BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 19/01/2004

ANCORA SU DELOITTE REVISORE PARMALAT. COSA MANCA ALL'AUDITING

di Francesco Varanini

Altra acqua è passata sotto i ponti, altre dichiarazioni sono state rilasciate. Ma la prima dichiarazione  del portavoce di Deloitte. quando il caso Parmalat aveva svelato solo parte delle sue sorprese –vedi Financial Times del 20 dicembre 2003– resta importante, perché manifesta un orientamento. “We believe we have behaved entirely properly”. Non ci si assumono responsabilità; si elude la riflessione sulla sostanza del compito che l’auditor è chiamato a svolgere, e soprattutto si considera sufficiente aver operato, come dichiara ancora il portavoce di Deloitte, “in accordance with the Italian audit standards in force at the time”.

Ora verranno modificate leggi a livello italiano ed europeo. Eppure si può sostenere che in ogni caso se Deloitte continuerà a considerare ben svolto il proprio compito ove abbia rispettato le normative vigenti, Deloitte resterà lontana dal buon auditing.

Ma come andare oltre l’adempimento di standard di volta in volta definiti necessari dalla normativa? Servono strumenti e approcci metodologici adeguati. Strumenti ed approcci di cui, forse, le società di revisione non dispongono. Non pensavano forse finora di averne bisogno; ma si sbagliavano.

Segnaliamo tre punti chiave.

Responsabilità di processo. Chi eroga un servizio è responsabile dell’intero processo. Se io mi affido a una compagnia aerea, chiedo qualità, efficienza, sicurezza, rispetto degli orari. Nell’erogazione del servizio, naturalmente, sono coinvolti altri attori –agenzia di viaggi, società aeroportuale, catering. Ma per me, cliente, non valgono giustificazioni. Chiederò tutto al fornitore cui mi sono affidato. E’ una logica virtuosa: impedisce la costruzione di alibi, e spinge al miglioramento continuo del processo. Sentendomi io, erogatore del servizio, responsabile di fronte al mio cliente della qualità delle prestazioni di ogni altro attore coinvolto, non avrò scuse: non potrò limitarmi a controlli formali, né scaricare su altri difetti e inefficienze. E dunque se Deloitte è il revisore principale, dovrà, al di là di qualsiasi normativa vigente, accettare su di sé il peso della responsabilità di ciò che ha fatto Grant Thornton.  Solo così avrà assolto il suo compito.

Non parliamo di consulenza. Il lavoro dell’auditor può essere ragionevolmente assimilato a quello di altri soggetti che studiano il funzionamento delle imprese. Edgar H. Schein, maestro del management, ha più volte sottolineato le differenze tra approccio ‘clinico’ e approccio ‘etnografico’. L’approccio etnografico è puramente orientato alla ricerca. Come l’antropologo studia un mondo a lui del tutto estraneo, così si può ‘studiare’ una impresa. L’approccio clinico si fonda invece su un patto tra paziente e terapeuta, che si scelgono a vicenda. Analogamente, nota Schein, si gioca il rapporto tra management e consulente. Il management si sceglie i propri consulenti. Schein mostra come l’efficacia della consulenza si fonda sull’esistenza, e sulla solidità di questo patto. (Edgar H. Schein, Cultura d’azienda e leadership, Guerini).

Ora, è il vertice dell’impresa che sceglie il proprio auditor. E a prima vista si potrebbe ritenere che, come per la consulenza, l’efficacia dell’auditing dipenda dalla fiducia reciproca che lega l’impresa al suo revisore. Ma l’auditor non è un ‘clinico’; non è chiamato a ‘curare’ il cliente. Non deve avere nessuna ‘comprensione’ per le sue difficoltà.

E’ un ‘etnografo’, chiamato ad osservare un mondo andando al di là delle opinioni comuni. Come l’etnografo risponde dei resultati della sua ricerca solo alla comunità scientifica, così l’auditor risponde dei suoi risultati alla business community e ad ogni stakeholder

Atteggiamento abduttivo. Il buon auditor è un detective. Sa scoprire ‘come stanno le cose’ a partire da tracce, da segnali deboli, cose scritte tra le righe. Le informazioni di cui disponiamo ci appaiono contraddittorie? Perché, a intuito, ci sembra di capire che ‘c’è qualcosa che non va’? Non ci resta che formulare ipotesi, ‘tirare a indovinare’, immaginare a quale regola, a quale senso nascosto possano risalire i comportamenti.

Charles Sandes Peirce (filosofo e scienziato americano vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento)  ha dato il nome a questo atteggiamento: abduzione. Solo così –andando al di là delle prassi, delle indagini gia previste da qualche legge– potremo ‘scoprire la verità’

Ecco: solo se assumiamo una responsabilità di processo; solo se ci sentiamo del tutto liberi nei riguardi dell’azienda presso cui operiamo; solo se operiamo con un approccio investigativo potremo, in quanto auditor, dire di aver agito entirely properly.

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