BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 15/03/2004

ELOGIO DELLA BUSINESS INTELLIGENCE

di Francesco Varanini

Un data warehouse è il luogo in cui sono conservati i dati da consultare, analizzare e condividere da parte degli utenti business.
Ma un conto è dire ‘luogo in cui sono conservati i dati’ affinché essi possano essere usati come supporto alle decisioni; un conto è dire che si tratta di ‘una base dati di sostegno alle decisioni’.
La differenza è meno sottile di quello che appare. Perché parlando di ‘sostegno dalle decisioni’ si introduce un altro concetto, complementare, ma per sua natura differente da quello di Datawarehouse. La tecnologia pensata per ‘sostenere le decisioni’ non è il Datawarehouse, è ‘Business Intelligence’.
Nel caso del Datawarehouse, si tratta di una tecnologia pensata da tecnici per essere usata da tecnici. Solo uno specialista allestisce un Datawarehouse, “a system for storing, retrieving and managing large amounts of any type of data”, “A database, often remote, containing recent snapshots of corporate data” (FOLDOC, Free On Line Dictionary Of Computing; http://wombat.doc.ic.ac.uk/foldoc/).
Nel caso della Business Intelligence si tratta invece di una tecnologia pensata per attribuire, di fronte all’utilizzo delle informazioni, gradi di libertà e di autonomia a utenti non tecnici, a coloro che utilizzano le informazioni per uno scopo. L’utente è messo nelle condizioni di costruirsi a suo piacimento oggetti multidimensionali di informazioni (‘metacubi’): nel caso del marketing, ad esempio, incrociando le informazioni relative a prodotti/servizi; tempo e area geografica. Potrà poi lavorare ‘dentro’ il metacubo in modo ‘drill’, scavando; ‘slice’: affettando; ‘dice’: ‘tagliando a dadini’.
Evidentemente, se si tratta di una tecnologia destinata ad offrire sostegno e spazi di autonomia al manager ed al professional nel momento del processo decisionale, grave limite costituirebbe il fatto che manager e professional dovessero necessariamente ricorrere al tecnico per usare lo strumento. Ma appunto, la critica alla quale non possono sfuggire le tecnologie di Datawarehouse, –il loro richiedere la mediazione del tecnico– non possono essere applicate agli strumenti di Business Intelligence. Questi non solo si propongono di mettere nelle mani degli utenti non solo gli strumenti per accedere liberamente alle informazioni, ma anche gli strumenti per effettuare direttamente modifiche sullo strumento. Infatti, la Business Intelligence presuppone che l’utente adatti di volta lo strumento alle sue sempre mutevoli esigenze. E ancora, la Business Intelligence presuppone che qualsiasi informazione possa essere utile in fase di decision making: la ridondanza è implicita fonte di nuove connessioni, quindi è efficace. Anche per questa via si manifestano differenze concettuali: la conoscenza organizzativa esplicitata nel Datawarehouse è un insieme scelto aprioristicamente da pochi ‘esperti’, mentre la conoscenza organizzativa tipica della Business Intelligence è ‘emergente’, frutto di una competenza diffusa, di volta in volta diversa e più ricca.
Dunque –all’opposto del Datawarehouse– la Business Intelligence è una tecnologia open-ended, pensata per favorire crescita della conoscenza oltre i confini imposti da ruoli e competenze.
Detto questo, è più che legittimo sostenere che la promessa della Business Intelligence (‘end-to-end metadata management’) non è oggi ancora pienamente mantenuta. Ma ciò non dipende tanto da limiti della tecnologia, quanto da motivi organizzativi e culturali. Un consapevole ed efficace uso della Business Intelligence da parte del manager e del professional si fonda sull’acquisizione di conoscenze tecniche certo accessibili, ma non banali
Inoltre, è proprio qui che, consapevolmente o inconsapevolmente, molti specialisti ICT elevano difese: per mantenere il loro ruolo di mediatori necessari tendono a nascondere il vero senso della Business Intelligence. Magari dietro il nebuloso concetto di Datawarehouse.

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