BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 20/12/2004
LARGO AGLI ANZIANI

di Francesco Varanini

Tra quanti anni posso andare in pensione?

Molti anni fa lavoravo in una Direzione de Personale, mi occupavo di immissione in azienda dei neoassunti. Ricordo che solo una domanda mi spiazzò e mi lasciò senza parole. Fu quando un brillante giovane mi chiese: “tra quanti anni posso andare in pensione?”.

L’atteggiamento di fronte al lavoro non ha età. Il talento non ha età. Certo un giovane ha accumulato meno esperienza di chi ha lungamente frequentato il mondo del lavoro. E non è detto, in cambio, che un giovane sia più creativo, più fresco mentalmente, più orientato al risultato.

Eppure la convinzione che ‘bisogna puntare sui giovani’ è diffusa e radicata. Recentemente, qui nel nostro paese, è cambiato il vertice di una grande azienda. Il nuovo amministratore delegato ha portato con sé il suo direttore delle Risorse Umane di fiducia. Insieme hanno annunciato la nuova strategia: c’è bisogno di un cambiamento, largo ai giovani, i sentieri di carriera premieranno solo coloro che non hanno superato i trentacinque anni.

Ageism

Tendiamo a considerare riprovevole l’età avanzata – in genere connotata come situazione di impotenza, incompetenza e inutilità.

Lo si vede nella cultura diffusa, dal linguaggio alle battute umoristiche, dalle rappresentazioni nei media ai comportamenti nelle aziende. Molte ricerche sono state fatte su questo problema soprattutto negli Stati Uniti, fin dagli anni ‘50. E lì –verso la fine degli anni ’60– Robert N. Butler ha coniato per questo atteggiamento il termine ageism.Per usare la definizione di Anthony J. Traxel, altro noto studioso del problema, ageism è “any attitude, action or institutional structure which subordinates a person or group because of age or any assignement of roles in society purely on the basis of age”.

Dunque ageism viene affiancato agli altri ‘ismi’: ‘razzismo’, ‘sessismo’, ‘classismo’. Ma rispetto a questi altri ‘ismi’, il pregiudizio discriminatorio rispetto all’età è diverso per due ragioni: cambia continuamente secondo il ciclo di vita, ma soprattutto tutti si trovano a doverlo sperimentare, perché tutti invecchiano (in un normale sviluppo di vita).

Ora, largo ai trentacinquenni, naturalmente – ma anche ai venticinquenni e ai cinquantacinquenni e sessantacinquenni.

Diversità, ibridazione, meticciato

Dovremmo guardarci da ogni semplificazione e da ogni fondamentalismo. Il vero passo avanti non sta nel valorizzare, di volta in volta, una popolazione prima sottovalutata. Il passo avanti sta nel portare alla luce le risorse latenti. Le risorse che, per conformismo e per miopia, siamo poco abituati a vedere. Le risorse capaci, ma difficili da gestire che, per timore di rogne, troppo spesso preferiamo lasciare in posizioni marginali.

A volte, più che le grandi strategie orientate all’innovazione, ci aiutano i vincoli. La via semplice, sulla carta sufficiente a liberarci da ogni possibile critica, sta nel perdere poco tempo con i dipendenti che giudichiamo ormai ‘seduti’, e nel dedicare impegno, tempo e denaro ad assumere giovani brillanti, laureati con i migliori voti, usciti da Business School, magari già dotati di qualche esperienza all’estero.

Ma non è detto sia la via migliore. Ho vissuto una situazione in cui l’amministratore delegato diceva: la crisi impone un blocco totale delle assunzioni. Ma la nostra azienda ha migliaia di dipendenti: possibile che tra loro, nascosti in qualche ufficetto, in qualche sede periferica, non ci siano persone in grado coprire questa e quest’altra posizione scoperta? Cercate, diceva a noi delle Risorse Umane, al di là dei pregiudizi. Prendete in considerazione anche coloro che avevate scartato perché hanno quelle opinioni politiche o i capelli lunghi o portano un brillantino all’orecchio.

A volte, si sa, una persona diventa disfunzionale, controdipendente, proprio perché si sente sottoutilizzata. E poi, andiamo a guardare cosa fa uno nel ‘tempo libero’. Magari dirige una ONG o è pilota d’aereo o è un vero atleta. Non sono forse prerequisiti interessanti?

Se poi si tratta di assumere, pensiamo che le minoranze e le popolazioni marginali sono potenzialmente le più promettenti: sono fatte di persone che hanno voglia e bisogno di lavorare, sono fatte di persone disposte a mettersi alla prova. Guardiamo per esempio agli immigrati: spesso hanno una buona, o un’ottima formazione scolastica. E poi portano il valore inestimabile della differente cultura: ci possono perciò aiutare a guardare in modo nuovo, a scoprire inattesi approcci e soluzioni ai nostri occhi invisibili.

Insomma: mettiamo insieme ‘giovani’ e ‘anziani’, mettiamo insieme uomini e donne, mettiamo insieme risorse provenienti da iter scolastici differenti, mettiamo insieme persone di culture diverse.

La ricchezza sta nella diversità, nell’ibridazione e nel meticciato.

Questo approccio, certo, ha una non trascurabile conseguenza. Perché è sicuro che la diversità genera ricchezza, nuovo valore. Ma si tratta di una ricchezza che si manifesta inattesa in modi ed in luoghi imprevedibili a priori. Verranno alla luce capacità utili – ma si tratterà di capacità ‘emergenti’ – quasi mai quelle che avevamo previsto.

Dovremo perciò gestire le risorse senza pregiudizi. Lavorare con le persone accettando di costruire con le persone il loro percorso di crescita.

Dovremo forse anche ricordare che la tendenza a definire la propria identità come ‘giovane’, differenziandoci così dalle persone ‘anziane’, è un modo difendersi dalla prospettiva di morire. Dietro il disprezzo per la vecchiaia c’è la paura della morte. Che comunque non possiamo rimuovere.


Una versione più breve di questo scritto è l’Editoriale del n. 6 di Persone & Conoscenze (www.personeecoscenze.it).

Pagina precedente

Indice dei contributi