una voce di corridoio raggiungano provvidenzialmente con qualche giorno di anticipo i nostri programmatori, l'ala creativa dell'azienda. Anche questo tocca fare al nostro gestore del personale per proteggere le sue preziose risorse.

Perché‚ rispetto all'atteggiamento dissidente qualsiasi risposta gestionale 'normale' è sempre e comunque inadeguata. Mantiene vivo il contratto psicologico con le proprie risorse estreme solo l'impresa che accetta l'idea dell'impossibilità del controllo, tradizionalmente inteso, il caos come forma estrema di ordine.

Non si tratta di arrendersi ad un abbandono del ‘controllo’: si tratta di comprendere che in un quadro segnato dalla complessità non esiste la scelta ottimale, e quindi non può esserci ‘procedura gestionale’: la modalità di gestire, sempre sub-ottimale, ma non per questo inefficace, deve essere ‘inventata’ di volta in volta. Del resto, non gestiscono così il personale i piccoli imprenditori? Da loro in questo abbiamo molto da imparare.

Tornando alle softwarehouses statunitensi: si dice che Microsoft più di altre softwarehouse sia attenta alla serietà dei controlli antidroga. E che invece Sun sia particolarmente tollerante. Non possiamo escludere che esista un legame tra questi diversi atteggiamenti ed il fatto che quel tipico frutto del pensiero 'laterale' che sono Java e Jini siano usciti dai laboratori Sun, e non da quelli Microsoft.

3. FAR FRONTE ALLA MOBILTÀ

Un esempio significativo l’abbiamo sotto gli occhi. Il settore delle telecomunicazioni nel nostro paese, e non solo, è in grande fermento. Ma limitiamoci pure al nostro paese, pur ricordando che il senso del confine nazionale è destinato ad abbassarsi via, perlomeno all’interno dell’Europa.

Comunque, nel settore delle telecomunicazioni il mercato del lavoro è caratterizzato da barriere d’uscita sempre meno efficaci. Difficile trattenere una risorsa pregiata anche con politiche retributive particolarmente premianti. Su quali basi premiare poi? Le competenze tecnologiche chiave si evolvono rapidamente, e si rischia –con i tipici ritardi di un sistema premiante– di giungere a ‘premiare’ una competenza quando questa già inizia a diventare obsoleta. Si dovrebbe premiare la capacità di apprendere e di evolvere da una ‘competenza’ ad un’altra? Ma abbiamo gli strumenti per farlo?

Si dice giustamente che la formazione è efficace se riesce ad essere distintiva. Se discende da una vision, se si lega in modo stretto ed evidente alle strategie ed alla cultura dell’azienda. La formazione acquista valore se si presenta sotto forma di sistema, se è percepita come tale, un insieme dove tutto si tiene, dove il quadro, unico, della nostra formazione, rafforza i singoli contenuti. E questo è vero. Ma così dicendo stiamo ancora guardando la formazione dal punto di vista dell’organizzazione.

Se invece mi ci poniamo l’obiettivo di rivolgerci, attraverso la formazione, alle singole persone –ed anzi, tra queste, proprio a coloro che hanno le aspettative più alte e più personali, originali, non-standard–, allora dobbiamo pensare alla formazione in un altro modo.

Pensare la formazione come ‘sistema di offerta’ rivolto alle singole persone. Sistema di offerta pensato per ‘premiare’ coloro che mostrano interesse a transitare da una competenza all’altra. Coloro che sono più interessati ad apprendere e a cambiare.

Dove gli altri strumenti gestionali mostrano la corda, la formazione diventa il fondamentale strumento di fidelizzazione.

La risorsa che sa che ha mercato, la persona che sa che può cambiare posto domattina, guadagnando di più, perché dovrebbe continuare a lavorare nella mia azienda?

La persona resterà solo se si renderà conto nei fatti che l’azienda si occupa di lui come persona, offrendogli l’opportunità di accrescere le proprie conoscenze.

L’impresa, formando la persona, accetta la trasparenza del mercato; guarda in faccia senza timore, affrontandolo, il rischio di perdere la risorsa. Più formo la persona, più aumento le sue conoscenze, più aumento il suo valore di mercato: aumento quindi anche il rischio di perdere la risorsa. Eppure, paradossalmente, questo è l’unico modo di trattenere la persona. Non perché la persona mi sarà astrattamente riconoscente. Ma perché, concretamente, la persona si sarà resa conto che continuando a lavorare nella mia azienda può accrescere le sue conoscenze, il proprio valore di mercato. Proprio perché la persona è tranquillizata sul fatto che potrà andarsene quando vorrà, per intanto resterà.

Si tratta, dunque, di insistere su un cammino da più parti già intrapreso: costruire i piani formativi su temi legati all’incremento delle singole professionalità, ma anche su temi di ‘cultura generale’. Si tratta di lasciare ampia libertà di partecipazione, sia per quanto riguarda il monte ore totale, sia per quanto riguarda la scelta di singoli corsi e contenuti. Particolarmente efficace sotto questo punto di vista il sistema dei ‘crediti formativi’ –intesi come parte del sistema premiante–: la singola persona dispone liberamente di una sorta di retribuzione aggiuntiva, misurata con una moneta speciale, destinata ad essere spese per accrescere le proprie conoscenze.

4. DISPORRE DELLE RISORSE SENZA DISPORNE

Difficile insomma trovare le ‘persone giuste’, e far sì che continuino a lavorare con noi. Di qui politiche di sviluppo e di gestione innovative: pay for competence, coinvolgimento nei risultati, intense attività di formazione, grande attenzione alla fidelizzazione.

Eppure si tratta di un fattore chiave: le conoscenze delle persone sono forse il più importante degli asset intangibili. e una delle caratteristiche distintive della New Economy sta proprio nel portare alla luce questo fatto: non a caso si stanno addirittura studiando modi per ‘portare a bilancio’ il valore distintivo delle persone.

Vista la difficoltà di trovare, gestire e conservare queste risorse c’è da essere davvero preoccupati.

Ma così come il mercato ci pone di fronte a questa situazione complessa, allo stesso tempo il mercato offre una nuova soluzione. Anche qui siamo di fronte a un apparente paradosso, che se però guardato con attenzione cesserà di apparirci tale.

A ben guardare, in un mercato sempre più segnato dalla mobilità e dalla flessibilità, ha sempre meno senso parlare di nostre persone. Si può anzi sostenere che –in un del mercato del lavoro aperto e de-regolato – le risorse umane sono per definizione fungibili, non fedeli, sempre reperibili sul mercato. Si può anche sostenere che l’impresa non può tempestivamente ed efficacemente sviluppare al suo interno tutte le professionalità rese necessarie dal perseguimento degli obiettivi di business. E questo è vero non solo per professionalità marginali, o standard. È vero anche, e forse sopratutto, per le figure chiave, quelle strettamente necessarie per lo sviluppo del nostro specifico business. Cambiano infatti troppo in fretta le professionalità di volta in volta necessarie. E le esigenze si evolvono tanto rapidamente che si trovano spiazzate anche la direzione risorse umane più attente al recruitment, alle politiche retributive, alla formazione, al knowledge management.

Dunque la generale la tendenza a concentrarsi sul proprio core business, cedendo in outsourcing tutto ciò che è possibile cedere, vale dunque anche lì dove sembrerebbe di primo acchito conveniente operare in termini opposti. Vale anche per le risorse umane.

Piuttosto che investire in risorse che saranno pronte in un imprevedibile futuro, anche per quanto riguarda le persone, appare efficace ragionare in termini di just in time: solo quelle giuste, solo quando servono. L’imprenditore, o il Direttore Risorse Umane, portando all’estremo tutti i discorsi sulla centralità delle persone, potrà ragionevolmente sostenere: società specializzate che rispondono alle esigenze di centinaia di migliaia di aziende in tutto il mondo, e che dispongono di un parco risorse composto da milioni di persone, avranno pure la risposta giusta alla mia esigenza. La persona che fa per me, già formata, capace di portare da subito il suo contributo al business.

Il ricorso a lavoro interinale diventa quindi una fondamentale leva strategica. Fondamentale, perché ciò che attraverso queste società veramente oggi si cerca non è mano d’opera a basso costo, necessaria per far fronte a punte stagionali o contingenti nel carico di lavoro. Ciò che si cerca è la figura professionale di alto profilo, il tecnico specializzato, il manager.

Di qui un mercato in notevole crescita, che vede operare società già fornitrici di consulenza e di servizi in senso lato, ma che ha come leader Adecco e Manpower, società che di questo specifico servizio fanno il core business. Società operanti da tempo, ma il cui successo arriva, sul mercato globale, con l’evoluzione del mercato del lavoro che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni: contratti ‘leggeri’, flessibilità, mobilità, velocità, presenza della Rete.

Per questa via, a fronte di un buon contratto di outsourcing, la buona vecchia Direzione del Personale vedrà riconfigurato il proprio ruolo, così come sta accadendo per analoghi motivi alle Direzioni Information & Communication Technology.

Il presidio aziendale delle Risorse Umane non è più nell’obbligo di svolgere materialmente attività: selezione, recruitment, compensation, sistemi retributivi e premianti, valutazione, outplacement, gestione di esuberi, amministrazione del personale, tutto può essere affidato all’esterno.

Dire che attività possono essere affidate all’esterno non significa dire che debbono essere affidate all’esterno. Ma il venir meno dell’obbligo di farsi carico di tutto può essere inteso come una liberazione: ci si potrà concentrare sul core business, ovvero sul difficile compito di individuare di volta in volta il modo migliore per ‘portare in casa’, e di far si che ‘non se ne vadano troppo presto’, persone in grado di elaborare nuove idee, persone dotate di capacità creative, capacità di pensare in modo ‘diverso’.

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