"BE THERE
HERE"
di Francesco Varanini
Alle radici dei mondi virtuali.
Il nostro corpo fisico risiede in un qualsiasi luogo. Ma la nostra mente, può nel
frattempo visitare mondi lontanissimi. Ciò é sempre stato vero: l'arte e la letteratura
non sono altro che costruzioni di mondi possibili, nei quali é bello viaggiare. E
'viaggi' non a caso chiamiamo gli 'stati alterati di coscienza' raggiungibili attraverso
l'assunzione di allucinogeni.
Di nuovo c'é solo il fatto che oggi -in virtù di un salto tecnologico- possiamo
'abitare' in modo più ricco e coinvolgente i 'mondi possibili'. Perché se già leggere
un libro era un modo di viaggiare, nel corso dell'ultimo secolo si sono fatti passi da
gigante. Non tanto con il cinema, che incentiva la nostra immedesimazione nel mondo
narrato attraverso il misterioso buio della sala. Non tanto con la televisione, che
tramite l'uso del telecomando, ci permette, in modo ancora troppo approssimativo, di
costruire assemblando spezzoni diversi di realtà un mondo solo nostro. Non tanto
immergendoci nelle meraviglie di un videogioco.
Il vero grande passo verso i mondi virtuali non l'abbiamo compiuto né con il cinema, né
con la televisione, né con il personal computer. L'abbiamo compiuto cent'anni fa con il
telefono. Ma il mutamento era di una tale portata che solo oggi ci risulta abbastanza
evidente. Come recita un recente, azzeccato slogan della madre di tutte le compagnie
telefoniche, l'AT&T: Be there here ('Sii lì qui'). Il telefono crea un non-luogo
-appunto: un mondo virtuale- nel quale si situa il nostro colloquio con l'interlocutore.
Il telefono ci appare così finalmente per quello che é: un apparato che fa sparire lo
spazio circostante e apre uno spazio duplicato. Sei 'realmente' qui, con il tuo corpo e la
cornetta in mano, ma se anche 'virtualmente' lì. E altrettanto vale per l'interlocutore:
anche lui, dovunque sia il suo corpo (da dovunque chiami, non importa l'ubicazione fisica
né la distanza), é virtualmente lì - e l'incontro si realizza così in questo strano
luogo luogo che chiamiamo oggi 'ciberspazio': universo parallelo di mere informazioni,
luogo fittizio, ma vissuto come 'reale': l'indefinito 'posto' nel quale gli interlocutori
si incontrano e comunicano effettivamente.
A chi conosce le potenzialità delle tecnologie, e a chi piace disegnare mondi futuribili,
l'interazione permessa dal telefono appare veramente povera: ci permette sì di essere
presenti in questo luogo virtuale, ma ancora solo attraverso la nostra voce. Del resto,
quasi altrettanto povera é la 'presenza' che ci offre oggi Internet: siamo presenti solo
attraverso la nostra parola scritta, al massimo accompagnata dalla nostra immagine.
Le future possibilità di interazione, in effetti, sembrano essere molto più ricche:
attraverso gli stessi cavi lungo i quali viaggiava prima solo la voce (il 'doppino'
telefonico), e in misura maggiore attraverso le più veloci e capienti fibre ottiche,
potranno viaggiare -si dice- non solo la nostra voce e la nostra immagine, ma le nostre
stesse capacità di ascoltare, di vedere, di percepire sensazioni tattili e olfattive.
A questo scopo, si sa, lavorano da anni schiere di progettisti di hardware e di software.
Caschi e occhiali destinati a sostituire gli schermi del computer. Wired gloves, guanti
dotati di sensori. Data suites, sistemi di sensori per l'intero corpo. Ambienti
multiutenti come i MUD (Multi-User Domains): simulatori di realtà, spazi privi di
coordinate, immateriali luoghi vuoti nei quali ci si trova collettivamente a fluttuare,
privi dei punti di riferimento ai quali siamo abituati. Moving Worlds, oggetti 'dinamici'
e 'sensoriali' dotati di una loro Vita Artificiale: non solo capaci di interagire con
l'utente, ma capaci di comportamento autonomo.
E dunque, forse, in un futuro non remoto andremo a lavorare uscendo dalla camera da letto,
facendo colazione, e poi indossando una tuta che connetterà noi ed i colleghi con
l'ambiente di lavoro, il nostro ufficio virtuale.
Ma il punto nodale non pare questo. Anzi, guardare a un domani futuribile può essere un
buon alibi per non guardarsi intorno. Molto più importante é capire cosa é già
cambiato e cosa sta cambiando oggi. Torniamo al telefono, e all'inizio del secolo. Per una
ventina d'anni le idee sul come utilizzare quella strana tecnologia rimasero confuse.
Ancora attorno al 1910 si lavorava a progettare sistemi che oggi chiameremmo di
broadcasting; e cioé sistemi organizzati attorno una stazione centrale. Qualcosa di
simile a quella che sarebbero poi state la radio o la televisione, un servizio di
informazioni e di intrattenimento al quale, previo abbonamento, sarebbe stato possibile
collegarsi. Nessuno, inizialmente, pensava ad una rete capillare, bidirezionale, operante
sulla lunga distanza, attraverso la quale chiunque potesse entrare in contatto con
chiunque.
La chiave del successo del telefono, che solo adesso con il senno di poi ci appare ovvia,
fu invece -ed é- proprio l'idea della rete. Una rete dove il servizio offerto é la
connessione, e dove il gestore non si occupa assolutamente dei contenuti, che restano una
faccenda privata degli utenti. Il mezzo crea per noi un mondo virtuale, ma ci lascia la
libertà di abitarlo come ci pare. Ed é proprio questa l'idea che, potenziata dalle
opportunità offerte dai personal computer, ha preso una nuova più complessa forma, ed é
sulla bocca di tutti con il nome di Internet. Oggi una rete di collegamenti via cavo e via
etere connette oggi ogni luogo ed ogni persona. E non importa, in fondo, chi siamo davvero
né dove siamo davvero; importa come appariamo -o meglio: come scegliamo di apparire- a
chi entra in contatto con noi in questo luogo d'incontro virtuale che é il ciberspazio.
La Rete dunque come metafora del reale, la Rete come luogo d'incontro e di relazioni
sociali, la Rete come mercato. Ma come fare ad 'essere lì'? Come possiamo abitare il
mondo virtuale che é la Rete, continuando ad essere noi stessi, conservando la nostra
cultura e magari i nostri vantaggi competitivi? Queste sembrano le domande. Domande alle
quali potremo tentare di rispondere solo accettando di riconsiderare atteggiamenti
consolidati.
Confini. Siamo abituati a ragionare in termini di confini inequivocabili e chiaramente
tracciati. Paesi e comunità economiche sono separati da frontiere, e a queste frontiere
corrispondono lingue e monete diverse, barriere tariffarie, differenze normative. Tutto
questo, nel mondo virtuale della Rete, non é più vero. Il percorso per collegare un
punto ad un altro qualsiasi punto é irrilevante ed invisibile. Ogni norma ed ogni confine
tradizionale possono essere per definizione scavalcati.
Il dentro e il fuori. L'assenza di confini può essere vista anche in termini più
metaforici. Se la Rete copre tutto il territorio, e collega (come già oggi la rete
telefonica) tutti i consumatori e chiunque lavori, diventa impossibile e irrilevante
definire una volta per tutte i confini di una organizzazione. I confini possono essere
disegnati di volta in volta: a seconda di come la si voglia guardare (di come sia
conveniente guardarla in una certa circostanza), l'organizzazione comprende la produzione
e i fornitori; il vertice aziendale e gli enti centrali; oppure il marketing, il trade ed
i consumatori. Tempo. La Rete é sempre attiva, al di là del giorno e della notte e delle
differenze di fuso orario. La Rete azzera le distanze tra luogo e luogo. Così tendono a
scomparire i tempi morti; e ha sempre meno senso parlare di 'orario di lavoro', perché lo
stesso confine tra tempo libero e tempo di lavoro sfuma fino a scomparire. Essere connessi
permette di lavorare o di fare qualsiasi altra cosa, contemporaneamente, in qualsiasi
momento e da qualsiasi luogo.
Asincronicità. L'uso del tempo, del resto, si piega alle scelte soggettive. Perché siamo
sempre collegati, quindi potenzialmente in grado di interagire in qualsiasi momento con
chiunque. Ma possiamo imporci, anziché subire. Come dimostra già l'uso della segreteria
telefonica, intesa come filtro, nessuno ci obbliga a rispondere subito e a tutti. Pubblico
e privato. Tutte le informazioni viaggiano su una stessa Rete. Ma quale informazione può
diventare pubblica, e quale deve restare privata? Potremo innalzare difese elettroniche
proteggendo le informazioni strategiche, ma dovremo sempre ricordare che ogni difesa può
essere violata. Perciò, più che operare in termini di controllo, appare ragionevole
accettare l'inevitabilità della trasparenza, riplasmando su questa base la propria
immagine.
Anonimato, proliferazione delle immagini, molteplicità. Nel mondo reale l'immagine di
ogni persona fisica e di ogni azienda appaiono legate a una professionalità, a una
specifica competenza, ad un settore di attività. Invece lì nel ciberspazio ogni persona
fisica ed ogni azienda potranno giocare ruoli diversi, a seconda delle circostanze, dei
desideri e delle opportunità. Ognuno potrà essere conosciuto sulla Rete con diverse
immagini. Potremo scomporci in diverse 'persone', ognuna con il suo nome, ognuna con la
fama di 'esperto' di una specifica attività. Inizia così ad apparire al nostro sguardo
uno scenario radicalmente nuovo, nel quale dovremo apprendere a muoverci. Con qualche
difficoltà, perché l'esplorazione di questo nuovo mondo é resa difficile, in
particolare in Italia, dalla forbice di un duplice eccesso.
L'eccesso, da un lato, di chi temendo di non riuscire a capire e a cambiare, si rifiuta di
fare i conti con la portata rivoluzionaria dell'Information & Communication
Technology, e continua a pensare con modalità e strumenti buoni per un mondo diverso da
quello che abbiamo ormai sotto gli occhi. Quella del libro e della parola scritta su
carta, infatti, é stata certamente un'ottima tecnologia - ma oggi, dopo cinquecento anni,
mostra la corda. E l'eccesso, dall'altro lato, degli apologeti del nuovo, entusiasti
promotori e utenti di ogni novità tecnica, troppo spesso però poco attenti al retroterra
culturale, al significato nascosto in un hardware o in un software apparentemente
neutrale. Preso in questa forbice, il nostro paese rischia di restare lontano dai nodi
centrali della Rete.