L'ORO E L'IMMONDIZIA (NEI SISTEMI INFORMATIVI)
Un consueto e quasi indiscusso
luogo comune relativo alla filosofia dei sistemi informativi suona così:
'garbage in - garbage out'. Potremmo tradurre: 'immondizia dentro - immondizia
fuori'.
Il sistema informativo, cioè, ci appare in grado di restituirci, magari
diversamente organizzate, solo le informazioni che vi sono state immesse. Di
fronte alla delusione dell'utente per la carenza di informazioni per lui rilevanti,
questa è ancora oggi una abbastanza comune, risposta dello specialista,
dello sviluppatore. Risposta del tipo: 'non venitemi a dire che l'output è
insignificante'. Andatelo semmai a raccontare a chi ha chiesto di realizzare
la base dati, a chi ha caricato le informazioni. L'onere, la responsabilità
di conoscere le informazioni conservate ricade insomma sul committente. Solo
lui sa 'cosa è stato messo dentro', e quindi 'cosa potrà essere
tirato fuori'. Tutto questo appare scontato - come potrebbe essere altrimenti?
Come potrebbe essere possibile pensare che il sistema informativo crei valore,
sia in grado di trasformare cattive informazioni in buone informazioni?
Eppure il luogo comune può essere facilmente smontato. Tutto quanto affermato
nel capoverso precedente è falso.
In effetti, a prescindere dalla qualità delle informazioni immesse, si
può affermare che, di per sé, una base dati crea valore. Infatti
il luogo comune informatico cozza con un dato di fatto già ben noto ai
primi studiosi di cibernetica (si pensi a Gregory Bateson). Ciò che conta
non sono le singole informazioni, che sono commodities, oggetti scarsamente
significanti, probabilmente identici o simili a enne altri oggetti presenti
in altri basi dati. Ciò che conta sono le connessioni, i nuovi percorsi
di senso che vengono alla luce concatenando in modo nuovo e innovativo le informazioni.
Si può dunque affermare che fonte del valore non sono le informazioni
inizialmente immesse, fonte del valore sono le connessione tra oggetto e oggetto,
informazione e informazione.
Del resto, cosa è un DBMS se non appunto un 'motore di connessioni'?
Questo è vero per ogni classe di Data Base, è vero per ogni base
dati strutturata. Ed è a maggior misura vero per i Data Base appoggiati
su DBMS relazionali ed ad oggetti. E ancor più per le basi dati distribuite.
Ed ancor più se si pensa a Internet come sconfinato data base distribuito.
Ciò non significa ignorare il fatto che le singole basi dati -molte basi
dati- hanno scopi limitati e definiti a priori, sono parte di procedure caratterizzate
da output predefiniti. Si può però oggi partire dal dato di fatto
che, sempre, la singola base dati non conta di per sé. Ciò che
conta, e che è fonte di valore, è sempre l'architettura complessiva,
il sistema delle transazioni, il middleware, la possibilità comunque
presente di integrare applicazioni e quindi condividere informazioni. I sistemi
informativi,oggi, non possono essere visti come sistemi chiusi: sono sempre
e comunque sistemi aperti e complessi.
Non è dato di sapere a priori con esattezza la ricchezza che un sistema
informativo sarà in grado di generare. Ma è certo che esiste una
ricchezza latente, ricchezza che si manifesta solo se si va al di là,
se non ci si limita ad utilizzare il sistema solo per chiedere di vedersi restituite
le informazioni che si sa già che il sistema potrà restituire.
La vera ricchezza del sistema, le nuove connessioni che il sistema è
in grado di generare, appaiono come un fenomeno non-lineare: causa e effetto
non sono proporzionali; il tutto è più (o meno)
della somma delle parti
Non diciamo che la macchina possa fare qualcosa che non sa fare l'uomo (senza
sottovalutarle, non illudiamoci troppo a proposito delle risorse di software
del tipo 'reti neurali', o di altre forme di intelligenza artificiale). Diciamo
però che la parte più significativa e ricca del lavoro umano non
si estrinseca nella capacità di raccogliere o di selezionare le informazioni
da immettere, ma nell'utilizzo della base dati, di ogni base dati, come fonte
potenziale di nuove connessioni.
Ora, se committente e progettista, di fronte ad un nuovo sistema informativo
dai implementare,
Se il progettista ragionano nella logica 'immondizia dentro immondizia fuori'
si preoccuperanno di costruire una architettura fondata su un 'ordine' astrattamente
'perfetto'- che magari garantirà tempi di risposta ottimizzati ove si
utilizzi la base dati solo per le query (le richieste di informazioni) previste
a priori. Magro vantaggio, inutile ottimizzazione, se si pensa che in realtà
la vera fonte di ricchezza sta in interrogazioni estemporanee, o interrogazioni
incrociate su questo e su altri data base contemporaneamente.
Se invece nel progettare ci si arrende al disordine e alla complessità
si avranno architetture a strati, sofisticate e complesse e tendenzialmente
lente.
Dobbiamo domandarci: all'utente evoluto, al knowledge worker, al decision maker,
interessa avere a disposizione un sistema veloce come una scheggia ma chiuso?
Crediamo gli interessi di più un sistema che è anche magari ridondante
e 'rumoroso', ma è in grado di fornire informazioni ricche e sempre nuove.
Perché appunto, a saperci fare, dall'immondizia si può trarre
oro.