QUOD SCIMUS LOQUIMUR, ET QUOD VIDIMUS TESTAMUR
Talvolta occorre prendere
le distanze dai sottocodici tecnici e dai lessici anglicizzanti. Solo risalendo
alle radici delle espressioni potremo coglierne il valore profondo.
Pensiamo al gesto apparentemente banale del personaggio pi- o meno noto che
ostenta di fronte ai nostri occhi un prodotto. Diremmo di primo acchito che
è un gesto sacerdotale? Eppure è proprio la Bibbia a dirci tutto
sul testimonial.
Buona norma vuole che un solo testimone non possa bastare a convincere un uomo,
eppure sarà proprio sulla parola di due o tre testimoni che si deciderà
ogni affare. E sopratutto, è testimonial chi può dire:
quod scimus loquimur, et quod vidimus testamur. La solenne sinteticità
del latino attribuisce una particolare efficacia al messaggio: il testimone
è tale solo se è onesto, solo se parla di ciò che sa e
attesta ciò che vede.
Una sola radice infatti accomuna le parole testimone, testimoniare, attestare,
e rimanda al numero tre. A significare che il testimone, colui che attesta,
è sempre una terza persona. Il gioco è dunque una triangolazione
tra prodotto, destinatario del messaggio e testimone. Se il destinatario del
messaggio riconosce al testimone un carisma (ovvero, dicevamo, il dono di parlare
solo di ciò che sa e di ciò che ha sperimentato), allora la stima
si trasferisce dal testimone al prodotto testimoniato. Dallo scambio retorico
il prodotto ne esce rinforzato nell'immagine, ma anche, ed è quel che
pi- conta, nel vissuto simbolico.
Qui ancora ci soccorre la Parola: il testimone credibile, autorevole, non sa
parlare solo 'delle cose della terra', ma anche 'delle cose del cielo', e cioè
dare risposte ai nostri bisogni profondi, ai nostri desideri segreti. E anche
questa capacità di risposta 'immateriale' sarà trasferita dal
buon testimone al prodotto. (Questo, del resto, era già stato detto da
Marx: solo nel "nebuloso mondo delle religioni" troveremo la spiegazione
del funzionamento del "misterioso mondo nelle merci").
Così il semplice gesto del testimone che alza per noi il bicchiere (o
la tazzina colma di caffè) acquista un significato eucaristico -il bicchiere
contiene il corpo, il sangue e l'anima del testimone. E il prodotto, al di là
del suo specifico uso, tramite la mediazione del testimone, ci appare come strumento
salvifico.
Non è probabilmente un caso che i generi merceologici cui più
efficacemente si adatta il gioco della testimonianza siano quelli immediatamente
legati alla persona, al suo corpo, ai suoi comportamenti elementari: in questi
casi il quod scimus loquimur, et quod vidimus testamur appare
più immediatamente credibile. Si veda, in questa nostra breve rassegna,
come le testimonianze pi- efficaci appaiono quelle legate ai comportamenti elementari
della persona: la sua pulizia (intesa metaforicamente anche in senso morale);
gli occhiali - che rimandano al modo di guardare il mondo; l'orologio - che
rimanda al trascorrere del tempo, e quindi alla coerenza e alla fedeltà
a se stessi; l'abbigliamento, che ci parla ancora dell'immagine di sé,
oltre che di decoro e di modo rapportarsi con gli altri.
Vanno rivalutate in questa luce le semplici testimonianze, apparentemente povere,
che caratterizzavano molte campagne anni cinquanta, ma che ritroviamo in campagne
recenti, e che possiamo sinteticamente definire 'senza parole'. Infatti, se
la testimonianza vale, se è credibile il 'parlo di quello che so e che
ho verificato', la pagina 'parla da sé', ed ogni headline, ogni pay off
ogni complicazione grafica è, al limite, di troppo.
In questa logica, il messaggio giocato sul testimonial vede scemare la
sua efficacia nella misura in cui il quod scimus loquimur, et quod vidimus
testamur non riesce ad essere credibile.
Ciò accade in due situazioni entrambe originariamente legate al medium
televisivo (ma che è facile incontrare anche nella pubblicità
su stampa).
La prima situazione vede in azione testimoni buoni per tutte le stagioni e per
tutti i prodotti: pensiamo per esempio a Mike Bongiorno. Qui il valore profondo
della testimonianza è del tutto assente; il messaggio è privo
di spessore: è, alla lettera, nient'altro che un 'consiglio per l'acquisto'.
Il gioco di triangolazione simbolica, dunque, si svolge a un livello più
superficiale: il livello di coinvolgimento del terzo è basso: non ci
appare come colui che si fa carico della soddisfazione di un nostro bisogno,
profondo, vitale, soggettivamente rilevante; ci appare invece solo come una
sorta di intermediario di una operazione commerciale: colui che ci stimola a
compiere un gesto di rilievo economico, cedere denaro in cambio di un bene che
forse, chissà, ci sarà utile. Forse, chissà, perché
tutto è giocato su un piano di illusione condivisa: il messaggio fa parte
di uno spettacolo, di una scena recitata, che si sa non vera, che si
sente lontana dai nostri bisogni profondi.
La seconda situazione ci mostra il corpo dello sportivo -Tomba, ad esempio-
coperto letteralmente dalla testa ai piedi di marchi commerciali. Qui lo stesso
uso del corpo -così coperto, così usato- toglie valore di verità
alla testimonianza. Nessuno del resto si preoccupa se Tomba usa davvero quel
prodotto; perché anche qui il gioco è giocato a livelli superficiali.
Non conta che l'esposizione: il tempo durante il quale, anche involontariamente,
guarderemo il marchio.
In entrambi i casi il testimone appare, anziché, com'è giusto,
usato, abusato. Attenzione, però: criticare l'abuso non significa spostarsi
sul terreno dell'etica. Non diciamo che esiste un uso buon o cattivo. Diciamo
che esiste una testimonianza più o meno efficace. E che dove il personaggio
è sovraesposto, e la testimonianza è multipla, l'efficacia tende
a diminuire.
La ragione è che in questi casi non si metterà in moto la macchina
simbolica: tutto funzionerà magari ottimamente come laico invito ad andare
subito a comprare. Ma non scatterà la molla 'religiosa' dell'attribuzione
di un valore 'profondo' al prodotto (in questo senso, si tratterà di
una falsa testimonianza).
Proprio questa grande identificazione simbolica fa del testimonial, del resto,
un'arma a doppio taglio: rischioso legare le sorti di un prodotto a un personaggio
i cui comportamenti personali, potranno essere, domani, contradditori con l'immagine
consolidata; difficile, dopo anni, tagliare il cordone ombelicale che lega il
testimone al prodotto.
Ecco dunque l'idea, messa in pratica in tante note campagne, del testimone plurimo.
Più persone parlano a noi in nome del prodotto. Con il che, se da un
lato è evitato il rischio di eccesso di identificazione, dall'altro si
incrementa l'efficacia simbolica, nel senso di diverse testimonianze concordanti
convergenti sull'oggetto del messaggio: del resto, non citavamo sopra che "un
solo testimone non può bastare per convincere un uomo"?
Potrà trattarsi, in questo caso, di una persona come noi (è
il caso del testimone anonimo della lunga campagna Jägermeister), o di
un personaggio dotato di una sua notorietà: e in questo caso potrà
innescarsi un più complesso gioco di triangolazione, perché
nel mentre il testimone illustre trasferisce la sua notorietà sul prodotto,
nell'offrirsi come testimone degno di un prodotto stimato, incrementa al contempo
la propria notorietà, o la notorietà della ditta o del prodotto
di cui è simbolico rappresentante (è il caso di note campagne
American Express e Swissair).
Il gioco della triangolazione potrà essere anche altrimenti articolato:
in modi diversi, sempre spostamenti orientati a prendere le distanze dalla falsa
testimonianza del 'consigliere d'acquisto'. Se l'immagine del testimone è
abusata, si potrà giocare intorno alla sua assenza. Ed ecco pagine costruite
attorno alla nuda fotografia (non a caso una fotografia in bianco e nero, d'epoca,
pretelevisiva, evocativa, come nelle pagine delle calzature Todd's), al solo
nome (Andreotti testimone involontario di diversi prodotti), alla semplice firma,
che può anche finire con l'essere -estremo tentativo di trasferire valore
simbolico dal terzo al prodotto- il marchio stesso (è il caso della penna
Hemingway). O pagine costruite in modo ancora più retoricamente mediato
attorno al ricordo del personaggio, alla sua eco simbolica: il disco
Parlophon che sta per i Beatles, pietre che stanno per i Rollig Stones.
Qui i confini del genere si sfumano: non si può pi- parlare in senso
stretto di testimonial, ma del testimonial resta il senso profondo, ovvero la
presenza simbolica del terzo.
A ben guardare, il testimonial è la sintesi fatta carne di ogni forma
di advertising; parlando di testimonial parliamo, metaforicamente, di
pubblicità in senso lato. Su ogni messaggio pubblicitario aleggia infatti
la presenza del terzo simbolico; e dietro ogni marchio, brand, image è
possibile intravedere la persona alla cui capacità e autorevolezza risale
alla fin fine il valore del prodotto (il fondatore, l'ideatore, e anche dietro
il marchio della Coca Cola l'immagine del vecchio farmacista che traffica nel
suo retrobottega).
Nota. Per citazioni bibliche
vedi: Dt 19, 15; Mt 18 15-16; Gio 3, 11; 2 Cor 13, 1; Gio 3, 11; Ac 1,8; Ap
1, 5. Il testo latino (Gio 3, 11) è citato dall'ed. di Eberhard Nestle
(Württembergische Bibelanstalt, Stuttgart).
Sull'etimo di 'testimone', 'attestare' ecc. vedi R. Grandsaignes d'Hauterive,
Dictionnaire des racines des langues européennes, Larousse.
Karl Marx, Il Capitale, Libro Primo, Prima Sezione, Capitolo Primo, Paragrafo
Quarto: "Il carattere di feticcio della merce e il suo segreto".
Per il concetto di 'efficacia simbolica' vedi Claude Levi-Strauss, Anthropologie
structurale, 1958; trad it. Antropologia strutturale, Il Saggiatore,
capitolo X (e, nel capitolo precedente, le pagine dedicate allo sciamano Quesalid).