BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 14/03/2005

IL TEATRO ED IL LAVORO SU DI SE'

di Amalia Vetromile

Cercherò di raccontarvi come si sono intrecciate nella mia vita l'analisi bioenergetica e il lavoro teatrale, ed entrambi con lo studio della chimica all’università, prima, e il lavoro nell’informatica, poi. Del resto anche Costantin Sergievich Alekseev, detto Stanislavskij, molto ricco prima della rivoluzione, sì da potersi permettere di essere “un dilettante di lusso”, dovette conciliare le sopraggiunte esigenze di vivere senza per questo abbandonare il cammino intrapreso nel teatro d’arte. Stanilslavskij parla diffusamente nei suoi testi del lavoro dell'attore su sé stesso e sul personaggio.

INIZIO

Faccio teatro sin da ragazzina, in casa siimpastavano melodie e lacrime, ironia e quotidianità e, come spesso accade, recite parrocchiali. Poi la prima Ave Maria cantata in chiesa. Alternavo a lezioni di chimica e meccanica quantistica cabaret, partecipazioni nei film e spettacoli teatrali in quella città, un tempo capitale di regno, che a detta di molti è patria dei canti e del far niente. Poi, in una nuova capitale, ho iniziato quasi contemporaneamente l'analisi bioenergetica e la scuola di teatro dove era adottato il metodo Stanislavskij, metodo, questo, poi mirabilmente ripreso dall’Actor’s Studio di New York. Il viaggio affascinante nei mondi intricati del vissuto personale e del lavoro dell’attore si sono intrecciati, facendo a gara tra loro tra l’avere la meglio uno sull’altro, o piuttosto allearsi. Tutt’altro dire della vita nella multinazionale dell’informatica, questa viaggiava su un suo binario, diverso. Cobol e JCL, account planning e carriera. Un pensare seriale che difficilmente si accordava con il resto, un continuo precipizio sul cui confine sembrava aspettare ogni volta la scelta: “da che parte stai?”

ESEMPI DEL METODO

Ho trovato molti punti di contatto tra il lavoro dell’attore e la bioenergetica: solo a titolo di esempio porto alcune tecniche del Metodo di Stanilavsky. Il "qui ed ora" della bioenergetica, lo ritroviamo nel momento in cui un attore deve entrare in contatto con un oggetto di scena, con il luogo in cui si trova. E’ la concentrazione, il cerchio di attenzione. L'attore in scena deve essere in contatto con il suo compito, deve entrare in comunicazione con gli altri attori in scena, con il pubblico, "sentire" le loro emozioni, e comunicare le proprie non solo con le parole ed i gesti ma con tutto il suo corpo: le tensioni muscolari contagiano e così un attore contagia le sue emozioni. Il punto centrale e primo gradino del lavoro creativo dell’uomo è l’attenzione, il cerchio creativo. Si impara così anche a “stare sul problema”, come si dice in gergo aziendale, a non perdere di vista le priorità. A non perdersi nei rivoli dell’angoscia dei troppi compiti, mai assolvibili tutti, con un distacco progressivo dalla realtà e da cosa è veramente importante in quel momento.

RICCHEZZA DI SENTIMENTI

La nostra crescita personale ci porta ad avere accesso sempre più a tutta la gamma di emozioni, anche quelle nascoste nelle zone d’ombra, quelle “rimosse”; questo ci porta ad avere una sempre maggiore ricchezza di sentimenti, di potenzialità creative.

Più si è aperti e si ha il coraggio nell’esplorare emozioni che non ci sono consuete più siarricchisce la capacità di interpretare un personaggio e si ampliano le possibilità di dare spazio di espressione a tutte le nostre potenzialità creative. Un personaggio terribile deve avere anche dei momenti di pausa, di tenerezza, per dare maggiore colore alla sua interpretazione. Si può rappresentare un assassinio, essere credibile nella ferocia e nello stesso tempo lasciar trapelare un guizzo di tenerezza nello sguardo, qualcosa che ha a che fare, per esempio, con un antico amore. Rimpianto e determinazione insieme. Tutto questo si costruisce nel tempo con duro lavoro sulla concentrazione e, insieme, un continuo esplorare i propri sentimenti, anche quelli che risultano, spesso, socialmente inaccettabili. Significa accogliere, di sé e degli altri, tutta le complesse verità che compongono la personalità di ciascuno di noi.

Questa ricchezza di sentimenti espande la creatività e, quindi, anche le potenzialità professionali, laddove nel proprio lavoro è richiesta la capacità, come ormai affermato in azienda,di realizzare progetti innovativi. Quando, ormai, tutte le contabilità e le paghe / stipendi sono procedure consolidate è necessario ripensare i sistemi informativi sulle esigenze delle nuove organizzazioni e dei nuovi servizi da offrire all’utenza. Insomma, in una parola, bisogna essere creativi e, nel contempo, saper cogliere le esigenze del mercato, ovvero ascoltare le richieste manifeste o inespresse dei propri clienti e trasformarle in realtà.

C’è stato un tempo in cui quasi nascondevo in azienda la mia seconda vita. Timore, fondato peraltro, di non essere apprezzata fino in fondo sul lavoro, paura di fare meno carriera rispetto ad un altro. “Cosa vuoi, è una donna e per di più fa l’attrice, non potrà mai essere affidabile totalmente per l’azienda, ha altri interessi!” Oggi questa mia vita parallela, una delle tante, è conosciuta da tutti in azienda, consacrata dal kick off. Non senza rischi, naturalmente. Ogni tanto balena negli occhi del D.G. una vena di sospetto: saranno giuste le cifre riportate nel business case, non si sarà distratta leggendo qualche poesia?

COMUNICAZIONE E TEAMWORK

Il teatro spesso è un gioco di squadra: un complesso sistema attore / attori / pubblico. Uno attore che interpreta un personaggio è in qualche modo “influenzato” dagli altri attori in scena. Mai il personaggio, interpretato dallo stesso attore, sarà uguale se agito in scena con un partner diverso; la comunicazione, infatti, è un altro punto fondante del lavoro teatrale. Ascoltare gli altri attori, le loro emozioni, significa cogliere spunti nuovi, come nella vita: la nostra reazione non sarà mai la stessa di fronte a due persone diverse anche in situazioni simili. Basti pensare al lavoro di un commerciale che si trova davanti due clienti con le medesime problematiche ma con un diverso modo di esprimerle o che hanno priorità diverse: la soluzione proposta, ancorché dettata dagli obiettivi di business, sarà inevitabilmente modulata sulle esigenze del cliente.

La comunicazione tra attori è bidirezionale ed è uno a tanti e viceversa; ogni attore riceve input dagli altri colleghi con i quali costruisce l’azione scenica e a sua volta influenza i personaggi dei colleghi in una sorta di creazione di gruppo, anche se elaborata a livello personale. Come mirabilmente sottolinea Peter Brook ne “Lo spazio vuoto”: “si instaura un rapporto sottile e sensibile tra gli attori che lavorano insieme in un clima di reciproca fiducia, dove la tranquillità e la sicurezza consentono di esporsi, con quella intimità autentica e riservata che scaturisce da un lungo lavoro insieme e dalla vera fiducia negli altri”. Questo, mi sembra, si chiama teamwork, nel gergo aziendale. Il talento individuale, la capacità del singolo viene potenziata, se la comunicazione fluisce e alla stima si unisce la fiducia per il collega.E così come ogni attoresingolarmente e come elemento della squadra in scena sente il palpitare del pubblico, analogamente ogni professionista, individualmente e in team, percepisce le esigenze del mercato e entra appieno nel sistema complesso fornitore – cliente.

IL LAVORO NON FINISCE MAI

Il segreto della “bravura” di un attore o meglio gli “ingredienti” necessari (oltre ad un buon maestro, naturalmente, e alla naturale disposizione artistica) sono la capacità di non fermarsi, una sorta di umiltà che porta a voler scoprire sempre nuove possibilità, nuove sfumature, nuovi orizzonti in sé stesso e nei propri personaggi. Il lavoro creativo è individuale e irripetibile, fatto di gradini sui quali ognuno si “arrampica”, dove si trovano, ogni tanto, dei tranquilli spazi di riposo, per poi ricominciare.

L’attore deve essere capace di superare gli “scalini”, gli scogli contro i quali ogni tanto si troverà ad imbattersi. Avere la capacità di rinunciare anche ad essere “bello” o “attraente”; riuscire a rinunciare ad emozioni e “tipi” di interpretazione noti, rodati, che sa essere di grande effetto sul pubblico, ed esplorare nuovi modi espressivi, interpretare anche ruoli apparentemente banali andando a scoprire anche in questi sfumature di emozioni.

Questo è vero anche nella vita: giungono dei momenti in cui si arriva di fronte a situazioni, emozioni, rifiuti, incapacità, di fronte ai quali si possono chiudere gli occhi e continuare nel cliché, o riconoscere la propria “zona d’ombra” e rischiare, inoltrarsi ad esplorarla, scoprendo il mondo nuovo che nasconde. Come una piccola morte che prelude ad una nuova vita.

Mai un’azienda di successo può considerarsi definitivamente assestata nel suo modello di business, rischierebbe di trovarsi fuori dal mercato nel giro di pochi anni. Proprio nei momenti di maggiore stabilità, quando ha la lucidità e le risorse necessarie ad affrontare eventuali cambiamenti, deve essere attenta ai segnali non ancora espressi al mercato e chiedersi dove potrebbe cambiare, per prepararsi per tempo. Bilanciando sapientemente il motto “squadra che vince non si cambia” con un pizzico di coraggio di innovazione.

E così un attore deve superare momenti di grande difficoltà quando, una volta acquisito un determinato livello di capacità, deve avere il coraggio di abbandonarlo, rischiando momentanei insuccessi, e trovare modi espressivi nuovi. Fatto questo ritroverà anche ciò che ha momentaneamente accantonato, lo ritroverà arricchito e integrato dalle nuove forme espressive, dalle nuove emozioni che ha conosciuto.

Nella nuova consapevolezza le vecchie corazze e i cliché comportamentali, al momento giusto, potranno essere riutilizzati e integrati, per poi riporli nuovamente: una forza in più da utilizzare quando necessario.

Così un attore potrà anche utilizzare forme espressive di facile e sicura presa sul pubblico ma lo farà con consapevolezza, senza indugiare oltre il limite, e soprattutto senza rifugiarsi in esse, per insicurezza, continuando la ricerca di espressioni più adeguate a quelle che il personaggio e la messa in scena richiedono.

Lo stesso si può dire del professionista affermato che, pur svolgendo il suo ruolo da tempo riconosciuto per la sua competenza, è consapevole di non essere arrivato al limite delle sue capacità e cerca ancora nuove frontiere da esplorare, tecnologie che non conosce e rischia, pur facendo tesoro della sua esperienza.

Mi è capitato di lasciare un lavoro tranquillo in una pubblica amministrazione (sono rimasti tutti molto molto sorpresi!) ottenuto dopoanni dilavoro in una grande multinazionale dell’informatica, per ricominciarne uno, in un’altra azienda privata, denso di stress. L’emozione è stata grande, talvolta il dubbio di aver fatto un salto nel buio. Ma poi, appassionante, si è dispiegata davanti a me una distesa infinita di curiosità, di nuovi fili della conoscenza da seguire, sempre con la consapevolezza che non sarei mai riuscita a seguirli tutti: non mi basterebbero molte vite.

CASSAPANCA

Ogni attore ha una sua cassapanca piena di emozioni, ricordi, sensazioni: più è libero di attingerea questo archivio più diventa bravo. Al contrario, più e' ingabbiato in cliché, in "maschere", meno flessibilità ha nella sue interpretazioni. Nel metodo Stanislavskij questa è chiamata riviviscenza: un punto cardine del metodo, quello che consente di trovare le giuste intenzioni, non intonazioni, che danno il giusto senso alle battute del copione da recitare.Dunque se il lavoro di bioenergetica rende disponibili a noi stessi l'intero patrimonio delle nostre emozioni, questo patrimonio diventa accessibile anche all'attore.

Le esperienze vissute diventano bagaglio personale dell’attore = > cascione al quale attingere per riproporre sulla scena emozioni già vissute e fare da catalizzatore per far rinascere nuove emozioni. (‘cascione’: la cassapanca dei ricordi della nonna in soffitta. "Scavà int' 'o cascione" ovvero ‘ripescare ricordi nella memoria’). In azienda si traduce nella capacità di trarre da ogni occasione spunti di crescita professionale; la presentazione di scenari futuribili, di prodotti software apparentemente inutili al business del momento. Vengono immagazzinati nel “cascione”, riportati alla memoria quando necessario e connessi ad altri elementi apparentemente diversi.

DOPPIA VIA: TEATRO VITA

Il “cascione” può funzionare in maniera inversa. Si può richiamare una emozione già vissuta nell’interpretare un altro personaggio per far nascere il nuovo personaggio che si sta creando. Ovvero le emozioni, le situazioni già sperimentate in scena entrano a far parte del “cascione”. Quindi entrano a far parte del proprio bagaglio di emozioni fuori della scena e diventano un arricchimento del patrimonio emozionale nella vita. Ad esempio una donna che non si è mai sentita bella nella vita ma è riuscita a farlo in scena– dopo questa esperienza nella sua vita e nella sua memoria esisterà questa esperienza, questo momento come realmente vissuto. Può servire, nella vita e nel business, per riscrivere il finale di una storia di insuccessi, trovare un’altra soluzione, e far tesoro di una esperienza con più esiti, di cui solo uno si è avuto l’opportunità di sperimentare nella realtà.

CU N’UOCCHIO GUARDA A GATTA E CU N’ATRO FRIE ‘O PESCE

Portare in scena delle emozioni secondo il “metodo” impone la capacità di tenere attiva una parte “cognitiva”, “pensante”, che tenga costantemente sotto controllo le proprie tecniche, l’ambiente, e lasci attivo un canale di comunicazione con gli altri attori in scena e con il pubblico. Ovvero una sorta di gestione “parallela” di più cose insieme.

Questa facoltà è tipica del cervello dell’uomo e viene amplificata dalla pratica teatrale. Inevitabilmente il cervello dell’attore (attore che cresce sempre, secondo il “metodo”) diventa sempre più flessibile ed aperto a “sentire” e “gestire” contemporaneamente emozioni, canali di comunicazione, e situazioni. Questo significa affinare la tecnica, tenere sempre allenati i muscoli, contemporaneamente al lavoro sui sentimenti. Sentire palpitare i sentimenti di amicizia, di competizione nei colleghi, ascoltare con cuore attento le aspirazioni inespresse dei clienti e cercare, con attenzione al business, le risposte tecnologicamente adeguate epossibili, in amicizia, correttezza competitiva e profitto.

LA PSICOTECNICA

Nel metodo Stanilsvskij sono previsti gli esercizi cosiddetti di psicotecnica, e' un lavoro di improvvisazione che consente all'attore di sperimentarsi e attingere al suo archivio di emozioni.

Si inizia con un semplice compito: una azione (altro punto fondante del metodo Stanislavskij) banale, come aprire una porta in scena (che significa visualizzare il luogo in cui c'e' la porta, "sentire" la maniglia, immaginare se ci sono altri personaggi in scena oppure no, se e' giorno o notte, se c'e' il sole oppure piove e così via). E via via si passa ad esercizi piu' complicati: un personaggio (che può essere una venditrice ambulante o un assassino, per citare due estremi), una situazione, fino a creare delle vere e proprie scene a più attori. E' imperativa, in questi esercizi, la verità, ovvero anche in situazioni lontane apparentemente dalla nostra personalità bisogna cercare quel lato, forse a noi sconosciuto, di noi stessi, che ci consenta di interpretare quel sentimento, quel ruolo con emozioni vere.

E’ la palestra degli atleti, una sorta di preparazione presciistica. E’ un luogo dove si possono sperimentare i mille sé, le tante vite possibili di ciascuno di noi, quelle esplorate e quelle potenziali e quindi ampliare il patrimonio da riporre nel “cascione”. Uno spazio di vita dove si può fare l’acrobata con i propri sentimenti garantiti da una solida rete: la consapevolezza che anche gli altri colleghi stanno rischiando come noi.

Un modo per allenare l’immaginazione, anche sensoriale: arrivare a percepire profumi, ascoltare suoni che sono creati solo dalla nostra fantasiao da quella di un altro attore in scena con noi. Sentire scorrere la sabbia fine tra le nostre dita o la spuma dell’onda sul bagnasciuga che accarezza i nostri piedi. La capacità di generare immagini, di visualizzare oggetti, ambienti, animali e persone, di “sentire” profumie suoni consente di “riempire” di senso e di emozioni il personaggio che si sta interpretando e diventa una sorta di allenamento che rimane nel quotidiano. I bambini sanno creare immagini per giocare, per non sentirsi soli, per esorcizzare le paure; questa capacità viene persa con il tempo: un adulto che discute amabilmente con un amico creato dalla sua fantasia, o che immagina di passeggiare con un docile leone al guinzaglio è considerato un visionario, un “disturbato” o comunque una persona che ha un cattivo rapporto con la realtà. Ma se questo adulto è in grado di far viverele proprie immagini e nel contempo mantenere saldo e chiaro il suo rapporto con la realtà, ha la possibilità di espandere la sua capacità creativa e di riempire di senso la propria vita.

In questo modo ci si allena anche alle riunioni di lavoro, provare a prefigurarle, a immaginare possibili scenari e diverse soluzioni conclusive. E molto più che un gioco di ruolo; si esige la veritàdei sentimenti, l’esplorazione del proprio sé, l’ascolto delle emozioni altrui, la sperimentazioni degli infiniti possibili esiti di un’azione.

E, comunque, immaginare di avere un grosso felino al guinzaglio in un momento di difficoltà, durante una riunione dove il livello di aggressività è andato oltre la soglia - può accadere più spesso di quanto si pensi - dà un certo senso di sicurezza e può aiutare a mantenere la calma.

IL SOTTOTESTO

Il sottotesto di una frase è il “senso”, il contenuto di emozioni che si nascondono sotto la sequenza di parole. Trovare il sottotesto significa dare vita, emozioni ad una frase. Per trovare la giusta intenzione di una frase bisogna definirne il sottotesto. Una stessa frase può essere detta con infinite sfumature. Le semplici parole “ti amo” possono essere dette con l’emozione appassionata che si prova guardando il proprio compagno, quella tenera di una madre al suo bambino, quella disperata di un amante abbandonato.

IL “TUBINO NERO”

Per trovare il sottotesto bisogna innanzitutto “pulire”, ridurre all’essenziale. E’ il coraggio di togliere il sovrabbondante. Per poter aggiungere senso, è necessario rinunciare agli orpelli. E’ preferibile pronunciare una frase in italiano corretto, scandendo tutte le sillabe su un’unica nota piuttosto che cercare di dare un’intonazione vuota di senso, stonata. E’ come scolpire un blocco di marmo: bisogna togliereper poi dare il senso.

Mi è capitato di definire questo lavoro come il “tubino nero” adatto a tutte le occasioni, che mai manca nel guardaroba di una donna. E’ una garanzia. Piuttosto che un abito da sera inadeguato alla situazione, metti “la notte degli oscar” è preferibile un tubino nero, magari accompagnato da un filo di perle: va bene in tutte le occasioni. Alla peggio si verrà considerate un po’ snob, mai ineleganti.Togliere è molto più difficile che aggiungere. Sottrarre fino a giungere all’essenziale, al nocciolo dell’esistenza. Una volta avuto questo coraggio si può entrare ed uscire dall’orpello ornamentale, sempre con il senso dell’essenzialità.La semplicità di una forma, piena di contenuti, è molto più di uno sfavillio di colori, è un silenzio assordante. Per fare un esempio teatrale: le famose “pause” di Eduardo de Filippo in scena, che potevano durare interi minuti, ma erano sempre piene di senso.

La mia storia.

All'inizio del mio lavoro interpretare un personaggio mi dava il senso di vivere la vita, i mille volti della mia anima. Mi dava calore e accendeva il mio orgoglio.

Io però non ero lì,mi innamoravo dei miei personaggi e li lasciavo in un certo senso soli.

Poi cominciai a "portare" sulla scena, nelle lezioni di psicotecnica, i mille mondi e le tante me stesse che esploravo nel lavoro personale. Pure, continuavo ad essere legata a ruoli tragici, estremi, il mio obiettivo era sedurre il mio pubblico.Mai e poi mai avrei interpretato un ruolo "normale", una personalità piana, pur se impegnativa da protagonista. Il pubblico doveva innamorarsi dei miei personaggi, non di me naturalmente.

E allora i miei personaggi erano: Elettra Medea ...Ed era il tempo in cui le mie due vite principali (le altre mille rivoli …), il teatro e l’informatica, erano rigidamente separate: giorno e notte!

LA DOLCEZZA

Man mano che il lavoro di analisi bioenergetica - il viaggio dentro le mille me stessa - progrediva,tentavo nuovi personaggi: ruoli più morbidi, più dolci. Cominciavo ad avere il coraggio di portare sulla scena la mia dolcezza, la mia vulnerabilità, la mia innocenza e, anche, il desiderio di amore un po' fanciullesco.

E, non a caso, in un saggio mi fu affidato uno dei ruoli che da sempre, e' sinonimo di amore adolescenziale ed estremo: ROMEO. Romeo, non Giulietta, perché comunqueil personaggio maschile, ancorché giovane e innamorato, meglio si addiceva alle tinte spesso forti della mia personalità.

LA BEFANA

Ancora, rimaneva però il bisogno di interpretare personaggi che potessero "sedurre" il pubblico. Poi, un giorno, sempre nelle lezioni di psicotecnica, presi il coraggio a quattro mani, come si suol dire, e interpretai volutamente il ruolo della Befana. Fu la prima volta che di mia spontanea volontà mi calavo nella parte di vecchia, anche un po' divertente.

TESTA E CORPO: GIORNI FELICI

Rimaneva comunque una frattura profonda tra me ed i miei personaggi. Al pubblico offrivo il personaggio, non me. Scelsi di portare in scena “Giorni Felici”, di Beckett, dove Winnie, la protagonista del lavoro, e' una donna che perde progressivamente il contatto con la realtà e quindi con il suo corpo, fino a morire. Nel primo atto e' interrata fino alla vita, quindi ha perso il contatto la metà inferiore del suo corpo, e nel secondo atto é interrata fino al collo: é diventata solo testa. Il personaggio di Winniemi ha consentito di portare in scena il conflitto in atto tra la mia "testa" razionale e giudicante e il mio corpo, che voleva giocare per fatti suoi.

Capii, in quel modo, di quanto fosse difficile per un attore il personaggio di Winnie. Nel secondo atto ha solo la testa, gli occhi e la voce principalmente, per comunicare con il pubblico e tenerne svegli l’attenzione. E’ una “prova di bravura”, uno sforzo enorme.

Non mi ero mai resa conto di quanto fosse arduo comunicare con il mondo solo con la testa, senza l’aiuto del nostro corpo. Lo stesso sforzo dell’attore che interpreta Winnie. Ma per l’attore dura solo per un breve tempo. Nella vita quotidiana è per sempre.

GIORNI FELICI

Durante il viaggio meraviglioso, a volte turbolento, spesso affascinante, intrapreso con la mia analisi ho ritrovato le mie radici, la mia famiglia; ho riscoperto di avere un fratello, ed e' stata l'arte a farci rincontrare: lui è un poeta, io un attrice. Ho cominciato a recitare le sue poesie.

E da allora è iniziato, per me, il piacere di portare me stessa sulla scena, nonpiù interpretando ruoli, ma "raccontando" favole, storie, brani di romanzi, insomma passando da "attrice" a cantastorie. Ma soprattutto ho riscoperto la mia lingua, la forza espressiva che veniva dal recitare con i suoni della mia terra, gli antichi modi di dire, i proverbi, le battute ormai già perse anche nella stessa Napoli. Il profumo di espressioni altrimenti indicibili che possono essere espresse solo nella lingua in cui sono nate e che evocano luoghi, tramonti, emozioni e profumi che sono propri di quella terra, come le voci in lontananza che si sentono in campagna di sera d’estate …

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