BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 03/03/2003

IL COMPLOTTO IN AZIENDA

di Francesco Varanini

Leggo Il complotto, l’interessante libro di Dasquié e Guisnel da poco pubblicato da Guerini. [1] E’ una accurata risposta alla tesi sostenuta da Thierry Meyssan, in un libro gratificato anche in Italia da uno straordinario successo. [2] Secondo Meyssan c’è un complotto, una verità nascosta dietro agli attentati dell’11 settembre. Nessun aereo si sarebbe schiantato quel giorno sul Pentagono. Si tratterebbe di una spaventosa menzogna. E il peso di questa menzogna aleggerebbe su tutta la vicenda: CIA, FBI, poteri più o meno occulti, tutti ci avrebbero nascosto qualcosa.

Le cose non accadono come ce le raccontano. Ci sarebbe dunque, da parte del Potere, una strategia accurata, tesa ad ingannarci a sottometterci.

Sottolineiamo subito un aspetto. La ‘teoria del complotto’ è dotata di una sua perversa logica interna. Notano Dasquié e Guisnel: se crediamo a Meyssan quando ci dice che l’attacco al Pentagono era in realtà stato condotto da un missile, e che l’azione era opera di militari americani di destra, implicitamente accettiamo che esista una abile regia, una strategia articolata e complessiva. Allora crederemo anche a chi ha sostenuto che il Mossad era a conoscenza dell’attentato, e che ha quindi avvertito gli ebrei impiegati nelle torri del Word Trade Center perché non andassero a  lavorare quel giorno. E ci troveremo anche disposti a dar credito anche coloro che sostengono che anche i filmati degli aerei che si abbattono sulle due torri sono stati contraffatti. E che forse in realtà i grattacieli sono crollati a causa di bombe collocate dalla CIA.

Insomma: lanciato il sasso, la teoria del complotto si autocompleta ed autosostiene. Così accadeva già con la controinchiesta alla quale Meyssan sembra per più versi richiamarsi. Le fotografie della discesa dell’uomo sulla luna mostrano aspetti contradditori (anche Meyssan parte dall’analisi di fotografie). Probabilmente alcune delle foto sono state ritoccate, o manipolate, dalla NASA. Dire manipolate fa assumere alla questione un senso diverso, appunto questa strategia consapevole tesa ad ingannare. Per questa via, Bill Kaysing arriva a sostenere che l’uomo non è mai arrivato sulla luna. [3]

Non esito a dire che il reportage è affascinante – più di quello di Meyssan. Meyssan in fondo non fa che imitare Kaysing. Non solo nella costruzione della tesi, ma già nel metodo d’indagine. Tutto parte da una ‘lettura critica’ delle immagini fotografiche che illustrano l’evento.

Dicevo che l’indagine di Kaysing è affascinante. Intrigante. Tutto potrebbe essere vero, forse è vero. Il discorso, collegando a posteriori fatti e circostanze, ci appare logico, coerente, credibile.  

Ci avviciniamo per questa via all’aspetto che mi pare centrale, sul quale vorrei ora riflettere. Perché le teorie del complotto ci affascinano? In che modo rispondono ad un nostro segreto bisogno?

Non è in gioco l’atteggiamento politico, l’ideologia. O per lo meno, atteggiamento politico ed ideologia non spiegano tutto. Il complotto non è di destra o di sinistra. Riguarda, invece, il nostro atteggiamento di fronte al Potere, all’Autorità. Scrivo con le maiuscole, per dire questo: credo che il fascino segreto delle teorie del complotto nasca dalla nostra incapacità di sentirsi compartecipi agli eventi. Vedere il potere come un ente lontano, diverso da noi, inattingibile, chiuso in una sua logica, è un modo di elaborare la nostra incapacità di assumerci responsabilità.

Siamo in realtà compartecipi degli eventi, co–autori del mondo che viviamo ogni giorno: eleggiamo i nostri rappresentanti; siamo tutti, in misura maggior o minore, ma nessuno escluso, dotati della possibilità di influenzare gli eventi. Ma accettare questo significa farsi carico della nostra quota di onere etico: fare la nostra parte, giocare le nostre carte.

In fondo, è questo il senso delle riflessioni sulla goveranance: le organizzazioni, dallo Stato all’impresa,  –oggi più di ieri, in virtù di informazioni e conoscenze diffuse, in virtù di tecnologie disponibili– sono più simili a reti che a cattedrali o a piramidi. Il governo di ogni organizzazione, dunque, è diffuso. Anche ognuno di noi vi partecipa.

Questo, però, non è facile da accettare. Più semplice dire che il potere è cattivo e lontano. E che persegue coerenti e cattive strategie tese a procurarci danno, a mantenerci nell’inganno.

Ben venga dunque qualcuno a toglierci dalle spalle ogni responsabilità. Qualcuno pronto a spiegarci che tutto ciò che accade è dovuto ad un Grande Complotto.

Passiamo dal lontano al vicino e ricordiamoci che il discorso vale anche per l’immagine dell’organizzazione in cui lavoriamo.

Pensiamo ad una situazione che ognuno di noi, credo, ha vissuto. Nelle pause quotidiane attorno alla macchinetta del caffè o in mensa, si ragiona attorno ad una decisione presa dal vertice aziendale.

Noi, commentando quelle scelte, siamo propensi a ricondurle ad un disegno strategico. Un disegno che sottolinea l’insensata gestione del potere, un disegno perpetrato ai nostri danni. Insomma, ci fa comodo, ci piace vedere il complotto. Tra le varie ricostruzioni del senso di quella scelta, fateci caso, premiamo spesso quella che è più vicina all’idea del complotto.

Non metto in discussione il fatto che quella decisione fosse incomprensibile, o criticabile, od errata. Ma non per questo quella decisione è frutto di una consapevole, coerente scelta strategica. Anzi –se devo basarmi sulla mia esperienza– devo dire che in realtà è più facile pensare che quella decisione sia stata presa in fretta, con superficialità, prescindendo da una visione complessiva.

Voglio dire che il nostro atteggiamento critico di fronte all’esercizio del potere si riduce troppo spesso alla scelta di vedere il complotto: il mobbing, in fondo, è complotto rivolto contro un singolo; ed è complotto la scelta di promuovere o premiare un altro al posto nostro; e può essere visto come complotto di stakeholders retrivi la scelta un vertice aziendali invece di un altro.

E voglio dire anche che vedere il complotto, è una scelta di comodo, deresponsabilizzante. C’è sempre qualcuno, grande, potente, lontano, cattivo, diverso da noi, a cui dare la colpa.

Ma le cose, così, non miglioreranno mai. Gridando al complotto giustifichiamo il nostro ‘chiamarci fuori’, rinunciamo a contribuire alla costruzione del mondo, rinunciamo a fare qualcosa –quel poco che comunque è alla nostra  portata– perché le cose vadano un po’ meno male.



[1] Guillaume Dasquié e Jean Guisnel, L’effroyable mensonge. Thèse e foutaises sur les attentats du 11 septembre, Paris, La Découverte, 2002; trad. It. Il complotto. Verità e menzogne sugli attentati dell’11 settembre, Introduzione di Lucia Annunziata, Milano, Guerini e Associati, 2003.

[2] Thierry Meyssan, L’effroyable imposture, Paris, Editions Carnot; trad. it. L'incredibile menzogna, Roma, Fandango Libri, 2002.

[3] Bill Kaysing, We Never Went To The Moon, Delta Publications (Delta Group USA), 1987; trad. it. Non siamo mai andati sulla luna, Cult Media Net, 1997.

Pagina precedente

Indice dei contributi