BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 24/12/2001

QUOD SCIMUS LOQUIMUR, ET QUOD VIDIMUS TESTAMUR

di Francesco Varanini

Talvolta occorre prendere le distanze dai sottocodici tecnici e dai lessici anglicizzanti. Solo risalendo alle radici delle espressioni potremo coglierne il valore profondo.
Pensiamo al gesto apparentemente banale del personaggio pi- o meno noto che ostenta di fronte ai nostri occhi un prodotto. Diremmo di primo acchito che è un gesto sacerdotale? Eppure è proprio la Bibbia a dirci tutto sul testimonial.
Buona norma vuole che un solo testimone non possa bastare a convincere un uomo, eppure sarà proprio sulla parola di due o tre testimoni che si deciderà ogni affare. E sopratutto, è testimonial chi può dire: quod scimus loquimur, et quod vidimus testamur. La solenne sinteticità del latino attribuisce una particolare efficacia al messaggio: il testimone è tale solo se è onesto, solo se parla di ciò che sa e attesta ciò che vede.
Una sola radice infatti accomuna le parole testimone, testimoniare, attestare, e rimanda al numero tre. A significare che il testimone, colui che attesta, è sempre una terza persona. Il gioco è dunque una triangolazione tra prodotto, destinatario del messaggio e testimone. Se il destinatario del messaggio riconosce al testimone un carisma (ovvero, dicevamo, il dono di parlare solo di ciò che sa e di ciò che ha sperimentato), allora la stima si trasferisce dal testimone al prodotto testimoniato. Dallo scambio retorico il prodotto ne esce rinforzato nell'immagine, ma anche, ed è quel che pi- conta, nel vissuto simbolico.
Qui ancora ci soccorre la Parola: il testimone credibile, autorevole, non sa parlare solo 'delle cose della terra', ma anche 'delle cose del cielo', e cioè dare risposte ai nostri bisogni profondi, ai nostri desideri segreti. E anche questa capacità di risposta 'immateriale' sarà trasferita dal buon testimone al prodotto. (Questo, del resto, era già stato detto da Marx: solo nel "nebuloso mondo delle religioni" troveremo la spiegazione del funzionamento del "misterioso mondo nelle merci").
Così il semplice gesto del testimone che alza per noi il bicchiere (o la tazzina colma di caffè) acquista un significato eucaristico -il bicchiere contiene il corpo, il sangue e l'anima del testimone. E il prodotto, al di là del suo specifico uso, tramite la mediazione del testimone, ci appare come strumento salvifico.
Non è probabilmente un caso che i generi merceologici cui più efficacemente si adatta il gioco della testimonianza siano quelli immediatamente legati alla persona, al suo corpo, ai suoi comportamenti elementari: in questi casi il quod scimus loquimur, et quod vidimus testamur appare più immediatamente credibile. Si veda, in questa nostra breve rassegna, come le testimonianze pi- efficaci appaiono quelle legate ai comportamenti elementari della persona: la sua pulizia (intesa metaforicamente anche in senso morale); gli occhiali - che rimandano al modo di guardare il mondo; l'orologio - che rimanda al trascorrere del tempo, e quindi alla coerenza e alla fedeltà a se stessi; l'abbigliamento, che ci parla ancora dell'immagine di sé, oltre che di decoro e di modo rapportarsi con gli altri.
Vanno rivalutate in questa luce le semplici testimonianze, apparentemente povere, che caratterizzavano molte campagne anni cinquanta, ma che ritroviamo in campagne recenti, e che possiamo sinteticamente definire 'senza parole'. Infatti, se la testimonianza vale, se è credibile il 'parlo di quello che so e che ho verificato', la pagina 'parla da sé', ed ogni headline, ogni pay off ogni complicazione grafica è, al limite, di troppo.
In questa logica, il messaggio giocato sul testimonial vede scemare la sua efficacia nella misura in cui il quod scimus loquimur, et quod vidimus testamur non riesce ad essere credibile.
Ciò accade in due situazioni entrambe originariamente legate al medium televisivo (ma che è facile incontrare anche nella pubblicità su stampa).
La prima situazione vede in azione testimoni buoni per tutte le stagioni e per tutti i prodotti: pensiamo per esempio a Mike Bongiorno. Qui il valore profondo della testimonianza è del tutto assente; il messaggio è privo di spessore: è, alla lettera, nient'altro che un 'consiglio per l'acquisto'. Il gioco di triangolazione simbolica, dunque, si svolge a un livello più superficiale: il livello di coinvolgimento del terzo è basso: non ci appare come colui che si fa carico della soddisfazione di un nostro bisogno, profondo, vitale, soggettivamente rilevante; ci appare invece solo come una sorta di intermediario di una operazione commerciale: colui che ci stimola a compiere un gesto di rilievo economico, cedere denaro in cambio di un bene che forse, chissà, ci sarà utile. Forse, chissà, perché‚ tutto è giocato su un piano di illusione condivisa: il messaggio fa parte di uno spettacolo, di una scena recitata, che si sa non vera, che si sente lontana dai nostri bisogni profondi.
La seconda situazione ci mostra il corpo dello sportivo -Tomba, ad esempio- coperto letteralmente dalla testa ai piedi di marchi commerciali. Qui lo stesso uso del corpo -così coperto, così usato- toglie valore di verità alla testimonianza. Nessuno del resto si preoccupa se Tomba usa davvero quel prodotto; perché anche qui il gioco è giocato a livelli superficiali. Non conta che l'esposizione: il tempo durante il quale, anche involontariamente, guarderemo il marchio.
In entrambi i casi il testimone appare, anziché, com'è giusto, usato, abusato. Attenzione, però: criticare l'abuso non significa spostarsi sul terreno dell'etica. Non diciamo che esiste un uso buon o cattivo. Diciamo che esiste una testimonianza più o meno efficace. E che dove il personaggio è sovraesposto, e la testimonianza è multipla, l'efficacia tende a diminuire.
La ragione è che in questi casi non si metterà in moto la macchina simbolica: tutto funzionerà magari ottimamente come laico invito ad andare subito a comprare. Ma non scatterà la molla 'religiosa' dell'attribuzione di un valore 'profondo' al prodotto (in questo senso, si tratterà di una falsa testimonianza).
Proprio questa grande identificazione simbolica fa del testimonial, del resto, un'arma a doppio taglio: rischioso legare le sorti di un prodotto a un personaggio i cui comportamenti personali, potranno essere, domani, contradditori con l'immagine consolidata; difficile, dopo anni, tagliare il cordone ombelicale che lega il testimone al prodotto.
Ecco dunque l'idea, messa in pratica in tante note campagne, del testimone plurimo. Più persone parlano a noi in nome del prodotto. Con il che, se da un lato è evitato il rischio di eccesso di identificazione, dall'altro si incrementa l'efficacia simbolica, nel senso di diverse testimonianze concordanti convergenti sull'oggetto del messaggio: del resto, non citavamo sopra che "un solo testimone non può bastare per convincere un uomo"?
Potrà trattarsi, in questo caso, di una persona come noi (è il caso del testimone anonimo della lunga campagna Jägermeister), o di un personaggio dotato di una sua notorietà: e in questo caso potrà innescarsi un più complesso gioco di triangolazione, perché‚ nel mentre il testimone illustre trasferisce la sua notorietà sul prodotto, nell'offrirsi come testimone degno di un prodotto stimato, incrementa al contempo la propria notorietà, o la notorietà della ditta o del prodotto di cui è simbolico rappresentante (è il caso di note campagne American Express e Swissair).
Il gioco della triangolazione potrà essere anche altrimenti articolato: in modi diversi, sempre spostamenti orientati a prendere le distanze dalla falsa testimonianza del 'consigliere d'acquisto'. Se l'immagine del testimone è abusata, si potrà giocare intorno alla sua assenza. Ed ecco pagine costruite attorno alla nuda fotografia (non a caso una fotografia in bianco e nero, d'epoca, pretelevisiva, evocativa, come nelle pagine delle calzature Todd's), al solo nome (Andreotti testimone involontario di diversi prodotti), alla semplice firma, che può anche finire con l'essere -estremo tentativo di trasferire valore simbolico dal terzo al prodotto- il marchio stesso (è il caso della penna Hemingway). O pagine costruite in modo ancora più retoricamente mediato attorno al ricordo del personaggio, alla sua eco simbolica: il disco Parlophon che sta per i Beatles, pietre che stanno per i Rollig Stones.
Qui i confini del genere si sfumano: non si può pi- parlare in senso stretto di testimonial, ma del testimonial resta il senso profondo, ovvero la presenza simbolica del terzo.
A ben guardare, il testimonial è la sintesi fatta carne di ogni forma di advertising; parlando di testimonial parliamo, metaforicamente, di pubblicità in senso lato. Su ogni messaggio pubblicitario aleggia infatti la presenza del terzo simbolico; e dietro ogni marchio, brand, image è possibile intravedere la persona alla cui capacità e autorevolezza risale alla fin fine il valore del prodotto (il fondatore, l'ideatore, e anche dietro il marchio della Coca Cola l'immagine del vecchio farmacista che traffica nel suo retrobottega).

Nota. Per citazioni bibliche vedi: Dt 19, 15; Mt 18 15-16; Gio 3, 11; 2 Cor 13, 1; Gio 3, 11; Ac 1,8; Ap 1, 5. Il testo latino (Gio 3, 11) è citato dall'ed. di Eberhard Nestle (Württembergische Bibelanstalt, Stuttgart).
Sull'etimo di 'testimone', 'attestare' ecc. vedi R. Grandsaignes d'Hauterive, Dictionnaire des racines des langues européennes, Larousse.
Karl Marx, Il Capitale, Libro Primo, Prima Sezione, Capitolo Primo, Paragrafo Quarto: "Il carattere di feticcio della merce e il suo segreto".
Per il concetto di 'efficacia simbolica' vedi Claude Levi-Strauss, Anthropologie structurale, 1958; trad it. Antropologia strutturale, Il Saggiatore, capitolo X (e, nel capitolo precedente, le pagine dedicate allo sciamano Quesalid).

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