BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 16/12/2002

I VERI MAESTRI SONO RARI, E SONO QUASI SEMPRE INVOLONTARI. IVAN ILLICH

di Francesco Varanini

I veri maestri sono rari, e sono quasi sempre involontari. Ivan Illich era nato a Vienna il 4 settembre 1926. E’ morto a Brema il 4 dicembre 2002.

Jacques Maritain, docente a Princeton, riceve la visita di un suo ex-allievo. Un giovane sacerdote che ha di recente lasciato la parrocchia di uno slum di New York per "un incarico di tipo amministrativo nel campo dell'istruzione a Portorico": è entrato a far parte del Comitato di pianificazione per la qualificazione della manodopera, da poco creato dal governo dell'isola.

Il giovane sacerdote non è povero di strumenti. Anzi, la sua formazione sembra essere quanto di meglio può fornire la vecchia Europa: di origine ebrea per parte di madre, è cresciuto tra Vienna, Salisburgo, Firenze e Roma, dove ha frequentato l'Università Gregoriana.

Come posso integrare la 'pianificazione' nel mio sistema di valori? Non ha finito di formulare la domanda, e già sul volto del vecchio maestro "che la prossimità ella morte aveva reso trasparente come quello di un patriarca in una vetrata gotica", si legge lo sconcerto. Affermare che la 'pianificazione' non ha riscontri nella filosofia neo-tomistica e nella poesia mistica è troppo poco: la parola rimanda al lessico della contabilità, della legislazione, oppure fa pensare a un orario ferroviario? A un certo punto Maritain depone la tazza di the che reggeva con mani tremanti e, rabbuiato, dice: "Non è forse questa pianificazione di cui tu parli un peccato, un nuovo vizio, una forma di presunzione?".

L'allievo che ora in età matura racconta è Ivan Illich. Passerà la vita a grattare dietro le parole 'moderne', a criticare istituzioni e modi di vita che ci appaiono ovvii e scontati: la Chiesa che trasforma i credenti in 'fedeli' bisognosi di assistenza, la scuola che svaluta tutto quello che è appreso al di fuori delle aule, la medicina che fa dell'individuo un 'paziente', i sistemi di trasporto che impongono la velocità come necessità. E le lingue codificate in grammatiche, insegnate come fossero lingue morte; l'uso insensato dell'acqua nelle metropoli; l'informatica che ci allontana dai libri.

L'accelerazione dello sviluppo e i grandi sistemi organizzativi che caratterizzano il nostro secolo sono osservati da uno sguardo eccentrico, dal punto di vista dei paesi 'sottosviluppati' (ma naturalmente Illich rifiuta questa definizione), e dal punto di vista del Medio Evo.

Facile immaginare come Illich sia stato oggetto di feroci critiche. Due soli giudizi, a mo' di esempio. Francois Revel: "trasfigurazione delirante, ignorante e vaga del passato", visto come "età dell'oro". Paolo Rossi: "messaggio teoricamente ambiguo e politicamente pericoloso che sostituisce la forza delle suggestioni retoriche alle analisi, le invocazioni ai progetti, i richiami apocalittici alle previsioni". Sono parole di sedici anni fa. Molta acqua passata sotto i ponti. E' caduta ogni speranza nel marxismo, è scemata anche la fiducia nella scienza e nella tecnologia. La storia ha forse dato ragione più a Illich che ai suoi critici. Ma il suo resta un pensiero ostico; non di rado opinabile e magari anche fastidioso. Profondo ma sfuggente.

Proprio per questo, accanto ai suoi numerosi libri dedicati a argomenti specifici, sono illuminanti le raccolte di conferenze e interventi, che conservano il sapore dell'oralità, il ritmo del colloquio, e che sovente rimandano alla autobiografia. [1]

Così ascoltiamo raccontare di un bambino di un mese, messo su un treno e poi su una nave e portato all'isola di Brac, dove il nonno voleva impartirgli la sua benedizione. Il nonno viveva nella casa abitata dalla famiglia da cinquecento anni. Da allora si erano avvicendati in Dalmazia dogi, sultani, corsari, imperatori, re. Ma i cambiamenti nel governo avevano influito ben poco sulla vita quotidiana della gente. Le stessi travi di olivo sostenevano il tetto della casa, l'acqua veniva ancora raccolta dalle stesse lastre di pietra sul tetto, il vino veniva prodotto pigiando l'uva negli stessi tini, il pesce era pescato dallo stesso tipo di barche. Gran parte dell'ambiente era di uso comune: la gente viveva in case costruite da s‚, percorreva strade solcate dagli zoccoli dei loro animali, era autonoma nel procurarsi l'acqua e nell'eliminare i rifiuti; e poteva contare sulla propria voce quando voleva farsi sentire.  "Tutto questo", continua Illich, che sta parlando a Tokio, a un convegno che ha per tema: Science and Man. The Computer-Managed Society , "è cambiato con il mio arrivo a Brac. La stessa nave con cui io arrivai, nel 1926, scaricò sull'isola il primo altoparlante. Fino a quel giorno, tutti gli uomini e le donne avevano parlato con voci di potenza più o meno uguale. Da quel momento in poi non sarebbe più stato così. Da quel momento, l'accesso al microfono avrebbe determinato quale voce veniva amplificata. Il silenzio cessava di far parte degli usi civici: esso divenne una risorsa per la quale gli altoparlanti erano in concorrenza fra loro. E con ciò, il linguaggio stesso veniva trasformato da uso civico locale in una risorsa nazionale per la comunicazione. Come la recinzione dei pascoli accrebbe la produttività nazionale privando i contadini del diritto di tenere qualche pecora, così l'invasione degli altoparlanti distrusse quel silenzio che fino allora aveva dato a ogni uomo e a ogni donna la sua propria e uguale voce. Se non hai accesso a un altoparlante, sei messo a tacere."

Bastano questi pochi accenni per dire chi era Illich, e per mostrare come il valore del suo ‘messaggio’ (è passato di moda dire ‘messaggio’, ma come ci insegna Illich delle mode dobbiamo fregarcene – ed in questo caso poi la parola ‘messaggio’ pare l’unica veramente adeguata).

Molte delle vive testimonianze di Illich sono ora reperibili in libri, ma molte altre restano nascoste in riviste, in registrazioni di incontri e conferenze, in indelebili ricordi personali.

Pensiamo all’intervista rilasciata nell’ottobre 1997, quando è a Città di Castello, per partecipare ad un seminario dal titolo “Percezione e comprensione”. L’intervistatore si ritiene in dovere di volare alto, e chiede a Illich se “è d’accordo con l’affermazione di Walter Benjamin che i grandi periodi storici cambiano modi e forme di percezione sensoriale”. Illich risponde, come sempre, gentilmente ed acutamente. Ma gli interessa di più ricordare agli amici italiani, lui uomo ormai anziano, con dolori sulle spalle e anche gravi problemi di salute, gli interessa di più ricordare un giovane amico italiano che gli italiani sembrano voler dimenticare, Alex Langer.  Ricorda Illich di essere stato suo ospite alla cena di Natale del 1994, e di come allora Langer parlava di come si sente chi va contro il il ‘pensiero dominante’. Si entra per questa via in una angosciosa solitudine. (L’estate successiva Alex Langer si tolse la vita). [2]

Illich sa leggere i segni del tempo senza subire i segni del tempo. Ci insegna a diffidare di ciò che ‘attuale’. Ci insegna a restare fedeli a noi stessi.

Ricordiamo una intervista, molto più lontana, apparsa su Testimonianze. Riguarda un incontro al quale Illich partecipò quando venne in Italia nel '77 a presentare La nemesi medica (allora uscita da Mondadori, e ora riproposta, come tutte le altre sue opere, da Red Edizioni). Gli chiedono vie d'uscita, ricette concrete. E lui ammette di non poter rispondere se non in modo "intimo e personale". "Ci sono cose che posso fare: posso parlare in italiano, e così posso fare in un'altra dozzina di ambienti differenti in lingue differenti. Ma sono un uomo che non ha nemmeno una lingua materna." E si autodefinisce uno zoppo, un outsider. Un uomo attento alle radici culturali proprio perché‚ cresciuto privo di questo "bozzolo".

E' a partire da questo bisogno profondo che Illich cerca di capire. E lo fa, coerentemente, con un approccio da outsider, né teologo, né sociologo, né filosofo, né storico, né antropologo. Senza patria anche dal punto di vista degli strumenti conoscitivi (e si capisce come questo faccia saltare la mosca al naso agli intellettuali imbozzolati nei loro ruoli specialistici).

Forse alla fine, al di là delle sue stesse tesi, proprio nel metodo risiede il principale insegnamento di Illich. Come riassume lui stesso nel corso di quel dibattito: "essere il più coraggioso, chiaro e non opportunista possibile nel dire le cose; non legarsi alla difesa di quanto detto nel passato; non vendersi, cioè non accettare, nella misura del possibile, soldi per scrivere".

Bibliografia di Ivan Illich [3]



[1] Ad esempio: Ivan Illich, Nello specchio del passato, Red edizioni, 1993, da cui traiamo gli esempi proposti di seguito.

[2] Vedi p. es. http://www.peacelink.it/langerit.html

[3] La Bibliografia è incompleta e lacunosa. Riflette le letture dell’autore di questo contributo. Una vecchia ma ottimo avvicinamento a Illich è: Carlos T. Barbera, “Ivan Illich: hacia una sociedad convivencial”, Vida Nueva, 1027, Madrid, 1976.

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